Cina
La Cina ringrazia: la strategia energetica USA affossa l’eolico e rafforza Pechino
La scelta degli Stati Uniti di puntare su petrolio e gas per sganciarsi da Pechino sta avendo un effetto inatteso: la fuga degli investimenti nell’eolico offshore, che finisce per rafforzare proprio la leadership tecnologica e industriale cinese nel settore.
Nelle grandi strategie geopolitiche, a volte, la mossa che sembra più astuta si rivela un clamoroso autogol. È quello che sta accadendo alla politica energetica statunitense che, nel lodevole tentativo di “disaccoppiarsi” (il famoso decoupling) dalle catene di approvvigionamento cinesi, sta di fatto regalando a Pechino la leadership in un settore strategico per il futuro: l’eolico offshore.
La logica di Washington sembrava lineare: per ridurre la dipendenza dalla manifattura cinese, meglio puntare sulle risorse domestiche, ovvero petrolio e gas. Una scelta che, però, ha innescato una tempesta perfetta per l’industria delle energie rinnovabili a stelle e strisce. Tra stop ai progetti, tagli agli incentivi fiscali e costi gonfiati dall’inflazione, il settore dell’eolico offshore americano sta annegando prima ancora di aver imparato a nuotare.
I dati, come spesso accade, sono impietosi. Un’analisi di Rystad Energy mostra un quadro a dir poco paradossale:
- Crollo degli investimenti USA: Nel 2025, gli investimenti statunitensi nelle rinnovabili sono crollati del 36% su base annua.
- Fuga dei capitali europei: Le aziende europee, spaventate dal clima ostile, stanno dirottando i loro capitali altrove, lontano dagli USA.
- Stop ai lavori: Progetti di colossi come Orsted in Rhode Island e Equinor a New York hanno subito stop forzati, creando un clima di incertezza totale. Molti progetti sono stati perfino abbandonati.
- Avanzata inarrestabile della Cina: Mentre l’Occidente si incarta, la Cina corre. Pechino sta sviluppando due terzi dei nuovi progetti eolici offshore globali. Entro il 2030, si prevede che deterrà il 45% della capacità cumulativa mondiale.
Il paradosso è servito: nel tentativo di sganciarsi dalla Cina, l’America non solo frena la propria transizione energetica, ma rafforza la posizione di Pechino come leader globale indiscusso delle rinnovabili. Come ha sottolineato Alexander Fløtre di Rystad Energy, “la posizione della Cina come leader globale delle rinnovabili potrebbe essere stata solo rafforzata” da questa mossa.
Il fatto è semplice: se le aziende cinesi producono, qualcuno dovrà acquistare i prodotti, anche a costo di ridurre i prezzi. Dato che la produzione è sovvenzionata le aziende non falliscono, almeno per ora, e la Cina, o i suoi clienti, installano le pale eoliche a costi convenienti. COsa che gli USA ora non fanno più.
Il miraggio di una filiera occidentale
L’idea di creare una catena di approvvigionamento alternativa per le rinnovabili, indipendente dalla Cina, si sta rivelando un’illusione. I produttori di apparecchiature originali (OEM) occidentali, che nel 2020 avevano tentato una fuga dalla Cina, stanno tornando con la coda tra le gambe, attratti da un ambiente imprenditoriale che, evidentemente, resta più favorevole.
La sfida è titanica. Un’analisi delle piattaforme per turbine eoliche utilizzate in Europa rivela che circa il 25% dei siti di produzione per componenti chiave utilizzati dagli OEM occidentali si trova proprio in Cina.
Mentre gli Stati Uniti si impantanano, l’Europa sembra aver capito l’antifona. I politici del Vecchio Continente si stanno mobilitando per ridurre la dipendenza dalle importazioni cinesi e irrobustire la filiera domestica, ma senza forzare. L’obiettivo è incoraggiare la produzione locale tenendo sotto controllo i costi. Una corsa contro il tempo, perché nel frattempo la Cina non sta certo a guardare, anzi, accelera, come dimostra il mega-progetto da 1,5 GW della CNOOC nell’Hainan.
In conclusione, la strategia americana, nata per contenere il rivale strategico, sta ottenendo l’effetto opposto. Un classico caso di eterogenesi dei fini, dove le buone intenzioni lastricano la via… del successo di Pechino.
Domande e Risposte per il Lettore
1. Perché una politica a favore di petrolio e gas danneggia l’eolico offshore negli USA? La scelta di privilegiare i combustibili fossili interni crea un ambiente normativo e finanziario sfavorevole per le rinnovabili. Comporta la riduzione o l’eliminazione di crediti d’imposta e sussidi cruciali per l’eolico, che ha costi iniziali molto alti. Questa incertezza politica scoraggia gli investimenti a lungo termine da parte di aziende, soprattutto europee, che preferiscono dirottare i capitali verso mercati più stabili e con un chiaro supporto governativo. In sostanza, si tolgono risorse e certezze a un settore per darle a un altro.
2. La Cina è davvero così dominante nella componentistica per l’eolico? Sì, la sua posizione è dominante e difficile da scalfire. La Cina controlla gran parte della catena di produzione, dalle materie prime (come le terre rare, essenziali per i magneti delle turbine) alla manifattura di componenti complessi. Circa il 25% dei componenti chiave per le turbine eoliche usate dai produttori occidentali è “Made in China”. Questo controllo dei costi e della produzione rende estremamente difficile per l’Occidente creare una filiera alternativa che sia competitiva in termini di prezzo e capacità produttiva nel breve-medio termine.
3. Qual è il rischio per l’Europa in questo scenario? L’Europa si trova stretta in una morsa. Da un lato, la ritirata degli USA dal settore la priva di un mercato alleato fondamentale per la crescita e l’innovazione. Dall’altro, aumenta la sua dipendenza strategica dalla Cina per la componentistica necessaria alla sua stessa transizione energetica. Se l’Europa non riuscirà a sviluppare rapidamente una propria filiera manifatturiera robusta, rischia di passare da una dipendenza energetica dal gas russo a una dipendenza tecnologica e industriale dalla Cina, con tutte le implicazioni geopolitiche che ne conseguono.
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