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Crisi

La grande Rivoluzione dello Shale Gas, la Risurrezione egemonica Tedesca in Europa e l’apparente Declino Italiano (non solo economico)

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La realtà sembra complessa, ma può essere molto più semplice di quanto appaia. Come quando andavamo alle scuole elementari, facevamo mille congetture su come venissero consegnati i doni di Babbo Natale ma alla fine la verità era molto più semplice, vista da adulti….

Oggi abbiamo innanzi un cambiamento epocale, principalmente innescato da oltre oceano. L’amministrazione USA, su base democratica, è impegnata a cambiare l’apparenza lasciata in eredità dai repubblicani con lo spostamento del proprio indirizzo strategico, ossia sottilmente deviando l’interesse delle proprie missioni contro Al Quaeda, con cui l’obiettivo è stato di fatto raggiunto – leggasi il controllo con i propri alleati della principale fonte di energia attuale, il petrolio – alla più tradizionale sfera geostrategica condizionata giocoforza dal cambiamento epocale costituito dato dallo shale gas. Si perchè nell’ultima parte del secolo scorso il petrolio era il futuro ed il controllo dello stesso era indispensabile. Da qui il quasi take over – Iran escluso – del medio oriente, una politica nata più di settanta globale anni or sonoi ossia fino all’amministrazione G.W. Bush inclusa. Oggi invece il presente appare in una veste completamente differente a causa dello shale gas: gli USA sono tornati ad essere tra i maggiori produttori di energia al mondo e si attende che per i prossimi 10 lustri il problema energetico d’oltreoceano non si porrà più nei termini di cui agli ultimi 50 anni. Di più, grazie allo shale gas gli USA sono divenuti non solo indipendenti energeticamente ma addirittura esportatori netti di petrolio equivalente, solo a volerlo (in effetti il governo USA non sta ad oggi supportando la costruzione di nuovi terminali di gassificazione per esportare tale gas in eccesso via LNG). Infatti, con un briciolo di curiosità intellettuale emergerebbe che l’affermazione più forte non è quella di non essere più destinati ad essere schiavi prospettici del petrolio, memento le analisi di alcuni anni or sono sul peak oilii – pochi anni, analisi ormai datate e inutili – , ma piuttosto il fatto che gli USA possano diventare a breve addirittura esportatori netti di petrolio equivalente, ossia price maker nel sottile equilibrio domanda/offerta mondiale, con diretta influenza nel price setting dei prezzi fissati non solo in USA ma ovunque nel mondo (anche grazie alla folta rappresentanza di banche globali in grado di supportare interventi strutturali sulla definizione del prezzo degli idrocarburi sulle principali piazze finanziarie globali).

Dunque, l’interesse geostrategico per il medio oriente va scemando inesorabilmente per gli USA, parallelamente ad una discesa dei prezzi del gas americano rispetto a quelli del gas europeo ed asiatico (fatto che certamente sta dando boost competitivo agli USA). Ciò significa, in presenza di una crisi economica latente del mondo capitalistico occidentale potenzialmente ben più dirompente di quella del 1929 – quando gli stati erano molto meno indebitati – che gli USA hanno scelto la strada della maggiore competitività economica soprattutto basata sui costi energetici come via d’uscita al fine di risollevarsi. Oggi il gas USA costa ca. un terzo di quello giapponese e metà di quello europeo, in presenza di costi petroliferi vicini ai massimi. E questo per il tramite di un’accurata politica geostrategica americana mirata al decoupling tra prezzi del gas mondiali e quelli americani con il fine di abbassare quelli USA rispetto al resto del mondo in sostanziale assenza di export di gas incrementale dagli USA. Ossia, un dumping made in USA dei costi energetici mai visto probabilmente dai lontani anni venti.

