Attualità
La crisi di governo e i bisogni degli italiani: mancano 100 miliardi di euro l’anno
di Davide Gionco
10.08.2019
Mentre l’Italia, ovvero molti milioni di italiani (non un concetto generico, ma persone, con le loro famiglie, il loro lavoro) continua ad essere immersa nei suoi gravi problemi sociali ed economici, ecco che ci ritroviamo in una crisi di governo, da cui francamente si fa fatica a vedere degli sbocchi positivi, che possano garantire una situazione “meno peggiore” di quella precedente.
Naturalmente è già partito il teatrino di tv e giornali sulle possibili nuove elezioni, sulle possibilità che venga formata una diversa maggioranza politica in Parlamento.
I vari partiti non perdono occasione di dire di non avere timore di presentarsi alle elezioni, proponendosi agli elettori come alternativa seria all’attuale ex maggioranza politica.
Per favore, scendiamo dalla giostra della “politichetta”!
Non stiamo giocando il campionato di calcio, dove l’importante è che la nostra squadra vinca la partita, per poter poi sventolare la nostra bandiera.
L’Italia continua ad avere milioni di persone in povertà assoluta ed alti milioni di persone a rischio di cadere in povertà.
L’Italia continua ad avere milioni di disoccupati e molti milioni di persone che tirano a campare, con lavoretti part-time, con datori di lavoro che li sfruttano, con l’Agenzia delle Entrate sempre pronta a tartassare le nostre piccole e medie imprese portandole senza remore al fallimento, con le poche aziende che sono riuscite a sopravvivere puntanto sulle esportazioni e che ora devono fare i conti con le guerre dei dazi ed il calo di domanda dei vicini paesi europei, causato dalle politiche europee di austerità. Una tassazione da record mondiale, unita a servizi pubblici sempre più scadenti e inaccessibili.
I servizi pubblici vanno verso lo scatafascio: la sanità ridotta ai minimi termini dai continui tagli, al punto che mancano medici ed infermieri per curarci, manutenzione degli edifici pubblici ridotta al punto che molti edifici sono inagibili, investimenti per infrastrutture (non solo nei trasporti, ma anche nelle telecomunicazioni, nella formazione professionale, nella ricerca, nell’energia…).
I nostri giovani continuano ad emigrare all’estero, al ritmo di 200mila all’anno, spesso persone molto qualificate.
A livello internazionale ci sono certamente problemi più grandi di noi, ma francamente l’Italia non dimostra di avere una linea chiara da portare avanti.
L’accordo di governo M5S + Lega aveva un senso se era finalizzato a realizzare dei provvedimenti realmente importanti, quelli minimi, necessari e fondamentali, per risolvere almeno alcuni dei problemi sopra elencati e far uscire il paese dalla lunga e profonda recessione economica.
La ragione di gran parte dei problemi non è la “cattiva volontà” da parte dei partiti di governo, i quali tutti, nell’ambito della loro visione politica della società, sarebbero certamente ben lieti di porre fine alla disoccupazione ed alla povertà in Italia, di ridurre le tasse e lasciar lavorare le nostre imprese, di migliorare il livello dei servizi pubblici.
La ragione per cui queste cose non si fanno è evidente e chiara a tutti: mancano i soldi per farlo!
Ecco, se il governo giallo-verde avesse assunto come priorità il trovare il modo per finanziare i tagli di tasse ed i necessari investimenti pubblici, sicuramente ci sarebbero stati i fondi per finanziare il “libro dei sogni” di ciascuno dei due partiti, escludendo dai finanziamenti i pochi punti di disaccordo dei rispettivi programmi e ponendo fine alla crisi economica del paese.
Se la priorità politica è la fine della crisi economica, la prima questione da risolvere non è “l’elenco delle cose da fare”, ma è stabilire quanti soldi servono per far uscire l’Italia dalla crisi economica.
Su questo blog abbiamo più volte affrontato l’argomento.
Per fare uscire l’Italia dalla crisi economica occorre una disponibilità di denaro per lo Stato dell’ordine di 100 miliardi di euro l’anno in più rispetto a quelli attualmente in bilancio, questo per almeno 3-4 anni.
Dal punto di vista macroeconomico, se lo Stato aumenta gli investimenti pubblici, la spesa corrente e taglia le tasse, facendo in modo che 100 miliardi in più finiscano nel settore privato (sotto forma di pagamenti ad imprese appaltatrici, stipendi pubblici e maggiore disponibilità di denaro per i cittadini grazie alla riduzione delle tasse), questo significa che quel denaro speso porterà, direttamente o indirettamente, ad un aumento del Prodotto Interno Lordo, alla creazione di nuovi posti di lavoro, ad aumenti di stipendio nel settore pubblico e privato.
100 miliardi in più nel settore privato significa la creazione di almeno 2-3 milioni di posti lavoro in più in un anno, se questa spesa viene correttamente indirizzata verso i lavoratori e non per aumentare i profitti dei soliti monopolisti legati al mondo della finanza.
