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La pensione “Contributiva” all’italiana, una balla…

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Una delle notizie che recentemente  ha guadagnato le prime pagine è stata la proposta del presidente dell’INPS Boeri relativa ad una riforma dell’ente previdenziale e , soprattutto , del metodo di calcolo delle pensioni.

Boeri, anche giustamente , se la prende con quelle pensioni troppo elevate ed ancora calcolate sul metodo retributivo. In Italia il il 42,5 % dei pensionati percepisce meno di 1000 euro, pesando solo per il 18,5% della spesa complessiva e con pensioni che non arrivano a 500 euro mensili, mentre il 4,6% dei pensionati percepisce più di 3000 euro mensili, pesando per il 15,2 della spesa (41 miliardi) e con una pensione media di 4236 euro. 

Vediamo quindi una sperequazione fortissima, ingiusta, che tra l’altro colpisce un istituto con grossi problemi di bilancio. Ricordiamo che l’INPS ha funzioni di “Previdenza”, pensionistico, e di “Assistenza”, come strumento sociale.

In mezzo a questa discussione si è introdotta una discussione relativa al passaggio al metodo “Contributivo”, da quello “Retributivo”. La legge Fornero impone il passaggio al sistema contributivo, in cui le pensioni sono quantificate sulla base dei contributi versati, rispetto alla situazione precedente in cui le pensioni erano calcolate sulla base delle ultime retribuzioni, più alte.

In realtà il problema è fittizio. Un vero sistema contributivo, come ad esempio quello Australiano, prevede che enti previdenziali investano oggettivamente i contributi ricevuti anno per anno sul mercato finanziario, generando rendimenti che, alla scadenza, con il capitale cumulato, pagheranno le pensioni. Il sistema prevede anche che , per chi non riesce a raggiungere un valore minimo di contributi annui, questi siano integrati dallo stato, generando quindi la possibilità di una pensione minima. Questo metodo contributivo , reale, genera una ricchezza cumulata da cui attingere per i pagamenti.

Nel sistema “Contributivo all’Italiana” invece i contributi versati sono solo una base di calcolo per la redistribuzione della massa dei contributi versati dai lavoratori ancora attivi, a cui aggiungere i trasferimenti statali. Non vi è cumulo ed infatti il “Patrimonio” dell’INPS è minimo è, per la verità, in perdita continua: secondo il commissario Treu il patrimonio immobiliare INPS ha generato, dal 2008 al 2013, perdite per 655 milioni di euro.  Il “contributivo all’Italiana” non aumenta la giustizia sociale per i pensionati, anzi, chi in vita ha avuto la fortuna di non essere mai licenziato viene ad essere avvantaggiato, mentre chi  ha patito periodi di disoccupazione, anche non per colpa propria, viene punito, in quanto non esiste un sistema di versamento “Virtuale” di contributi. Inoltre il sistema contributivo non assicura una maggiore corrispondenza fra “Versato” e “Ricevuto”, in quanto inquinato da situazioni di contributi nominali (vedi, ad esempio , i parlamentari) che comunque provocano distorsioni che vengono a cadere su tutta la società.

Un discorso serio sulle pensioni spazzerebbe via questa discussione fatua, che sembra fatta solo per ridurre il monte pensionistico totale pagato per venire incontro alle politiche di austerità europee, e considererebbe il sistema per quello che è : un sistema di garanzia sociale, di perequazione, non privilegio. Sarebbe ora, quindi di ricalcolare le pensione su una base più egalitaria, come avviene , ad esempio, in Svizzera, legando le pensioni massime ad un multiplo, piccolo, di quelle minime, in modo da non avere un 1% di superprivilegiati, ed un 50% di gente in povertà. perchè, comunque, quelli sono soldi che derivano dai lavoratori per garantire pace e benessere sociali, non privilegi.

 

 

 


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