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Economia

La corsa ai microchip si fa microscopica: la svolta della Johns Hopkins permetterà più miniaturizzazione

La Johns Hopkins scopre come creare microchip invisibili: una svolta che rivoluzionerà l’elettronica. Più piccoli, veloci ed efficienti: i nuovi chip cambieranno il nostro futuro tecnologico.

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Se c’è una cosa che abbiamo imparato è che nel mondo della tecnologia, piccolo è bello. E veloce. E, a conti fatti, più economico. Questa regola, che vale per tutto, dagli smartphone alle auto, trova il suo campo di battaglia principale nella produzione di microchip.

La sfida è sempre la stessa: come rimpicchiolire i circuiti all’infinito per renderli più potenti ed efficienti? La risposta, che a volte sembra un vicolo cieco, potrebbe essere arrivata grazie a un gruppo di scienziati, in particolare dalla prestigiosa Johns Hopkins University.

La notizia, pubblicata su Nature Chemical Engineering, parla di  un nuovo materiale e un processo di fabbricazione rivoluzionario che promette di spostare in avanti i limiti attuali della miniaturizzazione. Questo promette di poter ottimizzare e ridurre di dimensioni tutti gli apparati elettronici che li utilizzano.

Il problema e la soluzione: una questione di chimica e luce

Fino a oggi, la produzione di microchip ha seguito un processo consolidato: si riveste un wafer di silicio con un materiale fotosensibile, chiamato “resist”, e poi si incide il circuito con un fascio di luce. Più i circuiti devono essere piccoli, più la luce deve essere potente.

Esempio di produzione di chip tramite resist e luce

Il problema, però, è che i resist tradizionali non sono in grado di interagire efficacemente con i fasci di luce ad altissima energia, noti come “beyond extreme ultraviolet radiation” (B-EUV), necessari per creare dettagli su scala nanometrica, cioè inferiori ai 10 nanometri. Un vero e proprio muro.

Il team della Johns Hopkins, guidato dal professor Michael Tsapatsis, ha aggirato l’ostacolo sviluppando una nuova classe di materiali metallo-organici. Invece di lottare con i materiali esistenti, hanno creato qualcosa di nuovo, studiato appositamente per la radiazione B-EUV. La magia sta nel fatto che metalli come lo zinco assorbono questa luce potentissima e, con una reazione chimica controllata, permettono di “disegnare” il circuito sul silicio.

Questo non è un semplice aggiustamento, ma un cambio di paradigma. E non è finita qui. Insieme al materiale, hanno messo a punto anche un nuovo processo di deposizione, chiamato chemical liquid deposition (CLD), che permette di applicare questo resist metallo-organico in modo preciso e uniforme sui wafer di silicio in forma liquida.

I vantaggi di una scoperta che guarda al futuro

Questa scoperta apre scenari entusiasmanti, con benefici che si faranno sentire in ogni settore:

  • Miniaturizzazione estrema: Si potranno produrre circuiti incredibilmente piccoli, invisibili a occhio nudo, spingendo la legge di Moore ben oltre i limiti attuali.
  • Velocità e potenza: Chip più piccoli significano anche percorsi più brevi per gli elettroni, e quindi dispositivi più veloci ed efficienti, sia che si tratti di un computer quantistico che del tuo smartphone.
  • Costi ridotti: Il processo CLD è più economico e scalabile rispetto ad altre tecniche, rendendo la produzione di microchip di nuova generazione accessibile su larga scala.
  • Flessibilità e innovazione: Il sistema permette di sperimentare con diverse combinazioni di metalli e materiali organici, aprendo la strada a infinite possibilità e a futuri sviluppi nel campo. Gli scienziati hanno già identificato una decina di metalli e centinaia di composti organici da testare, il che fa capire l’enorme potenziale.

Questa ricerca non risolve un piccolo problema, ma affronta una delle sfide centrali dell’industria elettronica, fornendo gli strumenti chimici e tecnologici che saranno necessari per i prossimi 10-20 anni. È la conferma che l’innovazione non si ferma, ma che per superare i limiti serve un mix di ingegno, collaborazione globale e, in questo caso, un po’ di buona vecchia chimica.

Fotolitografia per la produzione dei chip

Domande e Risposte

  1. Qual è l’innovazione principale di questa ricerca e perché è così importante per l’industria dei microchip? La svolta sta nella scoperta di nuovi materiali metallo-organici e di un processo di deposizione chiamato Chemical Liquid Deposition (CLD). Fino a oggi, la produzione di chip ultra-piccoli era limitata dalla capacità dei materiali esistenti di interagire con fasci di luce ad altissima energia (B-EUV). I nuovi materiali, come quelli a base di zinco, assorbono in modo efficiente questa radiazione, permettendo di incidere circuiti di dimensioni inferiori ai 10 nanometri. Questa innovazione è fondamentale perché permette di superare un ostacolo tecnico cruciale, spingendo in avanti la miniaturizzazione e, di conseguenza, la velocità e l’efficienza dei dispositivi elettronici.
  2. In che modo questa scoperta potrebbe influenzare la nostra vita quotidiana nei prossimi anni? L’impatto sarà vasto e profondo, anche se non immediato. Chip più piccoli e potenti si traducono in dispositivi elettronici (smartphone, computer, elettrodomestici) che saranno più veloci, più efficienti dal punto di vista energetico e potenzialmente più economici. La tecnologia sarà un motore per l’innovazione in settori come l’intelligenza artificiale, i veicoli autonomi e l’Internet delle Cose (IoT), dove la capacità di elaborazione in spazi ridotti è cruciale. La scoperta, fornendo una base tecnologica solida per i prossimi decenni, accelererà la creazione di prodotti e servizi oggi inimmaginabili.
  3. Qual è il ruolo della collaborazione internazionale in questa ricerca? La ricerca è il frutto di un’ampia collaborazione globale che ha coinvolto, oltre alla Johns Hopkins University, istituzioni prestigiose come l’East China University of Science and Technology, l’École Polytechnique Fédérale de Lausanne e i laboratori nazionali di Brookhaven e Lawrence Berkeley. . La collaborazione ha permesso di combinare esperimenti, modelli teorici e l’accesso a strumentazioni avanzate, accelerando la scoperta e la validazione del nuovo processo di produzione.
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