In questo contesto ben si spiegano le rivolte nel Mediterraneo, basate sul poco interesse USA alla stabilità della regione. In effetti tali sacche di instabilità hanno anche un secondo fine, ossia mantenere alto il prezzo del petrolio prodotto in medio oriente e nel mediterraneo, materia prima su cui si basano le indicizzazioni di tutti i prodotti energetici europei e in gran parte asiatici, gas incluso: tale aspetto di fatto incrementa il gap competitivo a favore degli USA, in misura maggiore tra Europa e oltreoceano. Con questa chiave di lettura la recente crisi egiziana potrebbe apparire come un’opportunità geostrategica mirata a destabilizzare un paese cardine dell’equilibrio politico/economico della regione (ed anche mondiale se si tiene in considerazione l’eventuale indisponibilità del canale di Suez per il transito di merci e soprattutto di petrolio verso l’Europa) in presenza dell’interesse Israeliano ad insediare un governo nel paese confinante non eccessivamente esposto con i Fratelli Musulmani, a pena di “qualche turbolenza” durante il percorso. In questo contesto non stupisce quindi la forza relativa dell’equity market egiziano se viene ipotizzata una regia di alto livello atta alla destabilizzazione controllata dell’area, azione che necessariamente non dovrà ledere gli interessi economici USA – alleati arabi e non inclusi – nel Paese.

 

Ma, dunque, quale potrebbe essere il finale che l’Europa può attendersi con questa chiave di interpretazione dei nuovi equilibri mondiali?

In primis, si rischierebbe seriamente di tornare indietro di circa 70 anni, ossia come da logica l’attenzione USA dovrà porsi l’obiettivo di tornare a contenere il nemico geostrategico di sempre, la ricchissima Russia, in possesso del maggior serbatoio di risorse naturali sul globo terracqueo.

In secondo luogo, come indicato in precedenza, il controllo del medio oriente servirebbe meno che in passato, vista la relativa indipendenza energetica del dominus attuale, gli USA.

In terzo luogo, l’instabilità politica nel mediterraneo e nel medio oriente potrebbe determinare uno spike di prezzo degli idrocarburi, fattore che incrementerebbe il gap competitivo a favore degli USA ma avvantaggiando anche dei Paesi ex URSS esportatori di petrolio.

Visto in altro modo, tale aspetto favorirebbe anche i nemici tradizionale degli USA, leggasi la Russia, paese tra i primi esportatori di petrolio al mondo. Dunque, sarebbero necessarie misure “compensative”.

Dati i falliti tentativi di annichilire la guida putiniana in Patria, l’obiettivo dovrebbe contemplare necessariamente il contenimento dell’orso russo, ossia far passare il tradizionale contenimento storico del Paese degli Urali per la Germania.

In questo contesto, parallelamente ad un annichilimento dei paesi arabi mediterranei, ci si può attendere un depotenziamento dei paesi dei paesi europei periferici come conseguenza della promozione della Germania in funzione di contenimento anti-Russia, notando con attenzione che tali paesi periferici sono anche gli stessi che han fatto da cuscinetto con il medio-oriente – regione oggi in profonda crisi – negli scorsi 50 anni, soprattutto Italia, Spagna, e Grecia.

Irlanda e Portogallo in questo contesto possono essere considerate vittime del “fuoco amico”, e per questo potrebbero venire salvate presto o tardi, viste anche le ridotte dimensioni delle loro economie.

 

In particolare l’Italia, che durante la guerra fredda ebbe una relazione speciale con il gruppi rivoluzionari attivi nel Mediterraneo per il tramite dell’elite democristiana e che, successivamente, con il presidente Silvio Berlusconi seppe tessere una legame tanto affascinante ed anacronistico quanto pericoloso tra gli Usa e l’ex URSS – per il tramite dell’invasione del medio oriente, oggi mossa anch’essa considerabile come anacronistica, appunto a causa dello shale gas – , potrebbe essere sacrificabile sull’altare dell’interesse geostrategico americano del nuovo millennio. E questo soprattutto oggi, in presenza di un governo USA diretto da una minoranza – quella nera, rappresentata da Obama – che si sta necessariamente contrapponendo con un’altra minoranza, guarda caso quella italiana, che tradizionalmente tanto fu funzionale ai disegni geostrategici USA durante gli anni della guerra fredda ed oltre.

Oggi dunque la Germania sta rivestendo di nuovo la funzione di contenimento anti Russia, e questo a danno sia dei Paesi euro-mediterranei (via gestione della crisi dell’euro) ed in presenza di una destabilizzazione di quelli arabi mediterranei, ossia la contropartita USA alla Germania potrebbe risultare nell’egemonia incondizionata in Europa. Questa rappresentazione contestualizzerebbe molte delle considerazioni popolari che stanno diffondendosi recentemente ossia che la Germania sta vincendo la guerra europea con 70 anni di ritardo, oltre al fatto che nessun ostacolo sembra le venga posto (da oltreoceano) al controllo del continente europeo. Ma parimenti metterebbe in secondo ordine quanto la storia ci insegna, ossia che il paese di Goethe è difficilmente “controllabile” nel lungo termine nelle sue pulsioni espansive.

