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La fine della rappresentatività popolare in Italia ed in Europa

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L’interessante convegno di sabato 26 ottobre, svoltosi a Milano, mi ha dato il giusto spunto per tornare su un tema chiave per la democrazia: la rappresentanza politica dei cittadini.

Se si parla di questo in Italia ed in Europa, non possiamo che stendere un velo davvero pietoso. La democrazia non trova più alcun posto nel continente, rimanendo ormai una facciata puramente formale, totalmente soggiogata dai rapporti di forza economica e svuotata nelle sue prerogative essenziali.

Purtroppo neppure i nostri giuristi stanno, nella grande maggioranza, intervenendo sul tema benché sia impossibile non comprendere che ciò che è avvenuto, e ciò che avviene negli ultimi giorni, presenti un evidente problemino di legalità complessiva.

Partiamo dal tristissimo quadro italiano.

L’art. 1 Cost. è chiarissimo: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forma e nei limiti della costituzione.

La sovranità appartiene al popolo, ovvero a tutti i cittadini italiani, diritto necessariamente plurisoggettivo, che si esercita in forma sia diretta che indiretta.

La forma indiretta è proprio quella prevista dal principio di rappresentatività democratica: ovvero l’esercizio del diritto di voto eguale, diretto, libero e personale, attraverso il quale il popolo sceglie i propri rappresentanti.

Le forme dirette di esercizio della sovranità nel nostro ordinamento sono invece il referendum (art. 75 Cost.), l’iniziativa legislativa popolare (art. 71 Cost. comma secondo), e la possibilità di rivolgere petizioni alle Camere per chiedere espressi provvedimenti legislativi o esporre necessità comuni (art. 50 Cost.).

Inoltre i diritti politici appartengono poi propriamente anche ad ogni cittadino che, oltre a delegare i suoi rappresentanti con il voto, ha anche il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere, in prima persona e con metodo democratico, a determinare la politica nazionale (Art. 49 Cost.).

Queste sono le forme ed alcuni dei limiti con cui si esercita la sovranità popolare.

Tornando specificamente alla rappresentatività posso dire, senza tema di smentita, che i Padri Costituenti basarono la nostra democrazia sul Parlamento, concependo un delicato meccanismo di equilibrio tra i tre poteri fondamentali dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario.

Da tale equilibrio dipende la stessa tenuta democratica. Se ogni potere controlla e limita l’altro le derive totalitarie diventano assai improbabili.

Ovviamente affermo che non è possibile smentirmi, non per una forma di egocentrismo culturale, ma perché sono gli stessi Padri Costituenti ad aver inquadrato con le loro parole, verbalizzate durante le sedute dell’Assemblea Costituente, il modello Costituzionale.

Ecco alcuni stralci utili a comprendere.

L’On. Umberto Tupini:

Punto centrale e fulcro di tutto l’ordinamento è il Parlamento. Noi auspichiamo che il Parlamento possa, in avvenire, rappresentare per il nostro popolo come il palladio delle sue libertà e l’istituto senza del quale la democrazia è nome vano e artificioso. Anche il regime fascista parlava di democrazia ma il Parlamento era ridotto a una smorfia ed a una contraffazione di se stesso.

Anche l’On. Meuccio Ruini, nella relazione conclusiva al progetto di Costituzione, rimarcava:

La sovranità del popolo si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e nel referendum. E poiché anche il referendum si inserisce nell’attività legislativa del Parlamento, il fulcro concreto dell’organizzazione costituzionale è qui, nel Parlamento; che non è sovrano di per se stesso; ma è l’organo di più immediata derivazione dal popolo; e come tale riassume in sé la funzione di fare le leggi e di determinare e dirigere la formazione e l’attività del governo”.

E sui limiti dei poteri da attribuire al Governo in conseguenza del ruolo predominate del Parlamento in ambito legislativo, altrettanto chiaramente l’On. Oliviero Zuccarini, durante la sottocommissione, dunque già il 20 settembre 1946, affermava:

è contrario alla creazione di una Giunta permanente, cui sarebbero affidati dei compiti che devono invece essere assolti esclusivamente dall’Assemblea. Oggi ci si è abituati all’idea che il Governo fa le leggi, le approva e le rende esecutive; ma tutto questo non deve più verificarsi in avvenire; non deve esserci una legge che non sia approvata dalla Camera. Il potere esecutivo deve essere il mandatario del potere legislativo. Pertanto, quell’abitudine non può trovare riconoscimento, sia pur limitato, nella Costituzione, perché ciò farebbe rinunciare la Camera alla sua funzione essenziale.

