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La CSDDD: Il capolavoro ESG dell’UE che si trasforma in boomerang geoeconomico
La nuova direttiva UE sulla sostenibilità (CSDDD) doveva imporre l’ESG al mondo, ma ora rischia di bloccare le filiere essenziali. Paesi extra-UE minacciano ritorsioni e ora persino Macron e Merz ne chiedono l’abolizione.

L’Unione Europea, nel suo infaticabile sforzo di porsi come faro morale e normativo globale, ha partorito l’ennesimo strumento per esportare la propria visione del mondo: la Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (CSDDD). L’obiettivo, sulla carta, è nobile: obbligare le grandi aziende a garantire pratiche responsabili lungo tutta la filiera. In pratica, è il tentativo di imporre le politiche ESG (Environmental, Social, Governance) europee al resto del pianeta, anche quando queste siano inadeguate o non accettate localmente, con strumenti da colonialismo commerciale.
Il problema? Il pianeta non sembra affatto entusiasta. Quella che doveva essere una dimostrazione di forza normativa di Bruxelles rischia di trasformarsi in un clamoroso autogol. L’Unione, sempre più secondaria sul mercato globale, non può più permettersi di dettare legge, soprattutto quando le sue normative, spesso ideologicamente guidate ed economicamente “insensate”, incontrano la dura realtà. E la realtà, oggi, è che i paesi fornitori di materie essenziali minacciano ritorsioni e blocchi alle esportazioni, piuttosto che piegarsi ai diktat della CSDDD.
Un parto travagliato: cos’è la CSDDD
La Direttiva (UE) 2024/1760, entrata in vigore a luglio 2024, obbliga le grandi imprese a implementare un processo di “due diligence” (dovere di diligenza) per identificare, prevenire, mitigare e porre fine agli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente lungo la loro “catena di attività”.
Non è stato un percorso facile. La proposta iniziale ha incontrato una fortissima resistenza, non solo dalle lobby industriali (come Confindustria), ma anche da governi chiave. A febbraio 2024, Germania e Italia hanno formato una minoranza di blocco, astenendosi e facendo slittare il voto. Evidentemente, qualcuno a Berlino e Roma si era reso conto dei costi e della follia burocratica che si stava per scatenare sulle proprie imprese.
Alla fine, con un compromesso al ribasso (che ha ridotto la platea da 16.000 a circa 5.300 aziende), la direttiva è passata.
Chi colpisce e cosa impone
L’ambito di applicazione, seppur ridotto, resta significativo. La direttiva si applicherà progressivamente (vedi tabella) alle aziende che superano determinate soglie.
Soglie di Applicazione (dopo il recepimento nazionale entro luglio 2026):
| Categoria | Criteri (UE e non-UE) | Data di Applicazione |
| Fase 1 | > 5.000 dipendenti E > 1,5 mld € fatturato | 26 luglio 2027 |
| Fase 2 | > 3.000 dipendenti E > 900 mln € fatturato | 26 luglio 2028 |
| Fase 3 | > 1.000 dipendenti E > 450 mln € fatturato | 26 luglio 2029 |
Cosa devono fare queste aziende? In sintesi:
- Diventare poliziotti: Devono integrare la due diligence nelle loro politiche, identificando e valutando i rischi ambientali e sociali.
- Intervenire: Devono prevenire o mitigare gli impatti potenziali (Art. 10) e arrestare quelli effettivi (Art. 11), arrivando fino alla “riparazione” (Remediation), il che significa pagare di tasca propria eventuali squilibri.
- Controllare i fornitori: La vigilanza si applica alla “catena di attività”, sia a monte (fornitori di materie prime) sia, in parte, a valle (distribuzione, trasporto).
- Redigere Piani Climatici: Tutte le aziende coinvolte devono adottare un “piano di transizione” per allinearsi all’Accordo di Parigi (limitare il riscaldamento a 1,5 °C) e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
La “tagliola”: sanzioni e responsabilità civile
Qui si nasconde il vero dente avvelenato della CSDDD. Per garantire che le aziende facciano le “scelte giuste” (secondo Bruxelles), la direttiva introduce due meccanismi punitivi.
- Sanzioni Amministrative: Gli Stati membri nomineranno autorità di controllo che potranno indagare e imporre sanzioni pecuniarie “dissuasive”. Il limite massimo non può essere inferiore al 5% del fatturato netto mondiale dell’azienda. Una cifra astronomica, anche perché parliamo di grandi aziende internazionali che verrebbero colpite anche sul fatturato extraeuropeo.