 

Fin qui tutto bene, in teoria.

In pratica i problemi rischiano di moltiplicarsi a breve. In primo luogo, chi potrebbe nel lungo termine perdere di più da questo grande gioco geostrategico incentrato sullo shale gas è Israele, nazione poco controllabile negli istinti guerrafondai. Ossia, Israele potrebbe trovarsi ad innescare una guerra globale del tutti contro uno in medio oriente, ed è da vedere se questo sia negli interessi USA. Della serie, il giochino medio orientale potrebbe scappare di mano.

In secondo luogo, la storia insegna che la Germania non può avere padroni, se non quello che la controlla brandendo la mazza. Questa è la storia, e forse ci si dimentica anche di come lo stesso Paese abbia rifiutato il supporto agli USA nella guerra in Iraq solo pochi anni or sono. Parallelamente sempre dovrebbe essere ricordato come la Germania, paese fiero e potente sebbene intrinsecamente non ricco (di risorse, almeno rispetto agli USA e alla Russia), sia sempre stato all’apice delle innovazioni e dello sviluppo del mondo, ossia è un paese scaltro, attento e finemente educato come solo i poco ricchi che ambiscono a diventare potentissimi sanno essere: troppo spesso ci si dimentica come le grandi rivoluzioni siano scatenate dalla fame, e la Germania ha fame di potere, da sempre.

Letta in altro modo, la storia potrebbe volgersi a medio termine contro gli USA in presenza ad esempio di una rivoluzione dell’energia rinnovabile che la Germania decidesse di far pagare ai paesi satelliti europei – attraverso la gestione dell’austerity legata alla permanenza nell’euro – con il fine di emanciparsi dal costo delle materie prime energetiche magari anche per il tramite di una fiammata inflattiva atta a bruciare il debito da finanziamento infrastrutturale (…). In tale caso gli USA in dieci anni – periodo estremamente breve, 10 anni sono pochi – potrebbero passare da avere due avversari globali potenziali, Russia e Cina, ad averne tre, Russia, Cina e Germania europea. Oltre al rischio di emancipazione centrifuga ed incontrollata dei paesi ex alleati oggi in crisi euro.

 

Attenzione inoltre ad un aspetto oggi poco considerato, in presenza di turbolenze mediatiche che sembrano sequestrare la nostra attenzione. Una forza relativa tedesca nell’eurozona agli occhi degli operatori finanziari internazionali potrà determinare una equivalente forza relativa dell’euro sulle altre valute – soprattutto sul dollaro -, a maggior ragione in presenza di ridotti consumi ed importazioni extra eurozona da parte di molti paesi europei (Spagna in particolare, probabilmente la più grande cicala mondiale del primo decennio del nuovo millennio che contribuì a mantenere equilibrata la bilancia dei pagamenti EU, oggi in forte avanzo), contingenza innescata appunto da un miglioramento della bilancia dei pagamenti dell’UE. Se, per discapito, a tale molto probabile rafforzamento della moneta unica dovesse sovrapporsi un’evidente riduzione del ritmo di crescita – e quindi di consumi – dell’area asiatica, la Germania europea potrebbe improvvisamente sprofondare in un mood negativo ad oggi impensabile, con capacità produttiva inutilizzata, disoccupazione etc., sparigliando ancora una volta le carte geostrategiche globali.

 

L’altro punto da considerare è che gli USA potrebbero passare da una situazione attuale caratterizzata da molti “piccoli” alleati ad una con pochi grandi alleati. Il problema è che i piccoli alleati sono normalmente sempre fedeli, i grandi possono cercare prima o poi di fare di testa a loro. Vai poi a fermarli se sei capace, l’ultima volta – ca. 70 anni or sono – gli USA dovettero intervenire in una guerra mondiale per riuscire a riprendere in mano il bandolo della matassa, tracciando per altro il viatico alla soluzione finale della crisi del ’29, fino al 1939 ancora irrisolta. Forse bisognerebbe riesumare George Patton prima di un azzardo simile: chi più del Generale sarebbe in grado di provare come difficile se non impossibile possa essere costringere un popolo così fiero alla resa o semplicemente a piegarsi! O forse basterebbe ricordare come la vittoria relativamente agevole per gli USA nell’ultima guerra mondiale dipendette non tanto da fattori squisitamente militari quanto da fattori poco prevedibili e certamente irrituali quali l’aiuto della mafia italiana incarcerata in America per lo sbarco di maggior successo nelle storia delle azioni militari (sbarco in Sicilia) o dal contributo tanto inatteso quanto fondamentale dato da un immigrato come Enrico Fermi allo sviluppo ella bomba atomica utilizzata per piegare un Paese altrimenti militarmente inconquistabile come il Giappone.

