Politica
LA MORALE E HIROSHIMA
In occasione dell’anniversario del bombardamento di Hiroshima abbondano i commenti. Interessante quello di George Friedman(1).
Il politologo sostiene che la guerra moderna cominciò con le armi da fuoco. Poiché, malgrado la loro potenza, esse erano poco precise, fu necessario avere molti soldati che sparavano contemporaneamente. E dato che era necessario un certo tempo per ricaricare, ecco si ebbero le tre file di soldati, quelli che sparavano, quelli che ricaricavano, e quelli che attendevano, in modo da avere un fuoco continuo.
Le armi da fuoco – fra cui la mitragliatrice – richiesero la produzione in serie in grandi fabbriche, e ciò cambiò lo scopo della guerra. “Uccidere un soldato eliminava un fucile, distruggere una fabbrica eliminava la possibilità di combattere per un grande numero di soldati”. E poiché “queste fabbriche, tipicamente, erano nelle città”, come lo erano anche le fabbriche che producevano i materiali semilavorati, e poiché le fabbriche stesse richiedevano gli operai, si rese necessario bombardare le città. Naturalmente, “ogni attacco a queste fabbriche avrebbe ucciso non soltanto gli operai ma anche i loro figli, e i figli del lattaio”. L’unico tipo di guerra che si poteva condurre nell’era industriale era appunto la guerra totale.
Friedman parla poi dell’italiano Giulio Douhet, il primo “profeta” della guerra condotta con l’arma aerea, e delle diverse strategie adottate dalla Prima Guerra Mondiale in poi. Si tendeva a distruggere le fabbriche ma, data la poca precisione dei bombardamenti, in concreto a distruggere intere città.
Da qui in poi segue la traduzione della parte centrale e finale dell’articolo.
Nella notte del 9 marzo 1945, 278 B-29s sferrarono un bombardamento con bombe incendiare su Tokyo che distrusse più di quaranta chilometri quadrati della città ed uccise, secondo le stime, centomila persone.
Il bombardamento di Tokyo seguiva la logica di Douhet. E la seguì pure la creazione della bomba atomica. L’idea di Douhet che la distruzione delle città era la chiave per vincere la guerra guidò la strategia degli Alleati contro la Germania e il Giappone. La bomba atomica era tecnologicamente un’arma radicalmente nuova, ma in termini di dottrina militare era semplicemente un passo avanti nella distruzione delle città. Gli effetti delle radiazioni erano molto mal conosciuti, al momento ma, anche tenendo conto delle morti dovute a forti radiazioni, il prezzo da pagare, come numero di morti, fu di meno di 166.000 persone, ad Hiroshima. Lo sviluppo della bomba atomica fu una delle più grandi imprese scientifiche di tutti i tempi, ma non fu necessario per distruggere le città. Questo era già stato fatto. La bomba atomica semplicemente fu un mezzo per realizzare lo stesso scopo usando soltanto un aeroplano e parecchi miliardi di dollari.
Gli stessi giapponesi non furono certi di ciò che era accaduto ad Hiroshima. Molti dei leader giapponesi smentirono i proclami americani del possesso di un nuovo tipo di bomba, pensando che ciò fosse semplicemente una continuazione delle distruzioni convenzionali delle città. Fu una delle ragioni per cui non si adottò [subito] la decisione della resa. I giapponesi erano preparati ad accettare perdite straordinarie. Infatti il bombardamento incendiario di Tokyo non li aveva indotti a parlare di resa. L’argomento era che dal momento che Hiroshima non era un caso speciale, non giustificava la resa. Recenti ricerche negli archivi mostrano che i giapponesi quella resa non la stavano pianificando. È vero, il Giappone aveva mandato emissari diplomatici a trattare. Ma si dimentica spesso che il Giappone attaccò Pearl Harbour mentre erano in corso negoziati. È in questo contesto che vanno presi in considerazione quegli emissari.
Ci sono coloro che sono convinti che i giapponesi si sarebbero arresi senza il bombardamento di Hiroshima. Ma essi non si erano arresi a causa del bombardamento di Tokyo. La guerra sottomarina – non i bombardamenti – avevano paralizzato l’industria del Giappone, ma questo già avveniva da molti mesi. E l’esempio di Okinawa, con i suoi attacchi di kamikaze e la resistenza a morte dei civili, toglieva le illusioni. Voi ed io possiamo sapere quello che sarebbe successo, ma il Presidente Harry S.Truman non poteva permettersi questo lusso.
Vi sono dunque due difese, dal punto di vista militare, per il bombardamento americano. Uno è che nessuno sul momento poteva essere certo di ciò che avrebbero fatto i giapponesi, perché una lettura dei fatti mostra che, anche dopo Hiroshima, perfino i giapponesi non sapevano che cosa avrebbero fatto. In secondo luogo, si stava sviluppando una dottrina e una realtà della guerra, un processo che era cominciato centinaia d’anni prima. Ma coloro che volessero smentire queste difese sarebbero obbligati a spiegare come si sarebbero comportati con regimi mostruosi come la Germania nazista e il Giappone imperiale.
La speciale attenzione su Hiroshiam è moralmente giustificabile soltanto nel contesto di una condanna di parecchi secoli di sviluppo militare. Il fatto può essere condannato, ma non so che differenza faccia. La logica del moschetto portava ineluttabilmente a Hiroshima. Ma il nocciolo della realtà cui esso portò fu questo: nel corso del tempo, la distinzione fra militari e civili era divenuta insostenibile. Lo scontro bellico cominciava nella fabbrica e finiva col soldato al fronte. Il soldato era la vena capillare. Le arterie della guerra erano nelle città.
Vi è una tendenza, nel nostro tempo, a chiedere che qualcuno faccia qualcosa per il problema del male. Vi è una volenterosa smentita della verità che qualunque cosa si faccia richiede azioni che sono male. Al riguardo la lezione morale di Hiroshima è duplice. La prima è che la dottrina militare, come le altre cose, è spietatamente logica. La seconda è che nell’affrontare la Germania e il Giappone la purezza morale era impossibile, fatto salvo lo scopo che era perseguito, che era quello di distruggere il male principale. Il Presidente Franklin D. Roosevelty capiva la logica della strategia e la logica della moralità, a mio parere. Per lui, le scelte erano determinate dalla dottrina militare e dalla natura del genere di male che affrontava. E Truman aveva ancora meno possibilità di scelta.
Hiroshima è stato un atto che è disceso logicamente dalla storia, e non possiamo retrospettivamente pretendere di conoscere ciò che i giapponesi avrebbero fatto o non fatto. Comunque, penso che se fossi stato lì, sapendo ciò che si sapeva allora – o perfino ciò che si conosce ora – sarei rimasto intrappolato in una logica che in ultima analisi giustificava sé stessa: il Giappone, si arrese, e l’Asia fu salvata da un grande male.
George Friedman
(riassunto e traduzione di Gianni Pardo)
(1)Debating the Morality of Hiroshima is republished with permission of Stratfor, Stratfor0811.
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