L’Onorevole Amerigo Crispo, nella seduta del 10.09.1947 sembra poi cogliere, anticipandoli, i drammatici fatti che viviamo in questi giorni: il Governo impone la legge elettorale e prepara la modifica costituzionale, rendendo il futuro Parlamento il mero ratificatore delle proprie volontà:

Onorevoli colleghi, parlerò brevemente sul modo in cui il progetto di Costituzione contempla l’attività legislativa del Governo, argomento del quale, a mio avviso, non si rileva mai abbastanza la gravità, per i pericoli enormi che può produrre una legislazione che taluni scrittori definirono una vera e propria usurpazione del potere legislativo da parte del potere esecutivo”.

Tali ragioni spinsero i Costituenti a vietare, in linea generale, l’assunzione del potere legislativo in capo al Governo. La formula dell’art. 77 Cost. è negativa sul punto: Il Governo non può (omissis…) emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.

I Costituenti aprirono unicamente a due ipotesi di attività legislativa dell’esecutivo: in caso di delega specifica e puntuale del Parlamento ed in straordinari casi di necessità e di urgenza con controllo ex post delle Camere, pena la perdita di efficacia del decreto legge stesso (art. 77 Cost.).

UN PARLAMENTO CHE DIRIGE FORMAZIONE ED ATTIVITÀ DI GOVERNO, QUESTO ERA CIÒ CHE VOLEVANO I PADRI FONDATORI.

Forse quasi una vera sorpresa in tempi di analfabetismo istituzionale diffuso in cui si invoca, a torto e sulla base della falsa emergenza finanziaria, una “governance” forte. Legiferare diventa un atto ossessivo, quasi compulsivo: altrimenti i mercati ci divorano. Nessuno pensa invece a legiferare nell’unica direzione costituzionalmente orientata: quella di fermare, per sempre, l’indipendenza, l’autonomia e la sovranità dei mercati, riappropriandosi delle sovranità in materia monetaria ed economica illecitamente.

Ma purtroppo i problemi risalgono a ben prima degli ultimi sconvolgenti avvenimenti.

Renzi a parte, poteva infatti essere ancora considerato democratico un Paese in cui non si votava secondo legalità costituzionale da ormai dieci anni? Possiamo parlare di rappresentatività popolare?

La Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 1/2014, ha dichiarato l’illegittimità della legge elettorale 2005, meglio nota con il nome di “porcellum” ed utilizzata, per la prima volta, alla tornata elettorale del 2006. Fu il suo ideatore, Roberto Calderoli, a chiamare così tale normativa, definendola espressamente “una porcata” durante la trasmissione televisiva Matrix.

Le caratteristiche che impone la Costituzione per il voto sono chiare, esso deve essere eguale, libero, diretto e personale. Camera e Senato sono elette a suffragio universale e diretto (art. 48, 56 e 58 Cost.).

Le principali criticità della legge elettorale erano pertanto sostanzialmente due: la presenza di un premio di maggioranza in favore della lista o della coalizione vincente e l’assenza del voto di preferenza. I Parlamentari venivano eletti senza il voto diretto del popolo, ma sulla mera base dell’ordine di inserimento nelle liste elettorali voluta dal partito di appartenenza.

Cosa comportava allora, ed ancora oggi ovviamente, un Parlamento di nominati la cui elezione dipende dalle scelte del partito?

Comporta che il potere legislativo viene imbrigliato ad una sorta di vincolo di mandato occulto. Il Parlamentare, per non perdere il posto, obbedisce al partito. Non c’è spazio per far valere il peso delle preferenze personali. Contano solo le decisioni della leadership e, per definizione, così si finisce con il subordinare il potere legislativo a quello esecutivo, ribaltando gli equilibri voluti dai Padri Costituenti.

