Spazio
La natura ignora i nostri limiti: il muschio sopravvive nel vuoto cosmico e sopravvive al ritorno
Incredibile resilienza: muschio sopravvive 9 mesi fuori dalla ISS Un esperimento giapponese smentisce le previsioni: spore di muschio esposte al vuoto cosmico e alle radiazioni per 283 giorni sono tornate sulla Terra e hanno ripreso a crescere. Una scoperta che riscrive i limiti della vita.

C’è qualcosa di intrinsecamente affascinante e, ammettiamolo, vagamente umiliante, nello scoprire che un organismo apparentemente semplice come il muschio possiede capacità superiori rispetto a quello di molte tecnologie umane.
Un recente studio condotto dall’Università di Hokkaido in Giappone ha scosso le certezze della comunità scientifica spaziale. La premessa era semplice, quasi brutale: prendere delle spore di muschio, attaccarle all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) e vedere cosa succedeva. L’aspettativa? Morte certa. Il risultato? Una “genuina sorpresa”.
L’esperimento: sopravvivere all’impossibile
Il protagonista di questa storia è una specie diffusa nota come “muschio di terra” (spreading earthmoss). Non stiamo parlando di una pianta qualunque, ma di un organismo evolutosi oltre 400 milioni di anni fa. A differenza della flora più “moderna”, il muschio manca di un sistema vascolare complesso per il trasporto di acqua e nutrienti, una carenza che ha compensato sviluppando una resistenza straordinaria agli ambienti estremi, dalla tundra artica alle sabbie del Sahara. Sono speice vegetali definite “Pioniere“, perché si sviluppano la’ dove non si vi era vita prima.
Il team guidato dal professor Tomomichi Fujita non ha inviato nello spazio il muschio adulto, ma ha selezionato gli sporofiti, ovvero le strutture riproduttive che producono le spore.2 La selezione non è stata casuale. Prima del lancio, i ricercatori hanno sottoposto diverse forme di muschio a test rigorosi sulla Terra, simulando le condizioni spaziali:
- Vuoto cosmico;
- Microgravità;
- Oscillazioni termiche violente;
- Radiazioni ultraviolette (UV).
I dati hanno mostrato che le radiazioni UV erano il nemico numero uno. Gli sporofiti, protetti da meccanismi naturali più robusti, si sono dimostrati molto più resistenti rispetto al muschio giovanile o alle cellule staminali della pianta.
Il viaggio spaziale: andata e ritorno
Ecco come si è svolta la missione, in sintesi:
- Lancio: Marzo 2022, a bordo del veicolo cargo Cygnus di Northrop Grumman.
- Esposizione: Gli astronauti hanno fissato i campioni all’esterno della ISS.
- Durata: 283 giorni (oltre 9 mesi) di esposizione diretta al vuoto e alle radiazioni.
- Rientro: Gennaio 2023, a bordo di una capsula Dragon (l’unica capace di riportare carichi a terra intatti, a differenza della Cygnus che brucia al rientro).
Risultati: la vita trova (sempre) una strada
Quando i campioni sono tornati nei laboratori giapponesi, il team di Fujita si aspettava il peggio. “Ci aspettavamo una sopravvivenza quasi pari a zero”, ha ammesso Fujita, “ma il risultato è stato l’opposto”.
Non solo la maggior parte delle spore è sopravvissuta, ma una volta reidratate e poste in condizioni favorevoli sulla Terra, hanno ricominciato a crescere. Questo dimostra che la vita terrestre possiede, a livello cellulare, meccanismi intrinseci capaci di sopportare condizioni per le quali non si è mai evoluta direttamente. Una “cassetta degli attrezzi” genetica che potrebbe rivelarsi fondamentale per il futuro dell’esplorazione spaziale o per comprendere la resilienza della biosfera.
Dati chiave della missione
| Parametro | Dettaglio |
| Organismo | Muschio (Physcomitrium patens), sporofiti |
| Durata esposizione | 283 giorni |
| Luogo | Esterno della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) |
| Fattore di stress maggiore | Radiazioni UV |
| Esito | Ripresa della crescita vegetativa dopo il rientro |
Quindi ci sono specie vegetali che, nel loro stato quiescente, possono sopravvivere allo spazio esterno, aprendo la strada a una colonizzazione interplantaria. Solo la dimensione delle enormi distanze siderali sembra fermare la vita.
In conclusione, mentre noi umani abbiamo bisogno di tute pressurizzate, scudi termici e budget miliardari per sopravvivere lassù per poche ore, al muschio basta chiudersi in se stesso e aspettare tempi migliori. Una lezione di umiltà, e di biologia, da non sottovalutare.
Domande e risposte
Perché è stato scelto proprio il muschio per questo esperimento?
Il muschio è una delle piante più antiche della Terra, con una storia evolutiva di 400 milioni di anni. La sua capacità di sopravvivere in ambienti estremi sulla Terra (dal freddo artico al caldo desertico) e la sua struttura biologica semplice ma robusta lo rendevano il candidato ideale per testare i limiti della resistenza vegetale in condizioni extraterrestri.
Qual è stato il pericolo maggiore per le piante nello spazio?
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è stato il vuoto o il freddo estremo il nemico principale, ma le radiazioni ultraviolette (UV). Sulla Terra siamo protetti dall’atmosfera, ma nello spazio l’esposizione è diretta. Gli esperimenti preliminari hanno dimostrato che le radiazioni UV erano il fattore di stress più letale, motivo per cui sono stati selezionati gli sporofiti, che offrono una “schermatura” naturale migliore rispetto ad altre parti della pianta.
Quali sono le implicazioni pratiche di questa scoperta?
La scoperta che la vita multicellulare terrestre può sopportare l’esposizione prolungata allo spazio aperto suggerisce che gli organismi possiedono meccanismi di riparazione e protezione cellulare ancora non del tutto compresi. Questo potrebbe avere applicazioni future nell’agricoltura spaziale (coltivazioni su Marte o sulla Luna) e supporta indirettamente la teoria della panspermia, ovvero la possibilità che la vita possa viaggiare tra pianeti trasportata da asteroidi o comete.









You must be logged in to post a comment Login