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La strategia americana disvela il tramonto del globalismo. E l’Europa continua a non capire di Antonio Maria Rinaldi
La nuova strategia di sicurezza americana è brutale: basta dipendenza estera, basta difendere chi non paga. Un ultimatum che Bruxelles finge di non capire, mentre l’Italia resta immobile.

La nuova National Security Strategy (NSS) degli Stati Uniti non è un semplice documento tecnico: è la dichiarazione formale che l’epoca del globalismo è finita. Per trent’anni l’Europa ha coltivato la convinzione che potesse trasferire all’esterno la propria sicurezza, la propria industria e perfino il proprio destino storico. La NSS del 2025 smentisce questa illusione con una chiarezza che non ammette interpretazioni benevole. E se l’Europa continuerà a non capirla, sarà travolta dagli eventi.
La strategia del 2022, figlia del vecchio internazionalismo liberal, sosteneva che la globalizzazione fosse correggibile: bastava più governance, più cooperazione, più regole. Si parlava di “decisive decade”, quasi che la storia aspettasse la definizione di un’agenda multilaterale per prendere forma. Ma mentre Washington si dedicava alla ricucitura diplomatica, il mondo reale seguiva un’altra logica: la Cina consolidava il suo primato industriale, la Russia riaffermava la propria proiezione di potenza, e il Medio Oriente mostrava che la geopolitica non conosce vacanze regolatorie.
La NSS del 2025 affronta questa realtà con brutalità analitica. Identifica nel globalismo non la soluzione, ma la causa del declino occidentale. Non è un dettaglio ideologico: è un giudizio storico. L’America – e non l’Europa – è il primo Paese occidentale ad aver riconosciuto che l’interdipendenza senza difese produce vulnerabilità e non pace; dipendenza industriale e non progresso; confusione strategica e non stabilità. Ciascuna nazione deve tornare a reggersi sulle proprie gambe, perché nessun sistema di regole astratte può sostituirsi alla forza economica e alla deterrenza.
La nuova strategia americana ruota attorno a tre verità che l’Europa continua a negare.
1) un Paese che perde il controllo delle tecnologie critiche perde anche la sovranità politica, perché la superiorità militare ed economica dipendono oggi da semiconduttori, intelligenza artificiale e catene di approvvigionamento protette.
2) un Paese che rinuncia ai confini, materiali e immateriali, rinuncia anche alla propria identità strategica.
3) la cooperazione internazionale è possibile solo tra soggetti forti; i deboli la subiscono.
Da queste premesse discende l’impianto della NSS 2025: reshoring industriale, protezione delle tecnologie di punta, separazione selettiva dalla Cina nelle filiere più sensibili, riduzione degli impegni internazionali improduttivi e ridefinizione delle priorità territoriali. Gli Stati Uniti non si ritirano dal mondo: lo ricostruiscono sulla base di rapporti di forza, non di principi astratti. Tornano alla concretezza delle sfere d’influenza, che tutti applicano ma solo loro hanno avuto il coraggio di ammettere.
Il richiamo ai Paesi europei affinché portino la spesa militare verso il 5% del Pil è solo apparentemente tecnico. È un ultimatum politico: l’era in cui Washington copriva le fragilità strategiche dell’Europa è finita. Chi non provvede alla propria difesa non potrà più pretendere protezione automatica. L’Europa, invece di interrogarsi sulle proprie omissioni, risponde con fastidio burocratico, come se la sicurezza fosse una voce di bilancio e non la condizione preliminare della libertà economica.
L’Europa appare oggi come il grande malato del sistema internazionale:
- demograficamente in declino,
- industrialmente soffocata da una regolazione che ignora la competizione globale,
- strategicamente dipendente da decisioni altrui,
- e priva di una classe dirigente capace di interpretare il cambiamento strutturale in atto.
La UE continua a credere che sia sufficiente dichiarare obiettivi climatici ambiziosi per ottenere crescita; che la moneta unica basti a garantire stabilità; che la cooperazione sia un valore in sé, senza capire che senza forza interna nessuna cooperazione è possibile. La Storia è piena di imperi che sono caduti non per sconfitte militari, ma per cecità strategica.
L’Italia, in tutto questo, paga doppio. Ha creduto che la globalizzazione fosse un sostituto della politica industriale, che l’Europa avrebbe compensato la perdita di sovranità economica e che il debito potesse essere gestito senza crescita reale. Oggi scopre che nessuno di questi presupposti regge. È esposta nella tecnologia, nell’energia, nella difesa, nella finanza. E continua a illudersi che la soluzione verrà da Bruxelles, proprio mentre gli Stati Uniti stanno chiedendo ai loro alleati di comportarsi come Stati e non come province di un’entità indefinita.
La NSS 2025 non invita gli europei al sovranismo: fa qualcosa di più scomodo. Ricorda loro che senza sovranità non esiste sviluppo, né competitività, né democrazia. È un messaggio che l’Italia, se vuole tornare un attore e non una variabile dipendente, dovrebbe assumere senza esitazioni. La sovranità non è un feticcio ideologico; è la condizione fondamentale per partecipare al mondo multipolare che sta nascendo.
Il dato più rilevante, e più ignorato, è che la nuova strategia americana non è antisistema: è post-globalista. Assume che il sistema precedente non esiste più. In questo senso, la NSS 2025 è un testo di verità. Dice agli europei che gli Stati Uniti non saranno più il garante universale della loro sicurezza né il salvagente delle loro inefficienze.
Non ostilità, ma qualcosa di più radicale: indifferenza. E l’indifferenza, nella storia delle potenze, ha sempre anticipato gli smottamenti più profondi e chi non comprende questo passaggio rischia di ritrovarsi travolto.
La sovranità non è un lusso: è la condizione minima per sopravvivere nel nuovo ordine mondiale.
Domande e risposte
Qual è la differenza principale tra la strategia USA del 2022 e quella del 2025? La differenza è sostanziale e filosofica. La strategia del 2022, figlia del pensiero liberal, vedeva la globalizzazione come un processo positivo che necessitava solo di migliori regole e maggiore cooperazione. La NSS 2025, invece, considera il globalismo la causa stessa del declino occidentale, riconoscendo che l’interdipendenza economica senza protezioni crea vulnerabilità strategica. Si passa dall’illusione di un mondo governato da regole condivise alla presa d’atto di un mondo basato sui rapporti di forza e sulla necessità di reshoring industriale.
Perché la richiesta del 5% del PIL per la difesa è definita un “ultimatum”? Non si tratta di una semplice richiesta tecnica di aggiustamento di bilancio. Indicando una cifra così elevata, Washington segnala politicamente la fine dell’era in cui gli Stati Uniti garantivano automaticamente la sicurezza europea. È un messaggio brutale: l’America non intende più coprire le fragilità strategiche di alleati che non investono nella propria difesa. Chi non contribuisce in modo massiccio alla propria sicurezza non potrà più contare sull’ombrello americano incondizionato, segnando un cambio di paradigma nell’Alleanza Atlantica.
In che modo questo scenario impatta specificamente sull’Italia? L’Italia subisce un doppio colpo. Ha rinunciato per anni a una politica industriale nazionale credendo che la globalizzazione e l’UE avrebbero compensato le perdite di sovranità economica. Ora si ritrova esposta su tutti i fronti critici (energia, tecnologia, finanza) in un momento in cui gli USA chiedono agli alleati di comportarsi come Stati forti e autonomi. L’illusione che “Bruxelles ci salverà” crolla di fronte alla richiesta americana di sovranità concreta, mettendo a nudo la mancanza di una classe dirigente pronta a questa sfida.








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