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LA MANOVRONA PER IL 2018: SOVRANITA’ PERDUTA? POCO MALE, BASTA CHE NESSUNO SE NE ACCORGA… (Barra Caracciolo)

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1. Lo sappiamo già, avendolo tante volte evidenziato: il nodo delle elezioni e della potenziale e conseguente formazione di un prossimo governo sta tutto nell’approvazione della legge di stabilità imposta dall’appartenenza all’eurozona.
C’è chi mostra di averlo capito, e ne predispone un metodo di risoluzione, e c’è che fa finta di non capirlo; e crede così, forse con successo, di potersi tirare fuori dalle responsabilità del più probabile metodo risoluzione del nodo in questione che sta delineandosi.

Ma questo nodo, – e dovrebbero accorgersene tutti, se fossimo in una normale situazione legalitaria, caratterizzata dalla “sovranità democratica del lavoro” prevista dalla Costituzione -, attiene alla decisione fondamentale che spetta agli organi di vertice, cioè, anzitutto, al plesso parlamento-governo: cioè alla decisione (quella, appunto, sulla manovra di stabilità), che più di ogni altra caratterizza l’assetto degli interessi economici e sociali della comunità nazionale e, come tale, che più caratterizza l’indirizzo politico che dovrebbe essere raccordato con la volontà popolare che emerge(rà) dalle elezioni.

2. Invece, il nodo si avvia ad essere risolto in un modo che, come preannunciano molte premesse e dichiarazioni politiche, prescinderà, secondo €uro-prammatica, dall’espressione del voto: assecondando la nuova ridislocazione della sovranità, la decisione fondamentale di indirizzo politico legislativo, sarà una mera conseguenza automatica e tecnocratica, predeterminata dal vincolo €sterno.
Le elezioni non potranno influire su tale caratteristica ormai strutturale del processo politico italiano, desovranizzato, e, entro questo quadro, l’apparente spazio di manovra spettante al governo, e che il parlamento, in qualunque composizione, sarà chiamato meramente a ratificare, riguarderà la eventuale flessibilità che sarà concessa, con potere sostanzialmente insindacabile, da parte delle istituzioni dell’eurozona.

3. Molti dei lettori potranno trovare questa premessa come qualcosa di scontato: ma, ammettiamo pure che fa sempre una certa impressione sentirlo ripetere nei suoi termini esatti, visto che il sistema mediatico mainstream si astiene sistematicamente dal rilevarlo.
Si pretende dunque che la questione sia, come si dice volgarmente, “passata in cavalleria” e accettata per “sfinimento”: come abbiamo notato qui e come sostanzialmente enuncia anche Luciani quando sottolinea: “…la classica questione del deficit democratico delle istituzioni eurounitarie, che pel solo fatto d’essere risalente alcuni vorrebbero cancellata – diciamo così – per stanchezza”.

4. Ma veniamo al metodo che si affaccia all’orizzonte, in vista delle elezioni, per superare il fatidico “nodo” dell’approvazione della manovra di stabilità senza doverne pagare (possibilmente nessuna forza politica) il prezzo elettorale.
Partiamo dal dato della legge elettorale: si profila un ampio accordo parlamentare sull’approvazione di un proporzionale fortemente temperato (quasi) alla tedesca: cioè con uno sbarramento al 5% ma con l’assegnazione del 50% dei seggi in collegi uninominali con sistema maggioritario (cfr: Il Messaggero di oggi pag. 3).
Il vantaggio di questa soluzione sta proprio nella peculiare (e apparentemente paradossale) soluzione al problema della governabilità che offre tale sistema.
La deriva di sgretolamento dei partiti di massa derivante dalla desovranizzazione legata alla devoluzione del potere di indirizzo politico-economico alle istituzioni internazionali (segnatamente a quelle dell’eurozona), quale ampiamente illustrata da Rodrik (sempre qui, p.6), rende difficile la raccolta del consenso della maggioranza, in Italia come altrove: i partiti non si occupano dell’assetto del conflitto distributivo tra capitalismo, che impone le regole del “diritto internazionale privatizzato” e comunità sociale, essendo il concetto di “piena occupazione”, com’è noto, subordinato alla stabilità monetaria e all’aggiustamento deflattivo sul lavoro.

5. Cosa si fa dunque?
Se ne prende atto, si strutturano partiti di potenziale governo, e opposizioni “principali”, sostanzialmente, e ostinatamente, indifferenti (nel messaggio politico che concretamente trasmettono sullo scenario elettorale), su questi punti precostituiti dal sistema istituzionale sovranazionale, e si procede a creare una situazione in cui nessuno sia direttamente investito della responsabilità politica interna di questa scelta.
Questa scelta deve apparire come uno sfondo scenografico inevitabile, una predeterminazione meteorologica del quadro delle decisioni politiche “possibili”, senza che costituisca più l’oggetto principale del dibattito politico e, ancor più, elettorale.

5.1. Il proporzionale alla tedesca risulta lo schema ideale per questo tacito accordo di deresponsabilizzazione delle forze politiche nazionali, che implica la contraffazione della realtà per cui nessun partito, tra quelli principali, ne assume il costo della scelta fondamentale in termini di perdita di consenso. I partiti sono destinati a ridursi, in funzione dello sbarramento:
a) a quelli che possono governare in varie e magari (parzialmente) inedite alleanze;
b) a quelli che, comunque, possono stare all’opposizione senza porre in contestazione, e far emergere, la de-sovranizzazione; che è poi inutilità del voto dato a questo o quell’altro partito che emergerebbe dall’applicazione dello sbarramento al 5% (infatti, ribadiamo, questo o quell’altro, ai fini della decisione fondamentale di indirizzo politico nazionale, “pari son”).

