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LA GRANDE SFIDA DEI PAESI EMERGENTI (di Paolo Cardena’)

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Cosa hanno in comune la crisi asiatica del 1997, quella messicana del 1994, quella dell’america latina degli anni ’80 e quella russa del 1998? Semplice rispondere: Il dollaro forte nei confronti delle rispettive valute.
Ogni volta che scoppia una crisi finanziaria, debitori e creditori affermano di aver imparato la lezione. Cosa evidentemente non vera, perché non solo potrebbe accadere anche oggi, ma potrebbe avvenire su scala molto più grande rispetto al passato. La maggior parte dei delle crisi precedenti si sono sviluppate grazie al fatto che molte economie emergenti finanziavano i loro deficit commerciali e di bilancio grazie all’indebitamento in valuta estera. Da quelle crisi, cinque riforme sono state particolarmente efficaci: i tassi di cambio più flessibili, la creazione di robuste riserve in valuta, una politica fiscale meno pro-ciclica , conti correnti più forti, e meno debiti denominati in dollari o in altre valute estere.
 
Alla fine delle crisi valutarie in Asia orientale e delle altre crisi della fine degli anni 90, i governi dei mercati emergenti hanno imparato alcune lezioni importanti e molti paesi in via di sviluppo  hanno provveduto ad attuare queste politiche. La loro scelta è stata messa a dura prova durante la crisi finanziaria globale 2008-2009, ma i paesi che hanno adottato tali riforme, mediamente,  sono stati meno influenzati. Gli altri – in particolare i paesi a medio reddito in Europa centrale e periferica del continente – sono stati colpiti più duramente.
In particolare, dopo il 2001 , molti paesi in via di sviluppo hanno superato il loro modello storico di utilizzare i periodi di afflussi di capitale per finanziare grandi disavanzi di bilancio e delle partite correnti. Come risultato della riduzione del debito e di riserve valutarie più robuste, il loro merito di credito è migliorato durante il boom 2003-2007. I paesi emergenti che hanno implementato tali politiche  hanno conquistato  una posizione abbastanza forte per rispondere alla crisi finanziaria del 2009, quando hanno aumentato i deficit di bilancio al fine di mitigare la flessione prodotta dalla crisi finanziaria.
Contrariamente, paesi altri paesi (come il Brasile, a d esempio) non si avvantaggiati della ripresa 2010-2014 per rafforzare i loro bilanci, e ora sono in una posizione assai più difficile. 
 
Purtroppo, negli ultimi cinque anni, molti mercati emergenti sono tornati ad indebitarsi in valuta estera. Anche se, per la maggior parte dei casi, i governi hanno continuato ad allontanare il debito in dollari, ciò non è avvenuto per il settore privato.
Approfittando dei tassi di interesse estremamente bassi nei paesi avanzati, le banche  e le imprese dei mercati emergenti si sono pesantemente indebitate in dollari come mai in passato. Se il tasso di interesse locale è al 15% annuo e il tasso di interesse dell’indebitamento in dollari è del 2%, ha senso prendere prestiti in dollari fino a quando la valuta nazionale non si deprezzi del 13% rispetto al dollaro.
Un recente documento della Banca dei regolamenti internazionali mostra che dall’inizio della crisi finanziaria globale, i prestiti non bancari al di fuori degli Stati Uniti sono aumentati  da 6.000 miliardi dollari a $ 9 trilioni.
La maggior parte di tale debito è in Asia, con la Cina che da sola vanta  circa un trilione di debiti in dollari. Altri prestiti in dollari includono Brasile (oltre $ 300 miliardi) e India ($ 125 miliardi). I debiti in valuta estera sono altresì aumentati in paesi come la Malesia, Sud Africa e Turchia, oltre che nelle economie  dell’America Latina finanziariamente più aperte.
Considerata la divergenza della  politica monetaria della FED  rispetto alle altre banche centrali, unitamente a una più robusta ripresa economica degli Stati Uniti e ad una minore attività economica nei paesi emergenti (e al crollo dei prezzi delle materie prime che ha colpito i bilanci di talune economie esportatici di materie prime e petroli), un periodo prolungato  di forza del dollaro – e, di conseguenza,  deboli  valute dei mercati emergenti – rischia di creare seri problemi nei paesi emergenti più esposti all’indebitamento in dollari.
 
 
La forza del dollaro rispetto alle valute emergenti implica che le aziende indebitate in Usd ora devono dedicare una quota molto maggiore dei propri ricavi all’ammortamento dei loro piani di indebitamento. La situazione si fa ancor più grave per le molte aziende dei mercati emergenti che hanno contratto prestiti in dollari e che hanno entrate in valuta locale. Non è un caso che i tassi di default delle obbligazioni emergenti tendono ad aumentare nei periodi di forza del dollaro.
 
Autorevoli commentatori sono concordi nell’affermare che la Federal Reserve presto interverrà sulla politica monetaria inasprendo i tassi di interessi (la questione è stata discussa qui). In  molti si chiedono in che modo saranno colpiti i mercati emergenti. Il timore è stato  espresso anche dal direttore del FMI Christine Lagarde che, di recente,  ha ricordato che un ciclo restrittivo da parte della FED potrebbe essere  una ripetizione dei precedenti episodi, quando la politica restrittiva della Fed ha contribuito a  precipitare diversi paesi in via di sviluppo nella crisi finanziaria. 
 
Non c’è dubbio che i mercati emergenti siano molto sensibili alle condizioni del mercato globale, tra cui non solo variazioni dei tassi di interesse statunitensi a breve termine, ma anche al calo dei prezzi  delle materie prime che rendono più vulnerabili quelle economie che dalle esportazioni di petrolio traggono le maggiori entrate di bilancio.  Nel contesto attuale, la differenza più grande rispetto alle precedenti crisi finanziarie che hanno colpito i paesi emergenti,  è che l’indebitamento in valuta estera (dollari) è stato contratto non dai governi,  ma soprattutto da aziende private. Ed è probabile che, in un contesto di accentuata e prolungata forza del dollaro,  aumenteranno i fallimenti, i licenziamenti e la riduzione dei costi per le singole aziende che hanno aggressive esposizioni debitorie in dollari, precipitando così i pesi più esposti verso periodi di bassa crescita o recessione. La sfida per le autorità dei paesi emergenti è capire fino a che punto le loro imprese sono  esposte e  quindi  vulnerabili ad una fase prolungata di forza del dollaro.Altro fattore che desta preoccupazione è dato dal fatto che un aumento dei tassi Usa finirebbe per determinare anche un deflusso di capitali dai paesi emergenti, facendo aumentare sensibilmente il rischio sui mercati azionari e sulle obbligazioni.

 
In un recente report, JP Morgan ha analizzato come i mercati emergenti e il debito sovrano hanno risposto agli ultimi 3 cicli di aumento dei tassi  e al taperig da parte della Fed.
Questo è ciò che ne emerge:

 

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