Se giudichiamo il governo uscente sulla base di queste premesse, il giudizio è impietosamente negativo.
Il primo grave errorre, comune, delle due forze politiche che hanno sostenuto il governo Conte è stato quello di porre come priorità delle “cosette” da fare e non il trovare il modo di disporre di 100 miliardi l’anno in più a bilancio.
E’ quello che un caro amico chiama il “briciolesimo“: spendere immense energie politiche e di comunicazione mediatica per una “riformina” che vale magari 5 miliardi di euro, sottraendoli (peraltro) ad un’altra voce del bilancio, mentre non ci si preoccupa neppure di trovare 100 miliardi di euro, da spendersi in quella ed altre riforme, per porre fine alla crisi economica.
E’ un problema di ordini di grandezza. Una riformina da 5 miliardi a bilancio zero porterà, bene che vada, una crescita del PIL dello zero virgola zero qualche cosa, con la creazione (forse) di qualche migliaio di posti di lavoro, mentre una riforma seria da 100 miliardi aggiuntivi sul bilancio porterà, per male che vada, una crescita del PIL del 2,5-3-3,5% e la creazione di 2 milioni di posti di lavoro.
Se leggiamo il testo della mozione di sfiducia al governo preentata dalla Lega in Senato, ci cadono le braccia:
“premesso che:
l’esame in aula delle mozioni riguardanti la TAV ha sugellato una situazione di forti differenze di vedute, tra le due forze di maggioranza, su un tema fondamentale per la crescita del paese come lo sviluppo delle infrastrutture;
tenuto conto che:
il Presidente del Consiglio non era presente in aula, nel momento delle votazioni sulle citate mozioni, per ribadire l’indirizzo favorevole alla realizzazione dell’opera che egli stesso aveva dichiarato pochi giorni prima nell’altro ramo del Parlamento e si è verificata la situazione paradossale che ha visto due membri del governo presenti esprimere due pareri contrastanti;
preso atto che:
le stesse divergenze si sono registrate su altri temi prioritari dell’agenda di governo quali la giustizia, l’autonomia e le misure della prossima manovra economica;
visto l’articolo 94 della Costituzione e visto l’articolo 161 del Regolamento del Senato della Repubblica,
esprime la propria sfiducia al Governo presieduto dal Prof. Giuseppe Conte”
Ora: la TAV Torino-Lione, a parte il fatto che è stata giudicata non conveniente dal punto di vista economico, né per gli aumenti degli scambi commerciali con la Francia (che sono in diminuzione da anni), è un’opera dal costo di 8 miliardi di euro su 16 anni di lavori (non mi interessano le cifre esatte, cercatevele), che fanno 500 milioni di euro l’anno di investimenti.
Prima considerazione: non si tratta di investimenti aggiuntivi, in quanto quei fondi sono a “bilancio zero”, ovvero vengono sottratti da altre voci di bilancio e spostati sulla TAV. Casomai il fondi aggiuntivi sono quelli dei finanziamenti europei (che abbiamo pagato noi, ovviamente, ma almeno ci ritornano), che sono intorno al 40%, quindi stiamo parlando di 200 milioni in più l’anno, di cui almeno 1/3 sono costi energetici, energia necessaria al funzionamento dei macchinari di scavo e di cantiere. Quindi alla fine per i lavoratori italiani restano 133 milioni di euro l’anno, che fanno circa 3’800 posti di lavoro in più: briciole!!!
E gli eventuali, e non dimostrati, vantaggi per gli scambi commerciali i avremo, se tutto va bene, nel 2030-2035.
Gli altri temi “prioritari” della Lega sono cose o che c’entrano poco con la ripresa economica del paese (giustizia, autonomia) o altre misure economiche da “briciolesimo”.
La tanto osannata “flat tax”, a parte miei dubbi personali sull’efficacia di ridurre le tasse soprattutto ai più ricchi, invece che soprattutto ai meno ricchi (non perché io sia contro la ricchezza, ma perché l’aumentato reddito dei poveri ha un moltiplicatore fiscale molto più alto), è qualcosa che potrebbe valere 15-20 miliardi di euro.
Se questi fondi sono trovati a bilancio zero, saranno sottratti da altre voci di bilancio per metterli nella voce “flat tax”, senza alcun beneficio per l’economia del paese.
Ancora una volta quello che è importante è che si tratti di risorse aggiuntive, non di risorse a bilancio zero.
E, comunque sia, 20 miliardi di euro aggiuntivi fanno l’1,1% del PIL, il che porterebbe una crescita modesta forse dell’1,5%, senza tenere conto dei rischi derivante da una probabile crisi economica internazionale.
Ma il Movimento 5 Stelle non è da meno: il cavallo di battaglia del reddito di cittadinanza, che certamente ha aiutato alcuni poveri ad arrivare a fine mese (meglio che niente), è stata ancora una volta una riforma a bilancio zero. In sostanza per dare qualche briciola ai poveri, sono stati tagliati dei servizi pubblici fondamentali ad altri italiani. Lo stesso dicasi per la “quota 100”: briciole!
