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Politica

LA PULCE E L’ELEFANTE, PARDO E FRIEDMAN

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La perniciosa tendenza

(Il problema greco)

 

Gli osservatori economici, per esempio Stefano Lepri sulla “Stampa”, ci dicono che la situazione della Grecia sta ancora peggiorando. In particolare, i rimedi di cui si parla oggi sarebbero stati risolutivi qualche tempo fa, all’inizio del problema, ma ora non lo sono più. Naturalmente si prospettano altre soluzioni, ma da un lato c’è il rischio che esse non siano accettate da Atene, dall’altro che, pur accettate, invece di condurre alla soluzione del problema, esse conducano ad un ennesimo rinvio dell’esito finale.

Quando un male è progressivo e letale, se c’è un rimedio, è quello che va adottato. Anche se si tratta di un’operazione, di una castrazione, di un’amputazione. Cose che nessuno affronta volentieri, certamente: ma, se di fronte ad un male inarrestabile ci si ostina con rimedi non risolutivi, si può al massimo procrastinare la morte, non certo evitarla.

Purtroppo questo discorso convince soltanto gli individui, e non sempre. Il singolo almeno sa che sarà ancora lui a subire le conseguenze della sua decisione, quale che sia. Ciò invece non vale nella vita pubblica. Da un lato i governanti sanno che, molto probabilmente, se calmeranno il malato con gli analgesici, costui gliene sarà grato; mentre se, poniamo, gli amputassero una gamba, sarebbero quelli che l’hanno reso invalido. Soprattutto sanno che, nel momento in cui il male finisse con l’essere irrimediabile, loro non saranno più al potere e il biasimo ricadrà sull’incauto che quel potere avrà raccolto.

Questa perniciosa tendenza a mettere rimedio al sintomo presente e a rinviare la rogna è qualcosa di cui abbiamo fatto esperienza in Italia, accumulando un enorme debito pubblico, caricando cittadini e imprese di tasse e balzelli, concedendo troppi benefici a destra e a manca, e insomma creando i presupposti per la drammatica crisi in cui ci dibattiamo da anni.

Tuttavia il caso italiano non è il peggiore. Pur non essendo al riparo dalle conseguenze di problemi imprevisti (per esempio una crisi borsistica) siamo almeno al riparo dalle conseguenze dei problemi previsti. Viceversa la Grecia è all’ultimo stadio, essendo già tecnicamente fallita. La particolarità del problema è visibile dal lato di Bruxelles. È qui che si tiene così appassionatamente a che il fallimento della Grecia non sia pubblicamente dichiarato. Per motivi d’immagine, e per non correre rischi borsistici, assolutamente non si vuole la sua uscita dall’euro e la cessazione dei pagamenti ai creditori (quasi quattrocento miliardi di euro).

Questo punto deve essere assolutamente chiaro. Se il fallimento della Grecia non disturbasse nessuno, a quel fallimento si sarebbe già arrivati anni fa. Invece, dal momento che esso può essere dannoso per l’eurozona, fino ad ora si è rinviato il problema. Si sono concessi altri prestiti, aumentando il totale e rendendo ancora più difficile il suo rimborso: il tutto solo per guadagnare ancora tempo.

Ed ecco il paragone col male progressivo e letale. Invece di adottare il provvedimento risolutivo sin dal primo momento in cui il problema si è manifestato, si è fatto ricorso a palliativi. Si è permesso alla malattia di progredire e di divenire sempre più difficile da contrastare. E oggi il problema è insolubile. Perché la soluzione non sta nel presente, sta nel passato. Quando il coccodrillo somigliava ancora ad una grossa lucertola, lo si poteva uccidere. Ora che è lungo cinque metri chi può affrontarlo?

Lasciando che la Grecia cessi i pagamenti, i creditori avranno una enorme perdita (l’Italia circa trentanove miliardi, e non è il principale creditore), e finanziando ancora la Grecia, con ulteriori prestiti, si rischia d’avere in futuro una perdita ancora maggiore. Ecco perché le trattative sono interminabili e si va avanti a via di rinvii. Il governo greco non ha nessun’arma, contro l’Europa, per obbligarla a cedere, se non la stessa paura che l’Europa ha della crisi greca. Ma si possono obbligare i cittadini dell’eurozona a tassarsi per permettere alla Grecia di vivere al di sopra dei propri mezzi, a tempo indeterminato? Quanto tempo potrebbe andare avanti un’anomalia di questo genere? E quale sarebbe l’esito finale, quando la situazione fosse assolutamente insostenibile e non si potesse più rinviare la catastrofe?

