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La Cina frena: PIL Q3 al 4,8%. E ora Pechino si prepara ad abbandonare gli obiettivi di crescita?

Il Dragone rallenta (PIL Q3 a +4,8%) e la debolezza dei consumi interni mette in discussione i piani futuri. Pechino pronta a dire addio ai target di crescita?

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La locomotiva cinese, o forse dovremmo dire il “Dragone”, mostra segni di affaticamento. Gli ultimi dati macroeconomici pubblicati dall’Ufficio nazionale di statistica di Pechino non lasciano molto spazio all’ottimismo: nel terzo trimestre 2025, il PIL è cresciuto “solo” del 4,8% su base annua, cifra enorme per l’arteriosclerotica UE, deludente per Pechino.

Si tratta di un rallentamento evidente rispetto al +5,2% del secondo trimestre e segna il ritmo di crescita più lento dal terzo trimestre del 2024. Un dato che, sebbene “in linea con le aspettative del mercato” (formula di rito per attutire il colpo), conferma che lo slancio post-pandemico si è esaurito, lasciando il posto ai soliti noti: tensioni commerciali con gli Stati Uniti, una crisi immobiliare che sembra non finire mai e, soprattutto, una domanda interna debolissima.

E mentre la propaganda ufficiale si affretta a dire che la crescita del 5,2% nei primi nove mesi “pone una solida base” per raggiungere l’obiettivo annuale del 5%… beh, la matematica è una cosa, la realtà economica un’altra.

Ecco il relativo grafico:

Il vero malato: il consumatore cinese

Il dato che più di ogni altro dovrebbe far suonare un campanello d’allarme è quello delle vendite al dettaglio. A settembre, la crescita è stata di appena il 3,0% su base annua, in frenata dal già non esaltante 3,4% di agosto. È l’espansione più debole da agosto 2024, e arriva nonostante i vari programmi di sussidi al consumo varati dal governo.

In pratica, i cinesi non spendono. O meglio, spendono con il contagocce. A guidare il rallentamento sono stati proprio i beni durevoli e voluttuari, quelli che segnalano la fiducia delle famiglie:

  • Elettrodomestici e audiovisivi: +3,3% (contro il +14,3% di agosto)
  • Oro, argento e gioielli: +9,7% (contro il +16,8%, e nonostante il prezzo record del metallo prezioso)
  • Prodotti sportivi e intrattenimento: +11,9% (contro il +16,9%)

Si salvano (parzialmente) i beni di prima necessità come cibo e vestiario, e curiosamente le apparecchiature di comunicazione (+16,2%) e le automobili (+1,6%, ma pur sempre una crescita anemica).

Ecco il relativo grafico:

Se i consumatori non comprano, le aziende non producono e non assumono. Il tasso di disoccupazione, infatti, pur scendendo leggermente, resta vicino ai massimi di sei mesi registrati ad agosto. Qualche segnale positivo arriva dalla produzione industriale (cresciuta al ritmo più veloce degli ultimi tre mesi) e dal commercio estero, ma sembrano più colpi di reni legati alla spesa pre-festività (la “Golden Week”) che un’inversione di tendenza strutturale. C’è una necessità di rilanciare i consumi interni in modo più solido rispetto al semplice utilizzo di bonus estemporanei, e sarà necessario riusolvere l’annoso problema immobiliare.

Il Piano Quinquennale e l’ammissione di debolezza

Questo scenario di crescita asfittica fa da sfondo a un appuntamento politico cruciale: il Quarto Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC), che si riunirà a Pechino dal 26 al 29 ottobre. Sul tavolo c’è la definizione del nuovo Piano Quinquennale, il faro che dovrebbe guidare lo sviluppo economico e sociale del paese.

E qui arriva la notizia più interessante, che getta una luce diversa sui dati deludenti. Secondo molti economisti cinesi vicini ai circoli governativi, la leadership del Partito sarebbe pronta a ridimensionare, o addirittura a eliminare, un obiettivo di crescita specifico del PIL nel nuovo piano.

Sarebbe una svolta storica. Per anni, Pechino ci ha abituato a target ambiziosi:

  • 12° Piano (2011-15): 7% di crescita media annua.
  • 13° Piano (2016-20): Almeno 6,5% di crescita media annua.
  • Piano Attuale (2021-25): “Intorno al 5%” (già un ridimensionamento).

Ora, economisti come Lian Ping (Zhixin Investment Research Institute) o Hu Qimu (Sinosteel Economic Research Institute) parlano apertamente di un target “attorno al 4,5%” o addirittura della sua completa sparizione. Si realizzerà quello che alcuni economisti prevedono, cioè la sparizione del PIL come indicatore economico? Da cosa sarà sostituito?

Une usine de véhicules électriques à Jinhua, en Chine. /Photo prise le 26 avril 202/REUTERS/China Daily

Crescita di “Qualità” o semplice Realismo?

