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LA GIUSTIZIA DI PIAZZA

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L’omicidio stradale è una figura di reato invocata con i toni più accorati ed apocalittici. Ora è arrivato alla Commissione Giustizia del Senato e tuttavia rimane fuor di luogo per molti versi.
La configurazione dell’omicidio colposo è un portato della civiltà – per non mettere sullo stesso piano l’omicidio volontario e l’omicidio involontario – e un portato del Cristianesimo, più attento alle intenzioni che ai risultati delle intenzioni. Per l’omicidio volontario la reclusione prevista è “non inferiore ad anni ventuno”, mentre per l’omicidio involontario, salvo errori, molti decenni fa la pena andava da sei mesi a tre anni e l’articolo finiva lì.
Si veda invece l’attuale art.589 del Codice Penale, badando alle parole messe in evidenza: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni. Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica…[oppure] … sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici”. Che è poi, a quanto dicono, la ragione per la quale la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza che condannava a ventun anni di reclusione quel tale che correndo contromano in autostrada ha ucciso quattro ragazzi francesi.
Dunque, attualmente, si arriva a quindici anni, dai tre che ricordavo io: che cosa si vuole di più? Ma la piazza non legge il codice e invoca un omicidio stradale che già esiste e che arriva a quindici anni. Quindici, quando per l’omicidio volontario con un’attenuante, si arriva a quattordici anni.
Il testo ora proposto al Senato recita: “Chiunque ponendosi alla guida di un autoveicolo o di un motoveicolo o di altro mezzo meccanico in stato di ebbrezza alcoolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope cagiona per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da 8 a 12 anni». Si passa da 2-7 a 8-12 anni. E dal momento che i magistrati tendono a partire dal minimo, questo significa quadruplicare la pena. Tutto a causa di un’illusione che nessuno è capace di sradicare, a partire da Cesare Beccaria. Gli italiani sono convinti che le leggi creino la realtà. Vogliono eliminare i delitti aumentando le pene e rendendo eterni i processi, soprattutto per la corruzione, senza pensare che chi delinque raramente pensa alla possibile sanzione. Diversamente nel Medio Evo, quando si infliggeva la pena di morte per reati minori, nessuno ne avrebbe commessi.
La corruzione si elimina con un lento miglioramento morale dell’intera nazione. A questo bisognerebbe lavorare, cominciando dall’educazione e convincendo per esempio i professori a non accettare raccomandazioni. E non si eliminano gli incidenti esercitando feroci vendette su coloro che li hanno provocati. Fra l’altro senza pensare che sono “ubriachi, per legge,” anche i più onesti borghesi, dopo una cena in cui hanno bevuto due bicchieri di vino. E comunque, chi di noi non ha mai provocato un incidente? Non c’è scappato il morto, d’accordo, ma bastava un pizzico di sfortuna in più. La totale sicurezza non esiste. Un terremoto può ucciderci mentre siamo a letto.
Per giunta le persone in vista corrono in più il rischio di incontrare dei magistrati fanatici moralisti, che devono dare l’esempio, o magari ottenere i titoli dei giornali. Siamo sicuri che Fabrizio Corona meriti tutti quegli anni di carcere? Le morti a causa di incidenti stradali negli ultimi anni sono diminuite: che si vuole di più?
La giustizia non dovrebbe infierire sui singoli, cosa che non conduce da nessuna parte in materia di politica criminale. Dovrebbe piuttosto attuare, in questo campo come nel campo della corruzione, procedimenti più rapidi, in modo che ci sia un legame fra la colpa e l’espiazione. Si sa che anni dopo le due cose non sono più emotivamente collegate. Ma forse faranno qualche legge per modificare le emozioni.
Gianni Pardo, [email protected]
25 marzo 2015


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