Il buon senso ha da tempo indicato la soluzione. Se l’esito finale è inevitabile, e se, venuto il momento, si dovrà fare questo, questo, e quest’altro ancora, ebbene, facciamo subito questo, questo e quest’altro ancora. Rinviare l’ineluttabile è stupido.

Ma la storia è piena di fenomeni di stupidità. La Francia che non si riarma, e rimane con la struttura militare della Prima Guerra Mondiale, mentre la Germania, in violazione dei trattati, si dota di un esercito moderno, motorizzato e corazzato, è stata forse più intelligente dell’Europa attuale?

La verità l’ha scritta Shakespeare: la vita è “una favola raccontata da un idiota piena di rumore e di furore, che non significa nulla”.

Gianni Pardo pardonuovo.myblog.it

5 giugno 2015

IL PRINCIPIO DI ANNA KARENINA

(Il problema europeo)

Il romanzo “Anna Karenina” di Leone Tolstoi comincia con alcune delle righe più famose della letteratura: “Le famiglie felici si somigliano tutte; ogni famiglia infelice è infelice in un modo diverso”. Secondo questa idea, per essere felice, una famiglia deve risolvere un grande numero di problemi complessi e interconnessi, che vanno dall’amministrare del denaro all’affrontare l’adulterio, e non fallire in nessuno di loro. Il concetto ha dato luogo al “principio di Anna Karenina”, che insegna che l’insufficienza in uno qualunque di un certo numero di fattori condanna al fallimento o, semplicemente, all’infelicità.

L’Unione Europea può aver scelto l’”Ode alla gioia” del poeta Friedrich Schiller, usato da Beethoven nella sua Nona Sinfonia come suo inno, ma non è più una famiglia felice da molto tempo. Il blocco aumentò il numero dei suoi membri e delle sue prerogative negli anni a partire dal 1990 e fino ai primi del Duemila, perché tutti sembravano averne dei benefici. Finché gli Stati membri hanno avuto una crescita e la disoccupazione è stata bassa, i governi e i votanti hanno sostenuto il procedimento dell’integrazione continentale. La crisi economica ha cambiato tutto questo in modo drammatico, per l’Europa, e l’unione è divenuta “infelice” da parecchi punti di vista.

Al momento, l’attenzione del Continente è concentrata sulla Grecia, e con ragione. La profonda crisi economica di quel Paese è una minaccia per il progetto europeo, se non dal punto di vista finanziario, almeno dalla prospettiva politica. Un “Grexit” potrebbe aprire la porta perché altri Paesi lascino l‘unione in una progressiva frammentazione che potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Come avrebbe potuto dire Mark Twain(1), ciò che si dice della morte dei conservatori inglesi è largamente esagerato. Contraddicendo tutte le indagini demoscopiche, David Cameron è stato facilmente rieletto in maggio ed ora ha più fiducia che mai nella possibilità di spingere ad una rinegoziazione dei trattati fondativi dell’Unione Europea. Considerando la mancanza di appetito che c’è nell’Europa continentale riguardo al cambiare i trattati, il governo britannico dovrà presto decidere se desidera fare campagna per ciò che alcune persone ormai chiamano “Brexit”.

Mentre la maggior parte degli occhi europei sono fissi sulla Grecia indebitata e povera, una nazione insulare orgogliosa e ricca si sta muovendo lentamente ma continuamente verso il momento in cui terrà un referendum sull’associazione all’UE.

Nel frattempo, più sottili processi hanno luogo altrove in Europa. In Spagna, il sistema bipartitico che ha garantito la stabilità politica per quasi quattro decenni sta crollando. Potrebbe essere sostituito da un sistema multipartitico in cui i partiti di protesta potrebbero avere una notevole voce in capitolo nella determinazione della politica da seguire. In Italia, il governo di centro sinistra al potere sta perdendo terreno di fronte alle forze di destra e antisistema le quali, pure se mancano di unità, rappresentano l’insoddisfazione di una nazione che fronteggia una stagnazione economica secolare. Perfino in Polonia, l’unico membro dell’UE che abbia evitato la recessione durante la crisi, i cittadini recentemente hanno punito l’establishment votando per la protesta e per i partiti nazionalisti nelle elezioni presidenziali dello scorso mese. In modi molto diversi, anni di crisi economica e di frammentazione politica inducono la gente a dubitare del progetto europeo e delle élite che sono percepite come il suo sostegno.