La narrativa ufficiale, ovviamente, è che la Cina sta abbandonando un modello di crescita “orientato alla quantità” per concentrarsi sulla “ottimizzazione strutturale e di qualità”. Si parla di innovazione, investimenti mirati, transizione verde. Tutte cose bellissime.

Ma sorge un sospetto, un po’ pragmatico: non sarà mica che questa improvvisa passione per la “qualità” è solo un modo elegante per ammettere che gli obiettivi di crescita quantitativi non sono più raggiungibili? Questa vicenda ricorda l’antica leggenda della volpe e l’uva: ah l’uva è acerba, perché la volpe non può arrivarci.

Wang Yiwei, professore alla Renmin University, ha dichiarato al Global Times che “la rapida crescita non è più un indicatore della forza dell’economia cinese”. Una dichiarazione che suona come mettere le mani avanti. Dopotutto, già nel 2020, in piena crisi Covid, Pechino aveva evitato per la prima volta di fissare un obiettivo di PIL, dimostrando che il tabù può essere infranto.

Oggi, la Cina non ha il Covid come nel 2020, ma ha problemi forse peggiori. Come ammesso dagli stessi analisti, quelli a venire potrebbero essere gli “anni più difficili”.

Le tre grandi sfide del Dragone

I motivi per cui Pechino abbassa le attese sono almeno tre, e sono enormi:

  1. La Frattura con gli USA: La “guerra” commerciale, tecnologica e geopolitica con Washington è la nuova normalità. Hu Qimu stima che le misure per contrastare il decoupling americano potrebbero occupare fino al 30% del nuovo piano quinquennale. La Cina deve prepararsi a fare da sola, puntando sul famoso modello a “doppia circolazione” (maggiore enfasi sul mercato interno). Peccato che, come visto, il mercato interno sia fermo.
  2. L’Incognita Globale: Una recessione globale, o anche solo un forte rallentamento, colpirebbe le esportazioni cinesi (che per ora tengono, ma fino a quando?). Senza contare i rischi sempre presenti di nuove ondate pandemiche o crisi sanitarie.
  3. La Trappola del Reddito Medio: Questa è la vera sfida strutturale. La Cina non è più il paese a basso costo di 20 anni fa. Per continuare a crescere, deve passare da un’economia di “copiatura” e manifattura a basso valore a una di innovazione e servizi ad alto reddito. Se fallisce, rimane bloccata nella “trappola del reddito medio”, come successo a molti paesi sudamericani. Per “sopravvivere” e superare questa trappola, Lian Ping stima che serva comunque una crescita di almeno il 4% per i prossimi 5-10 anni.

La contraddizione è evidente: da un lato, Pechino ha obiettivi strategici a lungo termine ambiziosissimi (superare gli USA in termini di PIL entro il 2030-2035); dall’altro, i dati attuali (Q3 2025) e le sfide immediate (crisi immobiliare, consumi deboli) la costringono a un bagno di realismo, abbassando gli obiettivi a breve termine.

Il Plenum di fine ottobre ci dirà se il Dragone sceglierà la via della prudenza, abbandonando la “dittatura del PIL“, o se proverà un ultimo, massiccio, stimolo statale per tenere in vita un modello di crescita che sembra arrivato al capolinea.

Domande & Risposte

1. Perché le vendite al dettaglio in Cina sono così deboli nonostante gli aiuti del governo?

Le vendite sono deboli principalmente a causa della scarsa fiducia dei consumatori. La prolungata crisi del settore immobiliare ha bruciato i risparmi di molte famiglie e ridotto la loro ricchezza percepita. A questo si aggiunge un mercato del lavoro ancora incerto. La gente preferisce risparmiare piuttosto che spendere in beni non essenziali (come elettrodomestici o gioielli), temendo per il futuro. Gli stimoli statali, finora, si sono rivelati troppo deboli o mal indirizzati per invertire questa tendenza psicologica.

2. Cosa significa per la Cina abbandonare un obiettivo di crescita del PIL?

Significa un cambiamento strategico epocale. Per decenni, l’obiettivo numerico del PIL è stato il motore principale delle decisioni politiche ed economiche a ogni livello, portando spesso a investimenti inefficienti (le famose “cattedrali nel deserto”) pur di raggiungere il target. Abbandonarlo significa dire ai governi locali di non concentrarsi più solo sulla quantità, ma sulla qualità: sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica e occupazione stabile. È anche un’ammissione pragmatica che la crescita “dopata” del passato non è più sostenibile.

3. Cos’è la “trappola del reddito medio” che la Cina teme?

È un fenomeno economico in cui un paese, dopo aver raggiunto un certo livello di reddito (appunto, “medio”) grazie all’industrializzazione e ai bassi costi, non riesce a fare il salto successivo per diventare un’economia avanzata (ad alto reddito). La crescita ristagna perché i salari sono diventati troppo alti per competere nella manifattura base, ma il paese non è ancora abbastanza innovativo da competere sulla tecnologia e sui servizi avanzati. Per la Cina, evitare questa trappola significa trasformare radicalmente la propria economia puntando su innovazione e consumi interni.

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