- Responsabilità Civile: Si apre la porta a un Far West legale. Se un’azienda, per negligenza o intenzionalmente, omette di rispettare gli obblighi di prevenzione (Art. 10-11) e da ciò deriva un danno, può essere chiamata a risarcire. Peggio ancora, la direttiva facilita l’accesso alla giustizia, permettendo a sindacati e ONG (spesso altamente ideologizzate) di intentare azioni legali per conto delle presunte vittime. Chiunque potrebbe far partire una causa legale, anche su basi non solide.
Ovviamente questo ha inquietato non solo le società europee, che comunque sono prone ai propri gruppi di rappresentanza che han capito il peso della normativa troppo tardi. Viene anche a colpite società estere che esportano nella UE e che dovrebbero certificare la propria catena logistica, pena il rischio di essere colpiti da pesanti sanzioni. Però queste hanno sedi in paesi che applicano legislazioni diverse
Il Boomerang: La precipitosa marcia indietro
La CSDDD è stata concepita in un mondo che non esiste più: un mondo in cui l’UE credeva di poter imporre i propri standard etici al resto del globo. Ma la realtà geoeconomica è ben diversa.
Come accennato, i paesi produttori (dall’Asia al Sud America) vedono questa direttiva per quello che è: una barriera para-tariffaria e una forma di neocolonialismo normativo. La risposta non si è fatta attendere: minacce di bloccare l’export di materie prime e beni essenziali verso un’Europa già in affanno energetico e industriale. Fra i primi paesi a mettere un blocco secco alla normativa, minacciando di bloccare le esportazioni se non viene modificata, il Qatar con il rischio oggettivo di restare senza gas. Trump ha ottenuto una sorta di esenzione collettiva per le aziende statunitensi, rendendo la normativa ancora più squilibrata.
Il boomerang è tornato indietro così velocemente che la stessa leadership europea è in panico.
Nonostante la direttiva sia stata appena adottata, nel febbraio 2025 la Commissione ha presentato una proposta “Omnibus” che mira già a smontarne alcuni pezzi chiave (limitare i controlli ai soli fornitori diretti, rimuovere la sanzione minima del 5%).
Il segnale più forte è arrivato nel maggio 2025: il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Friedrich Merz (che guida l’economia più esposta) hanno chiesto congiuntamente la completa abolizione della CSDDD. Un’inversione a U spettacolare, motivata dalla necessità di “ridurre gli oneri normativi” e salvare la competitività europea prima che sia troppo tardi.
Ovviamente la richiesta viene a toccare un punto estremamente delicato, quasi invulnerabile, della UE: vuole diminuire il suo dirigismo insensato. La UE è un insieme di regole create con una scarsa base logica e sulla base dell’ideologia: sclfirne una significa danneggiarne la base. Per questo la normativa, nonostante tutto, è ancora li.
La CSDDD resta un monumento all’ingenuità burocratica di Bruxelles: un tentativo di imporre l’ESG che, invece di salvare il pianeta, rischia solo di affossare la propria industria, tagliandola fuori dalle catene di approvvigionamento globali che non intendono sottostare ai suoi dettami.
Domande e risposte
- Perché la CSDDD è considerata un “boomerang”?
Perché è stata creata per imporre gli standard ESG europei al resto del mondo, ma sta ottenendo l’effetto opposto. Invece di adeguarsi, molti paesi extra-UE, fornitori di materie prime essenziali, stanno reagendo con fastidio, minacciando ritorsioni e blocchi alle esportazioni verso l’Europa. L’UE, non essendo più il centro economico del mondo, non può dettare legge e finisce per danneggiare solo la propria competitività e sicurezza degli approvvigionamenti.
- In concreto, cosa obbliga a fare questa direttiva?
Obbliga le grandi aziende (con più di 1000 dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato) a diventare “controllori” della propria filiera globale. Devono mappare i rischi legati ai diritti umani e all’ambiente presso i loro fornitori e distributori, prevenire violazioni, e rimediare ai danni. Inoltre, impone l’adozione di un rigido piano di transizione climatica per raggiungere la neutralità entro il 2050. Se non lo fanno, rischiano multe fino al 5% del fatturato mondiale e cause legali da parte di ONG.
- Perché Germania e Italia inizialmente si sono opposte?
I governi di Germania e Italia, spinti dalle loro associazioni industriali (come Confindustria in Italia e BDI in Germania), si erano resi conto che la CSDDD avrebbe rappresentato un enorme onere burocratico e un costo insostenibile per le loro imprese, molte delle quali fortemente esportatrici e con filiere globali complesse. Hanno tentato di bloccarla a febbraio 2024, temendo, correttamente, che la direttiva avrebbe danneggiato la competitività europea in un momento economico già molto delicato.








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