Mentre l’Unione Europea si sta sbriciolando ai suoi margini, il nocciolo sta provando a trovare risposte e soluzioni. I ministri economici di Francia e Germania hanno scritto insieme un articolo, il 3 giugno, in cui formulavano un appello per riforme istituzioni che dovrebbe assicurare una più grande convergenza economica in Europa. Secondo i rappresentanti francesi e tedeschi, il nocciolo di questa nuova fase di integrazione sarebbe la creazione di un comune bilancio per l’eurozona.

L’idea sembra promettente, in superficie, ma non risolve realmente i problemi-chiave fondamentali dell’Unione Europea: la Germania sarà disposta a condividere la sua ricchezza nazionale con i Paesi più economicamente deboli del sud? La Francia perderà la speranza di avere la capacità di raccogliere e spendere il reddito dello Stato (l’ultima espressione della sovranità nazionale)?

Gli ultimi sei mesi sono stati ottimi per la Francia dalla prospettiva europea. Alla fine del 2014 la Commissione dell’UE ha concesso a Parigi un tempo supplementare per raggiungere i suoi obiettivi di bilancio. All’inizio del 2015, la BCE ha introdotto un programma di acquisto di titoli di Stato che ha condotto ad un euro più debole, una delle massime richieste della Francia. Il problema per il Presidente francese François Hollande è che la timida ripresa francese non è seguita da una riduzione della disoccupazione e che, anche se ciò si verificasse, la maggior parte dei votanti francesi ha perso fiducia in lui. In Germania, i bassi livelli di disoccupazione e la modesta crescita economica hanno attutito l’impatto di queste misure impopolari, ma i conservatori tedeschi divengono ogni giorno più inquieti.  Gli stessi sostenitori della Cancelliera Angela Merkel la stanno criticando per il fatto che si muova pericolosamente vicino al centro, in modo preoccupante vicino ai piani francesi per l’Unione Europea.

Senza tener conto di ciò che ne sarà della Grecia, quest’anno, il futuro dell’Unione Europea è legato direttamente all’evoluzione dell’alleanza franco-tedesca. Anche se Parigi e Berlino fanno in modo da tenere le loro differenze d’opinione sotto controllo riguardo ai prossimi due anni, il 2017 sarà il momento della svolta, per il Continente. Quell’anno la Francia terrà le sue elezioni presidenziali, e i principali contendenti potrebbero essere un partito di destra e un partito di estrema destra, in competizione per vedere quale dei due è più euroscettico. Ciò sarà particolarmente vero se l’ex presidente Nicolas Sarkozy vincerà l’attuale lotta per il potere all’interno del suo partito. Anche la Germania terrà elezioni generali nel 2017, e se la Merkel decide di non presentarsi per un quarto mandato, le forze ribelli all’interno del suo partito potrebbero in fin dei conti decidere che la Germania non farà ulteriori concessioni ai Paesi europei più deboli. Infine, i votanti del Regno Unito potrebbero scegliere di non rimanere in un blocco che Londra non è riuscita a riformare a suo gusto.

Per decenni, la prosperità è stata la colla che ha tenuto insieme l’Unione Europea. Ora, in una certa misura, la paura dell’ignoto è divenuta il principio unificatore dell’Europa. La Grecia probabilmente non lascerà l’eurozona quest’anno. E non ha importanza. La famiglia europea è infelice in un numero sufficiente di campi per rompere i legami familiari.

George Friedman, Stratfor 0604

(Traduzione di Gianni Pardo)

(1) Lo studioso allude ad un episodio noto alla maggior parte degli americani. Un giornale pubblicò la notizia della morte di Mark Twain, e il famoso umorista gli scrisse una lettera, segnalando che quella notizia era “largamente esagerata”.

Il testo originale.

