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LA RELIGIONE DELL’EXPORT. PERCHÈ NON SEMPRE FUNZIONA? (di Luca Tibaldi)

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IMPORT-export

Da anni ormai sembra che uno degli indicatori che esprimono maggiormente lo stato di salute di un’economia sia il tasso di esportazioni.
L’Unione Europea in particolare è uno degli esempi più lampanti di questa ideologia. “L’economia deve dirigere gran parte delle risorse verso le esportazioni. Se lo fa, allora l’economia funziona. Se non lo fa, allora l’economia è in crisi. Le esportazioni rappresentano un motivo di orgoglio nazionale, perchè vuol dire che all’estero le tue merci piacciono molto”.

Il rapporto esportazioni-importazioni crea, all’interno dello stato, quello che viene chiamato “settore estero”. Sia chiaro: naturalmente le esportazioni non sono un male assoluto nè un un aspetto totalmente positivo, così come non lo sono le importazioni. Entrambi hanno vantaggi e svantaggi. Se un Paese esporta molto, vuol dire che ottiene denaro dall’estero. Se importa molto, vuol dire al contrario che ottiene nuovi prodotti stranieri.

Ciò che non funziona è questo pseudofanatismo che imperversa in particolare in Europa. Il Paese più grande del continente ha puntato TUTTO sulle esportazioni, anche a costo degli stessi lavoratori, e la strada imboccata dall’UE costringe anche gli altri Paesi a fare altrettanto.
Vorrei solo far notare alcuni semplicissimi aspetti.

1) La “religione” delle esportazioni dimostra l’ipocrisia della nostra classe dirigente. Se veramente le esportazioni fossero ciò a cui dobbiamo aspirare, perchè restiamo nell’Euro, che è una moneta sopravvalutata e che quindi DISINCENTIVA le esportazioni? Come puoi dire che le esportazioni sono un bene… e poi mantenere una moneta che le danneggia?

2) Le esportazioni troppo spesso vengono pagate sulla pelle dei lavoratori. La Germania è l’esempio più palese di questa affermazione. Un Paese che esporta molto si apre inevitabilmente alla concorrenza globale. E nella situazione attuale ci sono dei Paesi che riescono a rendere le loro merci più competitive riducendo il costo del lavoro (quasi sempre tagliando i salari). Quindi ecco che se io voglio continuare ad esportare quei prodotti devo renderli più convenienti (altrimenti nessuno me li compra), perciò la via più semplice è ridurre il costo del lavoro anche io. Ed ecco che inizia un processo deleterio, una gara al ribasso che sacrifica salari e diritti dei lavoratori per rendere i prodotti più appetibili all’estero. Non per niente i salari tedeschi sono stagnanti da moltissimi anni. Quante volte avete sentito negli ultimi anni di aziende pronte a licenziare centinaia di dipendenti in caso essi non accettino un consistente taglio ai salari? Ecco.

3) Le esportazioni ti rendono dipendente dalla domanda estera.
Ragionate un momento. Io sono un Paese che punta tutto sulle esportazioni. All’estero comprano i miei prodotti e io ne sono contento.
Domani quei Paesi si stufano dei miei prodotti, oppure in quei Paesi scoppia una crisi. Ecco che nessuno acquista più le mie merci. Sì, posso cercare nuovi mercati. Ma se in quei nuovi Paesi nessuno vuole i miei prodotti? E se la crisi è globale?
Risultato: io non vendo più, le aziende non hanno ricavi, i lavoratori vengono licenziati, le aziende chiudono, arriva una multinazionale ad acquisirle per due lire.

4) In un Paese ci sono due tipi di ricchezza: il denaro e i beni reali. Ma in realtà qual è l’unico tipo di ricchezza vera? Ovvio, il bene reale. Se uso la monetina per comprare la caramella, sono soddisfatto e sono ricco non perchè ho la monetina, che è solo uno strumento, ma perchè ho la caramella.
Cosa fanno le esportazioni? Danno le caramelle a tutti e in cambio mi danno le monetine. Cioè allontanano la ricchezza reale per avere in cambio uno strumento. È come se io scambiassi un televisore con un telecomando. Cosa me ne faccio del telecomando se non ho il televisore? (ragionamento molto semplificato, ovviamente).

5) Tutto l’esercito di lavoratori che produce merci destinate all’export, molto semplicemente, viene impiegato per dare ricchezza agli stranieri. Immaginate cosa potrebbe succedere se quei lavoratori fossero impiegati per il mercato italiano…
Ricchezza vera in Italia, circolo di denaro in Italia (acquisti, vendite), nessuna gara al ribasso sulla pelle dei lavoratori, etc.

6) Se un Paese esporta, necessariamente deve essercene uno che importa. Se io vendo, deve esserci qualcuno che compra.
Bene. Ora mi spiegate come è possibile che TUTTI i Paesi vogliano esportare sempre di più? E poi chi compra quei prodotti? La Luna? Marte? I Klingon?
Ovviamente sappiamo benissimo che ogni Paese importa ed esporta contemporaneamente, ma se TUTTI destinano la loro forza lavoro soprattutto sulle esportazioni, necessariamente scomparirà chi compra quei prodotti. E quindi ecco che arriva una crisi da sovrapproduzione, devastante per le imprese.

Questi sono solo alcuni dei motivi per cui bisogna allontanarsi da questa religione.
Naturalmente con questo non si intende in nessun modo affermare che le esportazioni siano il Male. Anzi, se le esportazioni fossero inferiori alle importazioni, comunque sia perderemmo denaro, quindi sarebbe ugualmente negativo (con la differenza però che lo Stato sovrano non può MAI restare senza denaro, grazie alla spesa a deficit).
La situazione ideale sarebbe quella di sostanziale parità tra importazioni ed esportazioni (in modo tale che continui ad esserci il prestigio nazionale dovuto alla vendita di prodotti all’estero, ma che contemporaneamente lo stato guadagni denaro e nuovi prodotti), rendendo il bilancio settore estero tendenzialmente nullo, pari a zero.

In questo modo anche il saldo statate risulterebbe semplificato, rendendo protagonisti gli altri due settori che fanno “andare avanti” lo stato, cioè il settore pubblico e il settore privato.

 


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