E davvero fa cadere le braccia un Di Maio, confermato da Davide Casaleggio, il quale proclama ufficialmente che la Lega avrebbe dovuto almeno votare la riduzione del numero di parlamentari.
Come se la riduzione del numero di parlamentari, a parte tutte le questioni legate alla riduzione della rappresentanza popolare in Parlamento, fosse un provvedimento determinante per risolvere i problemi economici e sociali del paese.
Se la questione centrale non può essere che il reperimento di 100 miliardi di euro aggiuntivi, il primo grave errore è stato quello di farsi imporre da Mattarella e dai poteri forti dell’Unione Europea un ministro dell’economia assolutamente inadeguato, quale è Giovanni Tria.
Tria è un economista votato all’equilibrio di bilancio, alle riforme a bilancio zero, nelle quali si racimolano 8 miliardi di euro per la TAV tagliando i fondi alle scuole, o cose del genere. In assoluta continuità con i precedenti governi del PD e di Forza Italia (altri esperti di “briciolesimo”).
Ci sarebbe invece stato bisogno di un economista con idee innovative e coraggiose, capace di farsi rispettare dall’Unione Europea e di elaborare degli strumenti finanziari in grado di consentire al governo di disporre dei famosi 100 miliardi aggiuntivi in bilancio.
In politica estera l’azione di Moavero è non pervenuta. Uno dei modi per disporre di 100 miliardi aggiuntivi a bilancio era quello di ottenere dalla UE il diritto di fare un deficit di bilancio di almeno il 7-8%. Gli Italia potebbe avere gli argomenti politici per ottenerlo, ma la proposta non è neppure stata avanzata.
Ma soprattutto sarebbe bastato un po’ di senso costituzionale all’interno dei partiti, ricordandosi che l’art. 1 dice che la sovanità appartiene al popolo e che l’art. 49 dice che la vita democratica del paese non è un fatto esclusivo dei partiti.
In questo blog, come esponenti (nel nostro piccolo) del Popolo Italiano, abbiamo parlato in molte occasioni di soluzioni tecniche innovative che consentirebbero di disporre di 100 miliardi l’anno a bilancio, dalla proposta dei minibot (se fosse attuata in modo efficace, ma a quanto pare Borghi è stato lasciato da solo a portarla avanti), alla proposte dei Certificati di Credito Fiscale di Marco Cattaneo, alle statonote di Nino Galloni, ai SIRE di Fabio Conditi (moneta positiva), alle soluzioni della MMT, oltre alle altre ottime proposte dei vari Marco Saba, Nicoletta Forcheri, Alberto Micalizzi, Guido Grossi e tanti altri.
Queste proposte sono state presentate ai parlamentari di tutti i partiti in diverse occasioni, ma nulla è arrivato dai parlamentari al governo, forse perché le decisioni che contano le prendono i dirigenti di partito, non il Parlamento (ma non eravamo una repubblica parlamentare?).
Queste proposte sono state fatte pervenire ad esponenti del Ministero dell’Economia, compresi diversi sottosegretari.
Hanno ricevuto delle proposte di soluzioni tecniche pe disporre di 100 miliardi di euro aggiuntivi a bilancio, studiate in modo da non violare i parametri europei, da non aumentare il debito pubblico, da non creare allarmi nel paese, ma non hanno neppure risposto o hanno risposto che “non avevano tempo” o che “avevano altre priorità”.
E, come abbiamo visto, queste “priorità” erano in realtà le briciole su cui, alla fine, si sono consumati i contrasti che hanno portato alla caduta del governo.
Ora lo scenario è sconfortante, in quanto le altre forze politiche in Parlamento sono affette dalla stessa sindrome da briciolesimo. Anzi, ancor più di Lega e 5 Stelle, sono sottomessi alle politicamente e culturalmente, alle linee di austerità dell’Unione Europea e ad una visione “a bilancio zero” dell’economia.
Qualsiasi nuova maggioranza si formasse in Parlamento, darebbe risultati di politiche economiche ancora peggiori.
E se anche si andasse ad elezioni, con una Lega (forse, ma gli italiani potrebbero anche cambiare idea) al 40%, la situazione non cambierebbe, perché continueremmo ad avere al governo che ragiona in termini di “bilancio zero”, che pensa di salvare il paese che ha bisogno di 100 miliardi l’anno facendo “riformine” da 5 miliardi di euro, che non si pove come priorità l’uscita dell’Italia dalla crisi economica.
Se vogliamo avere qualche speranza di uscie da questo incubo, è necessario che le forze politiche, attuali o future, comprendano quali sono le reali priorità del paese, che mettano da parte il briciolesimo e le politiche economiche a bilancio zero, dando invece spazio a soluzioni innovative e coraggiose, che già esistono e sono state sviluppate da persone serie e competenti.
Una volta trovati i 100 miliardi l’anno in più a bilancio, la strada sarà in discesa per tutti, anche per il consenso dei partiti.
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