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LA STRADA ALTERNATIVA AL PROBLEMA PENSIONI di V. Malvezzi è A.M. Rinaldi.

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Da anni, troppi, assistiamo basiti alla divulgazione del pensiero unico neoliberista, estero vestito ma importato per convenienza di pochi, che in materia di pensioni recita sostanzialmente così: “andare in pensione è un lusso e, dato che non possiamo più permettercelo, l’unica strada possibile è portare le persone a lavorare più a lungo.”

Migliaia di giornalisti e opinionisti italiani, senza alcuno spirito critico, hanno recitato per anni questo mantra, che ha condotto una classe politica intera a ritenere, tra lacrime varie, che fosse sensato pensare che ci sia una unica strada; quella di condurre coloro che già lavorano a lavorare fino allo sfinimento anagrafico.

Naturalmente, come tutte le soluzioni imposte per partito preso, non è affatto vero che questa sia l’unica soluzione possibile; solo che l’altra, quella che proponiamo noi, comporta ridiscutere criticamente il modello economico, e questo, da parte del pensiero unico neoliberista, non è nemmeno concepibile.

Ma andiamo per ordine, e dimostriamo il nostro ragionamento con pochi numeri, essenziali, e 4 soli grafici.

Il punto dal quale partire è questo:

Fig. 1 – Bilancio INPS

In parole povere, non sta in piedi.

Quello su cui noi divergiamo non è nell’analisi, ma nella soluzione. I bilanci, in estrema ratio, si reggono quando le componenti positive di reddito (entrate), sono superiori alle negative (uscite). Semplicemente, non ha nessun senso pensare di risolvere il problema portando le persone a lavorare fino ad età insostenibili dal fisico umano, perché non è sufficiente a risolvere il disavanzo. Quello che farebbe un uomo d’azienda, di fronte a questa fotografia di bilancio, sarebbe chiedersi: ma è possibile aumentare le entrate e ridurre le uscite? La risposta è sì, ovviamente, e la soluzione è tanto semplice quanto incredibile il fatto che per anni si stia cercando di negarne l’evidenza. Naturalmente, occorre vedere se via sia spazio di manovra, cioè fare quella che in una analisi strategica di un’azienda privata sarebbe un piano marketing del servizio.

Come è composta – realmente – la struttura dell’occupazione italiana?

Questa è la domanda chiave alla quale si deve dare risposta, per risolvere il problema pensioni; occorre cioè un pensiero laterale per capire che non si risolve agendo sul lato degli occupati (portandoli a lavorare per più tempo, perché rimarrebbe inalterato l’altro lato del bilancio, cioè le uscite), ma sul lato degli inoccupati (perché così facendo si agirebbe su entrambe le colonne del bilancio, riducendo costi e alzando i ricavi).

Quali sono i numeri?

Fig. 2 – Distribuzione percentile dell’occupazione

Sono numeri spaventosi, nella loro chiarezza.

Può reggere un sistema del genere, considerando la ben nota curva dell’invecchiamento della popolazione che toccherà il suo massimo entro una decina d’anni?

Sembrerebbe che la disoccupazione sia tutto sommato compatibile con quella di un normale sistema economico, ma i dati statistici vanno interpretati. Il dato che va analizzato con attenzione è la percentuale di persone inattive, tra le quali, nella fascia normalmente considerata in età da lavoro (15-64 anni), ci sono quasi 9 milioni di persone, tra le quali molte che non risultano nemmeno nelle statistiche di chi cerca il lavoro, perché ormai “hanno perso ogni speranza” e di fatto non lo cercano nemmeno più.

Allora, proviamo a rileggere i dati in modo ancora differente, facendo una semplice aggregazione di numeri, considerando insieme sia i disoccupati sia – de facto – gli inoccupati.