Leo Tolstoy’s Anna Karenina begins with one of the most famous lines in literature: “Happy families are all alike; every unhappy family is unhappy in its own way.” According to this idea, to be happy, a family has to solve a large number of complex and interconnected problems — ranging from the management of money to coping with adultery — and not fail to deal with any of them. This concept gave birth to the “Anna Karenina principle,” which dictates that a deficiency in any one of a number of factors dooms an endeavor to failure, or simply; “unhappiness.”

The European Union may have chosen the poet Friedrich Schiller’s “Ode to Joy,” used by Beethoven in his Ninth Symphony, as its anthem, but it has not been a happy family for a long time. The bloc grew in membership and prerogatives in the 1990s and early 2000s because everybody seemed to benefit. As long as member states were growing and unemployment was low, governments and voters supported the process of continental integration. The economic crisis changed things dramatically for Europe, and the union became “unhappy” in various ways.

At the moment, the Continent’s focus is on Greece, and rightly so. The country’s deep economic crisis is a threat to the European project, if not from a financial point of view, at least from a political perspective. A “Grexit” could open the door for other countries to leave the union in a progressive fragmentation that could have unforeseeable consequences.

While most European eyes are on poor and indebted Greece, a proud and wealthy island nation is slowly but steadily moving closer to holding a referendum on EU membership. As Mark Twain might put it, reports of the death of British Conservatives were greatly exaggerated. Contradicting all opinion polls, David Cameron was easily re-elected in May and now feels more confident than ever in his push to renegotiate the European Union’s founding treaties. Considering the lack of appetite for treaty change in continental Europe, the British government will soon have to decide whether it wants to campaign for what some people are calling a “Brexit.”

In the meantime, more subtle processes are taking place elsewhere in Europe. In Spain, the two-party system that guaranteed political stability for almost four decades is in the process of collapsing. It could be replaced by a multi-party system where protest parties have a larger say in policymaking. In Italy, the ruling center-left government is losing ground to right-wing and anti-establishment forces that, while lacking in unity, represent the dissatisfaction of a nation facing secular economic stagnation. Even in Poland, the only EU member that avoided recession during the crisis, citizens recently punished the establishment by voting for protest and nationalist parties in last month’s presidential election. In very different ways, years of economic crisis and political fragmentation are making people question the European project and the perceived elites that back it.

While the European Union is breaking apart at its edges, the core is trying to come up with answers and solutions. The economy ministers of France and Germany wrote a joint article on June 3, calling for institutional reforms to ensure greater economic convergence in Europe. According to the French and German officials, the core of this new phase of integration would be the creation of a common budget for the eurozone.

The idea seems promising on the surface, but it doesn’t really address some of the European Union’s key questions: Will Germany agree to share its national wealth with economically weaker countries in the south? Will France give up on its ability to collect and spend state revenue (the ultimate expression of national sovereignty)?

The past six months have been quite good for France from a European perspective. In late 2014, the EU Commission granted Paris extra time to meet its budget targets. In early 2015, the European Central Bank introduced a bond-purchasing program that led to a weaker euro — one of France’s main demands. The problem for French President Francois Hollande is that France’s timid recovery is not being followed by a decrease in unemployment and, even if that were the case, most French voters have already lost confidence in him. In Germany, low unemployment levels and modest economic growth have softened the impact of these unpopular measures, but German conservatives are growing increasingly restless. Chancellor Angela Merkel’s own supporters are criticizing her for moving dangerously close to the center — worryingly close to France’s plans for the European Union.

Regardless of what happens to Greece this year, the future of the European Union is linked directly to the evolution of the Franco-German alliance. Even if Paris and Berlin manage to keep their differences under control over the next two years, 2017 will be a turning point for the Continent. That is the year France holds presidential elections, and the main contenders could be a right-wing party and a far-right party competing to see which one is more Euroeskeptic. This is especially true if former President Nicolas Sarkozy wins the current power struggle within his party. Germany will also hold general elections in 2017, and if Merkel decides not to run for a fourth time, the rebel forces inside her party could ultimately decide that Germany will no longer make concessions for weaker European countries. Finally, voters in the United Kingdom may choose not to remain in a bloc that London failed to reform to its liking.

For decades, prosperity was the glue holding the European Union together. Now, to a certain extent, fear of the unknown has become the unifying principle in Europe. Greece will probably not leave the eurozone this year. It doesn’t matter. The European family is unhappy in enough ways to break the familial bonds apart.

George Friedman


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