6. Verifichiamo nei fatti (dichiarazioni e “promesse” politiche), questa ipotesi ormai (molto) operativa.
Anzitutto: il Capo dello Stato, apprendiamo negli ultimi giorni dai principali media, pone come pregiudiziale, allo stesso “via libera” a qualsiasi scioglimento delle Camere, “la questione dei conti pubblici e degli impegni con l’UE, in nome dei quali il Quirinale teme lo scenario del voto in autunno” (FQ di oggi, pag.2).
Più esplicito ancora Il Messaggero odierno a pag.5:
“C’è uno scenario che preoccupa il Quirinale. Ed è quello che dalle urne non esca un chiaro vincitore e, dunque, occorrerà del tempo, in piena sessione di bilancio, per dar vita a un nuovo governo. Da qui la preferenza per il voto a scadenza naturale (nel 2018)…Oppure, in alternativa, l’idea di un “patto” che impegni chi siederà nel prossimo Parlamento a varare – come primo atto- la legge di stabilità entro il 31 dicembre, evitando l’esercizio provvisorio”.
E quindi, in questa ottica, di generale convenienza, per i partiti principali, di votare entro l’autunno con semi-proporzionale alla tedesca, prosegue l’articolo:
“il capogruppo del Pd, Ettore Rosato, in ogni caso mette a verbale: – Corriamo per vincere e dunque fare noi la manovra economica. Detto questo, se ci fosse una situazione di stallo, fin d’ora possiamo dire che….vuoti di potere in ogni caso non ce ne saranno; per l’ordinaria amministrazione resterebbe incarica Gentiloni..e come il Pd ha già fatto nel 2013 con Monti, quando votò il piano per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, in assenza di un nuovo governo voteremo la legge di stabilità-“.

7. Secondo punto.
Per votare la legge di stabilità, più che il precedente del 2013 citato da Rosato, vale quello, molto più vicino, del voto, rapidissimo, del 6 dicembre 2016, con il “congelamento” delle dimissioni del governo successive all’esito del referendum condizionate, appunto, alla pronta approvazione della manovra per il 2017.
In quell’occasione avevamo, tra l’altro, notato che “un governo che sia dimissionario, o dimissionario condizionato, svolge praticamente un identico ruolo “depotenziato” di fronte alle Camere ai fini dell’approvazione di bilancio e relativa “manovra”.
Se ci aggiungiamo che, in questo caso, il governo dimissionario sarebbe in più scorrelato da qualsiasi precedente rapporto fiduciario con le “nuove” camere, ne discenderebe che la legge di stabilità sarebbe, politicamente…figlia di tutti e di nessuno.

8. E qui entra in scena il terzo fatto.
Nel frattempo, evitata la prospettiva, almeno formale, di assumersi il peso della responsabilità politica (fittiziamente imputata al governo Gentiloni) della legge di stabilità, la maggior parte delle forze politiche (a onor del vero, eccettuata, allo stato, la Lega) avrebbero potuto fare campagna elettorale contando sulla comune ascrivibilità a “tutti” dell’assoggettamento ai diktat €uropei in materia di bilancio.
E ciò in quanto potranno invocare l’esigenza di un rispetto per la volontà del Capo dello Stato, in base ad un impegno che verrebbe offerto come mero strumento per arrivare alle agognate elezioni.
E senza dover ammettere che, in concreto, queste stesse elezioni non deciderebbero alcun nuovo indirizzo politico, potrebbero con tutta calma dedicarsi all’accordo post elettorale, nel nuovo parlamento.

8.1. Infatti, i tempi di formazione del nuovo governo, divenuta cosmeticamente irrilevante, come mera formalità ascrivibile semmai al Capo dello Stato, la manovra economica, – per un punto di PIL di consolidamento fiscale!!!-, potrebbero ricalcare queste esperienze:
“Dalla seconda guerra mondiale, i governi hanno avuto un tempo medio di formazione di 72 giorni, da paragonare alle 4-6 settimane necessarie per formare una tipica coalizione in Germania. Il record olandese sono i quasi sette mesi necessari nel 1977, ma anche ciò impallidisce rispetto al suo vicino, il Belgio, che dopo le elezioni del 2010 ha impiegto 541 giorni per arrivare a un accordo di coalizione”.
…E vogliamo parlare della Spagna?
316 giorni per formare un governo conservatore “di minoranza” in parlamento (dopo ben due elezioni rivelatesi inutili a chiarire una precisa maggioranza): un governo che si regge sull’astensione “collaborativa” (!) dei socialisti, che non hanno interesse a sottoporsi a una terzo voto politico in tre anni, dato che temono di uscirne letteralmente distrutti”.

9. Qui mi fermo.
Alcuni, forse, (pochi probabilmente) potranno riflettere sulla connessione tra questo scenario, appena descritto, e questo post e il dibattito che ne è seguito nei commenti: magari, con una esemplificazione così concreta potranno comprendere meglio il senso urgente di certe “correzioni”.
Morale della favola: la sovranità è perduta (insisto almeno sul punto 1 e sul post da esso richiamato)?
Poco male, basta che nessuno se ne accorga…

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