Troviamo così questa nuova fotografia dell’Italia:

Fig. 3 – Distribuzione numerica dell’occupazione

Questa fotografia ci consente di comprendere una diversa realtà: pur tralasciando gli “inattivi per studio”, cioè gli studenti  – anche se tra questi è ragionevole immaginare sia possibile sviluppare politiche di inserimento nel mondo del lavoro durante il periodo di studio – rimangono comunque oltre 11 milioni di persone che, di fatto, sono disoccupati o inattivi, cioè non producono reddito e di conseguenza costano due volte allo Stato: perché in parte sono un costo sociale e in altra parte sono una mancata copertura di oneri al sistema pensionistico.

Siamo sicuri che queste persone non vorrebbero lavorare?

Siamo piuttosto sicuri del contrario; quanto meno, esiste un bacino occupazionale molto superiore a quello normalmente considerato.

Ricordiamo quindi che abbiamo quasi un 40% di persone che lavorano e quasi un 20% di altre persone che potrebbero lavorare, ma non lavorano. Questo significa ragionare in termini strategici, lasciando perdere i dettagli, poiché “de minimis non curatPraetor”.

Stiamo alle cose essenziali e semplici da capire, per concludere unragionamento comprensibile a tutti.

Proviamo ora, per puro esercizio, ad aggregare ulteriormente le tabelle, considerando da una parte chi lavora e dall’altra chi non lavora.

Ne risulta la fotografia seguente:

Può un sistema economico reggersi con una struttura nella quale circa il 60% della popolazione vive sulle spalle del 40% che risulta economicamente attiva?

La risposta, come ben sappiamo, è evidente.

Ma, se il lettore ricorda i macro numeri del ragionamento, qualora si puntasse, come prevedono non certo i Trattati Europei o la Banca Centrale Europea – ma la Costituzione Italiana, sì! – alla piena occupazione, e come avverrebbe in un sistema economico di tipo keynesiano, nel quale il compito primario di uno Stato sarebbe quello di sostenere investimenti produttivi e sostegno alla domanda interna, allora i numeri di questa fotografia si rovescerebbero, perché quasi un 20% della torta si potrebbe spostare, con il duplice e combinato effetto di incrementare le entrate e di ridurre i costi di tipo socio assistenziale.

Capiamo benissimo che ci saranno coloro che diranno che abbiamo scoperto l’acqua calda, poiché- chiederanno – se le cose sono così semplici da capire, per quale motivo non si fanno?

Per la sola e semplice ragione che insistere da tanti anni a dire che si deve prolungare l’età pensionabile degli attuali occupati è, strategicamente, un modo per distrarre l’attenzione della gente su questa diversa visione del problema.

Da molti anni si racconta la favola che non possiamo permetterci il lusso di andare in pensione – e quindi si dovrebbe lavorare sempre di più – per la sola e semplice ragione che non si vuole ammettere che il modello economico neoliberista, voluto dal pensiero unico estero vestito, da decenni impone un livello di disoccupazione elevato poiché è strumentale al trasferimento del potere, prima economico e poi sociale – dai molti ai pochi.

Infatti, è esattamente ciò che è successo, nella distribuzione percentile della ricchezza in Europa, non solo in Italia.

Ragionare in modo diverso, e dire le cose come stanno – e cioè che il sistema pensionistico si regge solo facendo lavorare le persone inoccupate – significherebbe scardinare dalle fondamenta gli assunti dei vincoli alla spesa pubblica, in primis le regole del “pareggio di bilancio” e del “fiscal compact”, che sono considerati dal pensiero unico neoliberista argomento tabù, al punto che fu sciaguratamente inserito da un Parlamento ricattato, inetto e debole, nella nostra amata Costituzione.

Crediamo di aver dato molto fastidio ai dotti soloni che sdegnatamente ci diranno che abbiamo scoperto l’acqua calda e che abbiamo semplificato un problema complesso; in effetti, a pensarci bene, era proprio quello che ci eravamo ripromessi di fare.

Dar loro fastidio, si intende.

Valerio Malvezzi e Antonio M. Rinaldi


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