In ultimo, il vento della politica potrebbe cambiare in USA, ossia un ritorno dei repubblicani magari parallelamente ad una serie di aperture lato russo sullo sfruttamento condizionato dei ampie sacche di risorse inesplorate potrebbero cambiare l’interesse delle lobbies di Washington, ossia determinare un cambiamento della politica americana da qui a tre anni. E magari questo potrebbe accadere contemporaneamente al ritorno delle “maggioranze” politiche tradizionali in senso storico al potere nel paese scoperto da Cristoforo Colombo, al contrario della minoranza (relativa) attuale [con tutto il rispetto per Obama, per cui chi scrive nutre simpatia e stima, è un dato di fatto che mai prima del 2008 una persona di colore fosse salita al comando dello Stato più potente del mondo, con soluzione di continuità nei confronti del tradizionale potere della classe definita come White Anglo-Saxon Protestant].

 

In questo contesto la storia recente d’Italia potrebbe essere riscritta a medio termine. Silvio Berlusconi, che seppe non si sa come avvicinare gli USA di G.W. Bush all’ex URSS di Putin, oggi potrebbe essere ”la persona” scomoda, e questo potrebbe anche giustificare le prese di posizione giudiziarie – che vanno contro gli oggettivi indirizzi emersi negli ultimi 20 anni in cause simili -, assieme a qualche legittimo dubbio di “deformazione” dei principi giudizial-liberali recentemente applicati nel paese di Dante, come ben illustrò all’Istituto Bruno Leoni il giudice della Corte Suprema USA, Justice Antonin(o) Scalia a Torino alcuni mesi or sonoiii (e forse non è un caso che egli stesso sia ultimamente sotto pressione per i propri principi liberali dottrinali in Patriaiv – in effetti l’ultima volta che esternò ridotta compatibilità giudiziaria italiana con gli USA, nel pieno di Tangentopoli, i risultati furono estremamente diversi…v).

Potremmo scoprire che la colpa del Cavaliere, magari da fare venire alla luce 10 anni dopo la sua morte non solo politica, sarebbe stata quella di una troppa anacronistica vicinanza con il nuovo/vecchio nemico prospettico (Putin), essendo caduta – e dunque divenuta inutile – la politica Anti Al Qaeda. E questo con la benedizione del paese che – giova ricordarlo – solo pochi anni or sono rifiutò in supporto alla guerra in Iraq, costringendo di fatto gli USA a spostare le basi militari dalla Germania al resto d’Europa (soprattutto Italia): quello stesso Paese, la Germania, oggi si sta probabilmente giocando il dominio europeo in chiave di contenimento russo (e via l’annientamento economico e quindi politico dei paesi euro periferici mediterranei), con il beneplacito americano.

Chissà, certo che il mondo attuale è molto complesso ed ancora più interconnesso….

 

Pensiamoci ed osserviamo con attenzione lo svolgersi degli eventi da qui a fine anno, non penso ci vorrà molto per vedere emergere indicazioni incontrovertibili sui cosa dovremo aspettarci per il futuro….

 

Mitt Dolcino

 

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Riferimenti e Note:

– i Confessioni di un sicario dell’economia – J. Perkins – Minimum Fax 2004

– ii http://www.hubbertpeak.com/

– iii «Chi mai desidera un paese guidato da giudici?». Scalia (Corte suprema Usa) contro l’attivismo politico delle toghe, Antonin Scalia contro l'”attivismo giudiziario” | Tempi.it 27.05.2013

“Un giudice contro l’attivismo giudiziario”, www.opinione.it, 30.05.2013, articolo di S. Magni, notando per altro come una certa sordina sia stata apposta dai mezzi di informazione di massa ai contenuti integrali di tale importante intervento.

– iv Scalia Turns Advocate Against Obama as Queries Criticized, By Greg Stohr – May 15, 2012 1:04 PM GMT+0200 –


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