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014, sentenza completamente illogica laddove ha sostenuto che quelle Camere, pur illegittime, avrebbero potuto continuare a legiferare (clicca qui per leggere un articolo dettagliato sul tema), è intervenuta la Corte di Cassazione con una ulteriore pronuncia, a mio avviso, addirittura più significativa di quella della Corte Costituzionale stessa (sentenza n. 8878/2014).

La Cassazione, con una durezza non rilevata in alcun modo dall’attuale classe politica, ha affermato che:

(omissis…) i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, secondo il paradigma costituzionale, per la OGGETTIVA E GRAVE ALTERAZIONE DELLA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza disegnato dal legislatore del 2005, e a causa dell’impossibilità per i cittadini elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.

D’altronde, se un premio di maggioranza crea una composizione parlamentare incompatibile con quella voluta dagli elettori, e non è possibile votare espressamente il singolo candidato, si altera pacificamente la rappresentatività democratica dei cittadini.

IL POPOLO NON ESERCITA DA DIECI ANNI LA SOVRANITÀ CHE LA COSTITUZIONE GLI ATTRIBUISCE COME DIRITTO FONDAMENTALE.

E torniamo ai drammatici eventi odierni.

Se è pur vero che la Corte ha ripristinato la legalità per il futuro, il Governo Renzi, forte della fiducia di Camere composte in conseguenza dell’alterazione del principio di rappresentatività democratica, ed ad esso completamente asservite, ha deciso di sottrarci nuovamente il diritto che ci era stato appena restituito.

Con l’italicum infatti si impone nuovamente un premio in seggi che porta alla maggioranza assoluta alla Camera per la lista vincitrice ed uno zoccolo duro di Deputati nominati (nel complesso più della metà dei deputati complessivi).

La contestuale riforma Costituzionale, firmata direttamente dal Governo (fatto inaudito visto che se esso ha il divieto costituzionale di legiferare), che elimina al Senato, causerà nei fatti la modifica surrettizia della nostra forma di governo. Solo un certo Benito Mussolini osò tanto, benché la sua legge elettorale (La legge Acerbo) fosse addirittura più democratica: non prevedeva parlamentari nominati, anche se la lista vincitrice vedeva tutti i propri candidati eletti (2/3 del totale).

La Repubblica parlamentare cede il passo ad una nuova forma di governo in cui il potere è accentrato, ancora di più che rispetto al porcellum, sull’organo esecutivo (dunque su un organo non elettivo), in barba all’equilibrio tra poteri fondamentali su cui la nostra carta era costituita.

In sostanza avremo un’unica Camera composta da uno zoccolo duro di nomi scelti dalla lista vincitrice, che godrà del premio di maggioranza. Tale maggioranza potrà nominare gli organi di garanzia degli equilibri istituzionali (penso alla Presidenza della Repubblica ed alla Corte Costituzionale) di fatto avendo un potere sufficiente per sfociare, in ogni momento, in un totalitarismo.

I nostri Padri Costituenti avevano previsto qualcosa di molto diverso laddove identificavano nel Parlamento il fulcro della nostra democrazia, perché la sua composizione rispecchiava proprio la rappresentatività democratica della sovranità popolare, e ciò in maniera proporzionale all’esito del voto, senza distorsioni.

Per i Costituenti la legge doveva essere fatta da chi era direttamente legittimato dal popolo.

In sostanza il porcellum ha messo KO la sovranità popolare e la democrazia. Sappiamo benissimo tutti quanti che, senza l’incostituzionale premio in seggi ottenuto nel 2013, il PD non avrebbe la maggioranza del Paese per imporre l’italicum e tanto meno per riformare da solo la Costituzione (ancora una volta solo il Partito Fascista osò tanto). Eppure non intendono cedere, poiché votare, implicherebbe non fare le riforme. Ergo vogliono fare qualcosa di opposto alla volontà popolare.

La domanda successiva è necessariamente, perché fanno questo? Ebbene perché la rappresentatività democratica non è un problema italiano, ma è un problema europeo.

QUESTA EUROPA NON VUOLE LA DEMOCRAZIA!

