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Analisi e studi

La Costituzione economica 6° scheda: art. 41

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Con questa scheda trattiamo l’articolo che forse può essere considerato il fulcro della costruzione economica prevista dalla nostra Costituzione, quello più controverso e che, anche dalla genesi sofferta, mostra quali compromessi sono stati compiuti per arrivare a determinare se vi siano e quali siano i limiti alla libera iniziativa privata: l’art. 41 sul diritto all’impresa.

L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Sono pochi gli articoli di una legge che racchiudono quasi in ogni parola un mondo di significati e presupposti come questo in esame. Sull’art. 41 si potrebbero scrive libri (ed è stato fatto); qui ci limiteremo ad un breve excursus storico per inquadrarlo correttamente e ad una esegesi forzatamente superficiale, che comunque può dare degli spunti e delle intuizioni per un ragionare più consapevole di ciascuno di voi lettori.

Inizialmente è bene premettere un fatto importante, che fu fonte di discussioni fra giuristi e non solo, ma che è ormai dato acquisito, grazie anche all’interpretazione data dalla Corte Costituzionale (es sentenza 30/1965 o 78/1970): l’iniziativa economica privata è un vero e proprio diritto, che può soffrire limitazioni per le ragioni costituzionalmente previste, ma che comporta la piena libertà di impresa, sia nel suo momento iniziale (la libera decisione di fare o no impresa ed in quale settore), che in tutto il suo concreto svolgimento (decidere come e se continuare a fare impresa). Corollario di ciò, è per esempio il diritto dell’imprenditore alla c.d. “serrata”, ovvero la decisione di non esercitare temporaneamente la propria attività, anche se ciò danneggia altri, parallelamente al diritto di sciopero del lavoratore, che abbiamo visto esaminando l’art. 40.

Scendendo all’esame del testo, questo in effetti è l’unione (rectius il coordinamento) di due articoli diversi che erano stati proposti in sede costituente, l’art 37 e l’art 39, figli il primo della visione liberista (L’iniziativa economica privata è libera) ed il secondo della visione socialista/democristiana che implementava il concetto di sussidiarietà caro alla dottrina sociale della Chiesa con quello della “programmazione economica” per fini sociali. Quest’ultimo, mentre al primo comma risultava identico all’attuale secondo comma, “l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana“, al secondo così recitava: “La legge stabilisce le norme, i controlli e i piani opportuni perché le attività economiche pubbliche e private siano dirette e coordinate a fini di utilità sociale“. I socialisti, che insistevano perché l’articolo prevedesse i termini da me evidenziati, di natura più dirigista, dopo discussione approfondita accettarono quelli più blandi, “programmi” ed “indirizzata”, arrivando così, con l’unione del “liberale” art. 37, alla formulazione attuale.

L’iniziativa economica private è quindi libera, ma soggiace a due precisi limiti, che non venga svolta in contrasto con l’utilità sociale e che non rechi danno ai diritti fondamentali della persona umana. Notare che anche qui ritroviamo il termine “dignità” che avevamo già esaminato, quando abbiamo parlato di retribuzione del lavoratore (art. 36), la quale deve in ogni caso assicurare “un’esistenza libera e dignitosa“. La dignità umana, come diritto ad una piena esplicazione della propria personalità, anche in ambito sociale, è il filo rosso che unisce tutta la Parte Prima della Costituzione ed è ciò che lega i cittadini l’un con l’altro, facendoli sentire un Popolo unito (quello che gli afro-americani chiamano “respect“): possiamo quindi dire che l’attività economica del cittadino deve essere svolta sempre e comunque con il “rispetto” dell’altro, sia esso suo dipendente o cliente/consumatore, dei suoi diritti fondamentali, come la salute e la libertà, e più genericamente, prendendo in considerazione la collettività, con il “rispetto” dell’utilità sociale.

Quest’ultimo concetto per chi ha seguito fin dall’inizio dovrebbe essere chiaro, perché non è che un’ulteriore esplicazione di quanto prevedono gli artt. 2 e 4 a cui abbiamo accennato (soprattutto il secondo) nella seconda schedala solidarietà politica, economica e sociale prevista dall’art. 2, da una parte, ed il fine del progresso materiale o spirituale della società, previsto come ragione dell’attività umana dall’art. 4, dall’altra. E’ utile quindi ciò che aiuta la solidarietà fra cittadini e che porta al progresso la società nel suo insieme.

Solo per la tutela di queste fondamentali ragioni sociali lo Stato può coordinare ed indirizzare, con il rispetto della libertà di azione dell’imprenditore che non può diventare mero strumento, l’attività privata, attraverso controlli e programmi. Come credo sappiate la programmazione economica, intesa come strategia globale di sviluppo economico, in Italia non si è mai avuta e questo è un problema che ha portato l’imprenditoria nostrana a dover competere senza poter contare sull’apporto dello Stato e probabilmente a non sfruttare pienamente le proprie capacità espansive industriali.

Naturalmente, mentre il privato ha una maggiore autodeterminazione, l’impresa pubblica è soggetta ad un più penetrante indirizzo e, soprattutto e questione fondamentale, è tenuta al perseguimento degli scopi sociali come vero e proprio “oggetto sociale” della sua impresa, ossia come fine primo ed immediato, diversamente dal privato che ha come fine del proprio agire economico il profitto, con il limite del non recare danno all’interesse sociale ed un eventuale secondario scopo sociale. Questa diversità di finalità nell’intraprendere, diversità che discende dal “programma costituzionale” dettato dalla Carta ed al quale il pubblico non può sottrarsi, è esattamente quanto fa la differenza ad esempio fra servizio offerto dal pubblico e servizio privatizzato. Non è questa la sede per esaminare le conseguenze di questa diversità fra pubblico e privato (a chi interessa ne ho scritto sul mio blog anni fa), ma è importante che questa distinzione funzionale sia ben compresa.

Alla prossima scheda.


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