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LA PROFEZIA DI NIETZSCHE

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Siamo a fine anno e quindi continuiamo a volare alto, e restiamo sul piano dei filosofi e delle profezie. Oltre a quella di Marx, un’altra merita di essere ricordata, e non perché sia stata smentita dai fatti, ma piuttosto perché si è inverata del tutto. Ed è strano. Infatti, Marx si piccava di poter vaticinare l’avvenire non in ragione di una innata facoltà medianica, ma semmai, e piuttosto, in virtù di una conoscenza scientifica e concretissima delle leggi non revocabili del divenire storico. Quando lui intravedeva la società senza classi si sentiva un po’ come l’astronomo che prevede l’approssimarsi di una cometa. Non servono poteri soprannaturali, per farlo. È una questione di studio e di applicazione delle leggi fisiche che governano la rivoluzione degli astri. Però Marx ha fallito.
 
L’altro filosofo, più o meno contemporaneo di Karl, è Frederich Nietzsche. Egli, come noto, era un’intelligenza nata anzitempo in grado di scrutare nel futuro proprio grazie alla sovrabbondanza di intelletto e di profondità di cui era superdotato e da cui era, parimenti, afflitto. Nella Gaia Scienza, egli narra la storia di quel folle il quale si reca al mercato per annunciare che Dio è morto e che gli uomini stessi sono i responsabili del divino omicidio, ma cerca di spiegare ai suoi storditi uditori quanto sia grande e leggendaria, eroica ed incommensurabile, quell’azione. E anche quanto stomaco – e quanto pelo sullo stomaco – ci voglia per sopportarne le conseguenze senza farsi soverchiare dal suo peso. Se uccidi Dio, devi avere la forza di farti dio tu stesso. Laddove Nietzsche impiegava la parola ‘Dio’ nel senso più lato possibile e cioè come simbolo di tutti gli ideali trascendenti, di tutti gli orizzonti ultramondani, di tutte le convinzioni spirituali e quindi, per logica conseguenza, di tutti i valori immateriali che da esse discendono. La storia del folle si chiude con una sconsolata constatazione: è troppo presto. Gli uomini non sono ancora pronti per una verità così traumatica e dinamitarda. A ben vedere, l’apologo nietzschiano è una profezia. E se quel folle tornasse oggi, potrebbe finalmente, e a buon diritto, sostenere che i tempi sono maturi. In questo senso, Nietzsche – pur muovendo da una base assai meno pretenziosa e scientifica di Marx – ha colto in pieno la deriva disumana odierna. Noi siamo gli abitatori del mondo in vista del quale il folle strologava. Magari non ne condividiamo gli assunti, ma è arduo non condividerne le conclusioni.
 
È questa l’epoca della spietatezza compiutamente dispiegata a livello globale. Tale spietatezza, nel senso etimologico di mancanza di pietas (e quindi di compassione, di solidarietà sociale e umana), si appalesa nel mondo non già con la violenza brutale e indiscriminata di guerre di conquista episodiche, ma con la raffinata e infallibile rapacità di un metodo di sopraffazione permanente. Generando così un’epoca ‘immobile’, eterna nelle intenzioni dei suoi architetti. Abbiamo persino i nuovi dei – indispensabili secondo Nietzsche per rimpiazzare la morte del dio tradizionale – che sono i mercati. E financo una ristretta elite di superuomini, dominatori del mondo, per i quali le masse sono solo insignificanti pedine in una scacchiera. Ma, fossi in loro, a capodanno non brinderei. Le profezie più efficaci non consistono nel prevedere ciò che accadrà, ma nel predisporlo. C’è un futuro diverso alle viste. E milioni di persone, ovunque e proprio ora, ci stanno lavorando.
 
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com

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