L’UE ha ottenuto, e pretende di ottenere, quote sempre maggiori della nostra sovranità arrivando al superamento degli Stati nazionali. La riforma di Renzi è infatti eccellente per avere al comando un governo forte, in grado di eseguire i diktat della Troika, tra cui il superamento delle Costituzioni nazionali.

Facile prevedere qui e subito che, tutto questo iter di riforme, se non fermato, sfocerà inevitabilmente in un ultimo definitivo passaggio: L’ABROGAZIONE INTEGRALE DELLA COSTITUZIONE E LA NASCITA DEGLI STATI UNITI D’EUROPA.

Ma tutto questo è incompatibile con gli articoli 1, 11, 139 Cost., come più volte specificato (clicca qui per un articolo sul tema a firma mia e dell’Avv. Giuseppe Palma).

Ma che dire poi della rappresentanza in Europa? Se non vi scandalizzate per quanto ho scritto credendo che ritroverete lì la sovranità perduta a Bruxelles, sbagliate di grosso.

Anche se non esistessero gli ostacoli costituzionali alla creazione di questo nuovo Stato, l’UE o gli U.S.E. non si baserebbero su criteri di rappresentatività democratica, poiché l’unico organo dell’Unione legittimamente eletto dai popoli europei non ha alcun potere concreto.

ANCHE IN EUROPA CHI DEVE LEGIFERARE È POSTO IL PIÙ AL RIPARO POSSIBILE DALLA SOVRANITÀ POPOLARE.

In Europa infatti, qualsiasi sia la composizione del Parlamento, le politiche monetarie sono decise dalla SEBC e quelle economiche sono sotto il ferreo controllo delle Commissione Europea (istituzione non eletta direttamente dal popolo), che impone (a pena sanzioni) l’applicazione del PSC (il patto di stabilità e crescita europeo) approvato con trattati e regolamenti, ovvero di quel pacchetto complessivo meglio noto con un termine: austerità.

IL PARLAMENTO EUROPEO È, NEI FATTI, UN’INUTILE FINZIONE DEMOCRATICA, buona a far riempire la bocca a qualche eurocrate. Ai sensi dell’art. 17 TUE infatti:

Un atto legislativo dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i Trattati non dispongano diversamente”.

Parlamento, Consiglio dei ministri e quello Europeo, non possono emendare una legge della Commissione senza il suo consenso, il Consiglio dei ministri può farlo solo all’unanimità, il Parlamento con particolari maggioranze qualificate in una procedura complicatissima che meriterebbe un pezzo ad hoc per spiegarla interamente.

La commissione, oltre che non essere eletta dal popolo, è addirittura indipendente dalla politica con buona pace del rappresentatività popolare e racchiude in sé, sia il potere legislativo, che quello esecutivo, nonché gode della potestà di sanzionare gli Stati membri per inadempienze ai trattati.

L’art. 18 TUE dispone:

I membri della Commissione sono scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzia di indipendenza (n.d.s. – appunto dalla rappresentatività democratica).

(omissis…) La Commissione esercita le sue responsabilità in piena indipendenza. Fatto salvo l’art. 18, par. 2 (n.d.s. in materia di politica estera), i membri della commissione non sollecitano, né accettano istruzione da alcun governo, istituzione, organo e organismo”.

L’UE è magica! OLTRE A TOGLIERE LA MONETA AI CITTADINI CON LA TEORIA DELL’INDIPENDENZA DELLA BANCA CENTRALE, ED IL DIVIETO DI CREARE MONETA PER FINANZIARE DIRETTAMENTE STATI ED ISTITUZIONI EUROPEE, HA TOLTO AL POPOLO ANCHE LA POSSIBILITÀ DI VOTARE DIRETTAMENTE CHI LEGIFERA.

ALLA PROVA DEI FATTI, NELLE MATERIA DI COMPETENZA ESCLUSIVA UE (ART. 3 TUE), NON ESISTE ALCUNA RAPPRESENTATIVITÀ DEMOCRATICA. LA SOVRANITÀ SOTTRATTA ALLE NAZIONI È STATA SEMPLICEMENTE DISPERSA IN FAVORE DELL’ARBITRIO DEI MERCATI.

L’EUROPA È GIURIDICAMENTE UNA NUOVA FORMA DI TOTALITARISMO.


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