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La Cina espande la sua influenza commerciale: il porto di Chancay ridisegna le rotte del Pacifico nella nuova guerra dei dazi

L’inaugurazione del megaporto di Chancay in Perù segna una svolta epocale nelle strategie commerciali trans-pacifiche. Con un investimento di 3,5 miliardi di dollari da parte del colosso statale Cosco Shipping Ports, la Cina consolida la sua presenza in America Latina e sfida le politiche protezionistiche USA.

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Nel quadro della crescente tensione commerciale sino-americana, la Repubblica Popolare Cinese ha inaugurato un’infrastruttura portuale strategica a Chancay, Perù, che si configura come punto nodale per la ridefinizione delle rotte commerciali nel Pacifico. Il progetto, che rappresenta un investimento di particolare rilevanza del valore di 3,5 miliardi di dollari, vede come protagonista Cosco Shipping Ports, conglomerato statale cinese che nel 2019 ha acquisito il 60% della struttura per 225 milioni di dollari da una società mineraria polimetallica peruviana.

L’infrastruttura, inaugurata virtualmente dal Presidente Xi Jinping il 14 novembre tramite una cerimonia online, rappresenta un significativo avanzamento logistico nel panorama dei trasporti marittimi internazionali: i tempi di navigazione tra Perù e Cina si riducono drasticamente da 35 a 23 giorni, con un’ottimizzazione dei costi logistici superiore al 20%. Questa riduzione dei tempi di transito si traduce in un vantaggio competitivo sostanziale per gli operatori commerciali della regione.

Il contesto geopolitico in cui si inserisce l’operazione è particolarmente delicato e complesso: l’amministrazione Trump entrante ha già preannunciato, attraverso il consigliere Mauricio Claver-Carone, l’intenzione di applicare tariffe punitive del 60% su qualsiasi prodotto transitante per il porto di Chancay, equiparandolo de facto a merce di provenienza cinese. Questa posizione riflette la crescente preoccupazione americana per le strategie di aggiramento delle barriere commerciali.

La strategia cinese si inserisce in un più ampio quadro di diversificazione delle rotte commerciali e ottimizzazione fiscale, evidenziando la sofisticata pianificazione di Pechino nel contesto delle tensioni commerciali globali. Il fenomeno del “bathing base” – termine che descrive la pratica di rilavorazione e rietichettatura dei prodotti in paesi terzi – non rappresenta una novità nel panorama commerciale internazionale: Vietnam e Messico fungono già da anni da hub logistici strategici per l’export cinese verso gli Stati Uniti, permettendo di aggirare le tariffe addizionali del 25% imposte durante la guerra commerciale iniziata nel 2018.

Il settore fotovoltaico cinese, che detiene una posizione dominante con oltre il 90% della quota di mercato globale, ha già implementato con successo questa strategia in Vietnam, stabilendo linee di assemblaggio per semilavorati e sviluppando sofisticate pratiche di rietichettatura. Parallelamente, il comparto automotive e dell’elettronica ha stabilito significative presenze produttive in Messico, creando una rete di produzione e distribuzione che sfida le tradizionali definizioni di origine delle merci.

L’industria manifatturiera cinese ha dimostrato una notevole capacità di adattamento, con numerose aziende che hanno contribuito alla rapida crescita dei settori tessile ed elettronico in Vietnam. Questo processo di delocalizzazione industriale ha coinvolto non solo la produzione, ma anche il trasferimento di competenze manageriali e tecniche, creando un ecosistema produttivo integrato che transcende i confini nazionali.

L’amministrazione americana ha cercato di contrastare queste pratiche attraverso misure sempre più stringenti: a luglio, sotto la presidenza Biden, sono state imposte tariffe del 25% sui prodotti siderurgici messicani non interamente lavorati in Messico, Canada o Stati Uniti. Tuttavia, la crescente complessità delle catene di approvvigionamento globali rende sempre più arduo il tracciamento dell’origine dei prodotti, sfidando l’efficacia delle misure protezionistiche tradizionali.

Gli analisti del settore evidenziano come la posizione del Perù potrebbe risultare particolarmente interessante in questo scenario: il paese mantiene un surplus commerciale con gli Stati Uniti, condizione che potrebbe potenzialmente attenuare le pressioni tariffarie americane. Inoltre, la possibilità di triangolare le merci attraverso Giappone, Corea del Sud e paesi del Sud-est asiatico prima del transito per Chancay potrebbe ulteriormente complicare l’applicazione di misure restrittive, creando un intreccio commerciale di difficile decodificazione per le autorità doganali.

La strategia cinese appare dunque articolata su molteplici livelli strategici: da un lato, il rafforzamento delle relazioni commerciali con l’America Latina attraverso investimenti infrastrutturali significativi che consolidano la presenza economica di Pechino nella regione; dall’altro, la creazione di una rete logistica complessa e sofisticata che permetta di mitigare l’impatto delle politiche commerciali protezionistiche statunitensi, garantendo flessibilità e resilienza al sistema commerciale cinese.

I media cinesi hanno ampiamente promosso il ruolo atteso del porto di Chancay nell’incrementare gli scambi commerciali e nell’implementazione della Belt and Road Initiative, l’ambiziosa strategia di connettività globale promossa da Pechino. I parchi industriali adiacenti al porto sono stati specificamente progettati per facilitare le operazioni di rilavorazione e rietichettatura delle merci, creando un hub logistico integrato che potrebbe ridefinire i flussi commerciali nel Pacifico.

L’impatto potenziale di questa infrastruttura sul commercio internazionale è significativo: oltre a rafforzare i legami economici tra Cina e America Latina, il porto di Chancay potrebbe fungere da catalizzatore per l’espansione delle relazioni commerciali intra-regionali, promuovendo una maggiore integrazione economica del continente sudamericano nel sistema commerciale globale.

In conclusione, il porto di Chancay si configura non solo come hub logistico strategico, ma come tassello fondamentale nella più ampia strategia della Belt and Road Initiative, consolidando la presenza cinese nell’emisfero occidentale e ridefinendo gli equilibri commerciali transpacifici. La sofisticazione della strategia commerciale cinese, unita alla complessità delle catene di approvvigionamento globali, pone sfide significative alle politiche protezionistiche tradizionali, suggerendo la necessità di un ripensamento degli strumenti di governance del commercio internazionale.


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