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La Cina fa incetta di petrolio. Si prepara a qualcosa che non sappiamo?
Pechino sta accumulando riserve petrolifere a un ritmo senza precedenti. Dietro l’acquisto di greggio a basso costo si nascondono ragioni strategiche ben precise, dalla sicurezza energetica fino all’ipotesi di un conflitto per Taiwan.

Il grande interrogativo che agita il mercato energetico globale è uno solo: perché la Cina sta accumulando petrolio come se non ci fosse un domani? Tra l’altro lo fa anche comprando da paesi sanzionati, come l’Iran e quindi entrando sotto l’occhio attento di Washington. La logica spicciola, seguendo il principio del “Rasoio di Occam”, suggerirebbe la spiegazione più semplice: lo compra perché costa poco. Eppure, la questione è ben più complessa e merita un’analisi più approfondita, come suggerisce anche l’analista Javier Blas di Bloomberg.
Quest’anno Pechino ha già acquistato oltre 150 milioni di barili in più rispetto al suo consumo reale, per un valore di circa 10 miliardi di dollari ai prezzi attuali. Un dato impressionante per un paese che, contemporaneamente, è leader mondiale nell’acquisto di veicoli elettrici. L’accumulo è stato particolarmente intenso nel secondo trimestre del 2025, quando la Cina ha assorbito oltre il 90% delle scorte globali misurabili, contribuendo a sostenere i prezzi.
La vera domanda, cruciale per il 2026, è se questa frenesia di acquisti continuerà. Nessuno ha la sfera di cristallo per leggere nella mente del Partito Comunista Cinese, ma possiamo mettere in fila alcuni fattori, partendo dai più semplici per arrivare a quelli che sfiorano la geopolitica più spinta.
Le ragioni dietro la corsa all’oro nero
Possiamo identificare almeno sei motivazioni, probabilmente intrecciate tra loro, che spiegano la strategia di Pechino.
- Acquisti opportunistici: Il petrolio, in termini reali (cioè al netto dell’inflazione), costa oggi quanto costava vent’anni fa. I funzionari cinesi hanno dimostrato in passato, ad esempio con il rame, di essere trader astuti e con una visione a lunghissimo termine. Comprare ora significa garantirsi risorse a basso costo per il futuro.
- Capacità di stoccaggio: L’opportunità è inutile se non si ha dove mettere la merce. La Cina ha recentemente attivato enormi capacità di stoccaggio, e molte altre saranno disponibili nel 2026. Si stima che circa la metà dei suoi serbatoi e caverne di stoccaggio sia ancora vuota. C’è spazio, e tanto.
- Una nuova legge sull’energia: Dal 1° gennaio 2025 è in vigore una nuova legge che, per la prima volta, rende lo stoccaggio strategico un obbligo legale non solo per le aziende statali ma anche per quelle private. Di fatto, lo Stato ha scaricato parte dell’onere di accumulare scorte sul settore commerciale, creando la base legale per un aumento massiccio delle riserve totali.
- Sicurezza energetica (e sanzioni USA): Qui entriamo nella realpolitik. La Cina ha capito di dover blindare la propria sicurezza energetica in un mondo dove gli Stati Uniti usano sanzioni e tariffe come arma geopolitica. Oggi, Pechino acquista il 20% del suo petrolio da paesi sotto sanzioni statunitensi, principalmente Iran, Russia e Venezuela. Avere scorte massicce è una polizza assicurativa contro eventuali future pressioni o blocchi da parte di Washington. Le riserve attuali coprono 110 giorni di consumo, ma l’obiettivo potrebbe essere raggiungere i 140-180 giorni entro il 2026.
- L’ombra di Taiwan: Nel mondo dei trader petroliferi, quando si parla di intrighi, una parola emerge su tutte: Taiwan. Per una parte non trascurabile del mercato, l’accumulo di scorte ha senso solo se Pechino si sta preparando a un possibile conflitto militare. In quest’ottica, la spiegazione più semplice diventa anche la più inquietante: fare scorte per prepararsi alla guerra.
- Il petrolio come alternativa al dollaro: La Cina potrebbe vedere il petrolio come un bene rifugio alternativo ai titoli del Tesoro americano. Investire decine di miliardi di dollari in greggio è un modo per diversificare le proprie riserve valutarie e ridurre l’esposizione agli asset statunitensi, una strategia che Pechino sta già perseguendo con l’acquisto massiccio di oro.
In conclusione, mettendo insieme tutti i pezzi, è difficile sfuggire a una conclusione: la Cina continuerà probabilmente ad accumulare petrolio anche nel 2026. Che si voglia credere alla semplice logica economica o agli scenari geopolitici più complessi, Pechino ha ottime ragioni per riempire i suoi serbatoi. Una mossa che, se da un lato aiuta a sostenere i prezzi del greggio nell’immediato, dall’altro invia un messaggio molto chiaro sul suo desiderio di autonomia e preparazione a un futuro incerto. Se però OPEC+ dovesse continuare ad aumentare la produzione anche nei prossimi due o tre mesi, questa politica potrebbe accumulare delle riserve acquistate a prezzi eccessivi e si tramuterebbe, economicamente, in un errore.
Domande e Risposte
1) Qual è la ragione principale per cui la Cina sta comprando così tanto petrolio?
Non esiste un’unica ragione, ma un insieme di fattori complementari. A livello economico, il prezzo del petrolio è conveniente in termini reali e la Cina ha appena completato nuove e vaste infrastrutture di stoccaggio. A livello normativo, una nuova legge obbliga le aziende a mantenere riserve strategiche. Infine, a livello geopolitico, Pechino vuole garantirsi la sicurezza energetica contro possibili sanzioni USA, diversificare le proprie riserve dal dollaro e, secondo le ipotesi più allarmistiche, prepararsi a eventuali scenari di conflitto, come quello per Taiwan.
2) Che impatto ha questo accumulo cinese sul prezzo globale del petrolio?
L’intenso acquisto da parte della Cina ha avuto un effetto stabilizzatore sui prezzi nel 2025, assorbendo gran parte dell’eccesso di offerta globale e impedendo un crollo delle quotazioni. Per il 2026, il ruolo di Pechino sarà ancora più cruciale. Se continuerà a comprare agli stessi ritmi, contribuirà a bilanciare un mercato che si prevede in surplus. Se invece dovesse rallentare o fermare i suoi acquisti, potremmo assistere a una significativa pressione al ribasso sui prezzi del greggio.
3) L’ipotesi che le scorte di petrolio siano legate a un’azione militare su Taiwan è concreta?
È considerata una possibilità concreta da una parte significativa degli analisti e dei trader del settore energetico. Sebbene non vi sia alcuna prova certa, prepararsi a un conflitto è una delle spiegazioni più logiche per un accumulo di riserve strategiche di questa portata. Un’eventuale azione militare su Taiwan scatenerebbe quasi certamente sanzioni e possibili blocchi navali, rendendo vitale per la Cina avere a disposizione mesi di autonomia energetica. È uno scenario da “peggiore dei casi” per cui un paese prudente si prepara.

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