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La Cina alla conquista delle terre…rare ( di C.A. Mauceri)

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Nell’ultimo periodo, lo sviluppo impressionante di alcuni settori ha reso l’economia di molti paesi strettamente dipendente dalla disponibilità di alcune risorse naturali. Alcune note e quasi ovvie (ad esempio, le risorse energetiche), altre meno. Tra queste un ruolo di primissimo piano è occupato dalle cosiddette terre rare (o REE, Rare Earth Elements): 17 elementi chimici (Ittrio; Scandio; Lantanio; Cerio; Praseodimio; Neodimio; Promezio; Samario; Europio; Gadolinio; Terbio; Disprosio; Olmio; Erbio; Tulio; Itterbio e Lutezio) fondamentali per l’industria moderna. Sono indispensabili per molti settori: dagli smartphone alle macchine elettriche, dai computer alle turbine eoliche, dall’industria petrolchimica a quella del vetro, a quella aerospaziale e persino alla medicina. Per questo motivo, questi elementi rientrano nei cosiddetti “metalli tecnologici”, cioè quegli elementi del gruppo dei “metalli” (sulla tavola periodica) richiesti e utilizzati in ambito tecnologico (altri esempi famosi in questo campo sono l’oro e l’argento – ottimi conduttori, perfetti per i dispositivi elettronici -, il palladio, l’osmio, ma ci sono anche il platino, l’iridio, il rutenio e il rodio). Sono così importanti che, nel 2017, un rapporto della Banca Mondiale disse che la domanda di questi elementi avrebbe continuato a crescere in modo rilevante. https://www.worldbank.org/en/topic/energy/publication/minerals-and-metals-to-play-significant-role-in-a-low-carbon-future

A rendere questi elementi “rari” è la difficoltà di trovarli in alte concentrazioni. Questo rende il processo di estrazione in quantità industriali costoso (oltre che, come vedremo, estremamente dannoso per l’ambiente). E scatena gli appetiti dei grandi compratori che fanno di tutto per accaparrarsi i siti dove la loro concentrazione è maggiore. I giacimenti di terre rare sono classificati in due grandi gruppi: “giacimenti primari” e “giacimenti secondari”. I primi sono quelli che contengono minerali, nei quali sono presenti terre rare, che si sono cristallizzati direttamente dal magma dei vulcani. Mountain Pass (USA) è il giacimento primario di REE più importante al mondo. I giacimenti secondari, invece, sono quelli che si originano da alterazione di magma già solidificato. Il giacimento di questo tipo più famoso è quello di Bayan Obo, in Cina.

Aspetto non trascurabile è l’impatto sul territorio legato all’estrazione dei minerali di terre rare: per separarle dagli altri minerali vengono utilizzati acidi che hanno effetti devastanti sull’ambiente. Anche i passi successivi (devono essere filtrate e ripulite) sono decisamente poco “verdi”. A questo si aggiunge che la loro lavorazione emette prodotti tossici e (a volte) radioattivi. In genere gli effetti di questi processi estrattivi sull’ambiente è devastante: in Cina, dopo l’estrazione delle terre rare, i siti da cui sono state estratte non possono essere utilizzati per scopi agricoli. Anche le risorse idriche appaiono contaminate. Sanare l’ambiente inquinato da questi processi estrattivi richiede tempi lunghissimi: in Cina, c’è chi ha previsto che saranno necessari decenni, in qualche caso  oaddirittura secoli, per “pulire” i siti estrattivi.

Questo significa che ove possibile, si preferisce estrarre le terre rare dove i governi non si curano più di tanto degli effetti sull’ambiente. É un fattore determinante se non addirittura “strategico”. In un rapporto dell’esercito americano del 2019 si legge: “La Cina è meno gravata da requisiti normativi ambientali o di lavoro che possono aumentare notevolmente i costi sostenuti per l’estrazione e la produzione di prodotti di terre rare”.

Le maggiori riserve di terre rare si trovano in paesi come Cina, Russia, Stati Uniti, Australia, Brasile, India, Malesia, Tailandia, Vietnam, Canada e Sudafrica. Nella prima metà del Novecento la maggior parte delle terre rare proveniva da giacimenti indiani e brasiliani. Poi, negli anni Cinquanta, il primo produttore mondiale divenne il Sudafrica. Poco dopo questo primato passò nelle mani degli Stati Uniti. Dagli anni Novanta, la Cina ha fatto di tutto per assumente il monopolio (o quasi) dell’estrazione di terre rare. Oggi il più grande sito di produzione è BayanObo, nella Mongolia interna. Altri depositi (più piccoli ma pur sempre importanti) sono nelle province cinesi di Shandong, di Sichuan, di Jiangxi e di Guangdong.

Questi 17 elementi sono diventati un “imperativo geopolitico” e sono stati causa di tensioni tra Usa e Cina. Nel 2019, il presidente cinese Xi Jinping minacciò di tagliare le importazioni di terre rare come rappresaglia contro l’opposizione degli Stati Uniti a Huawei.

La Cina estrae circa il 60% delle terre rare e ne lavora e raffina circa l’80% di tutto il pianeta. Grazie ad alcune scelte strategiche importanti (costruire i centri di produzione e raffinazione nei pressi delle miniere) e al basso costo per la salvaguardia dell’ambiente e per la manodopera, controlla il mercato internazionale. Ciò è stato possibile grazie all’acquisizione dei diritti esclusivi di estrazione in molti paesi africani (in cambio di promesse per lo sviluppo e la costruzione di infrastrutture). Ad esempio, nella Repubblica Democratica del Congo. O in Kenya, dove la Cina ha promesso investimenti per quasi 700 milioni di dollari per la costruzione di un data-center e di un’autostrada. Grazie al controllo del mercato mondiale delle terre rare monopolio, le principali economie mondiali sono di fatto dipendenti dalle importazioni cinesi: l’80% delle importazioni negli Stati Uniti e il 98% delle importazioni nell’UE provengono dalla Cina. A poco sono servite le contromisure (peraltro tardive) adottate, ad esempio, dai paesi dell’UE. Eppure, già nel 2013, l’Unione Europea aveva inserito questi elementi nell’elenco dei “materiali grezzi critici per la strategia”.  https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC82322 Ora, il tentativo dell’Unione europea di ridurre la propria dipendenza quasi totale dalla Cina dovrebbe basarsi sullo sfruttamento dei depositi di terre rare presenti sul territorio e sul riciclaggio, oltre che, come confermato nel settembre 2020, su nuovi partenariati strategici con i – pochi – paesi africani ancora liberi. Lo steso cercano di fare gli USA stipulando accordi per sfruttare i giacimenti di terre rare in Australia. Tentativi che non hanno avuto altri effetti se non quello di accrescere la presenza della Cina in Africa.

Nelle scorse settimane, in Cina, è nato il gigante mondiale delle terre rare, frutto della fusione delle principali aziende di proprietà statale. A darne la notizia, nei giorni scorsi, l’AD di China Minmetals Rare Earth, il braccio delle terre rare di China Minmetals Corporation. Le società coinvolte nella fusione sono China Minmetals Rare Earth, Aluminum Corporation of China (Chinalco) e Ganzhou Rare Earth Group. Ciascuno di essi deterrà il 20,33% nel nuovo gruppo, mentre la Commissione statale per la supervisione e l’amministrazione dei beni deterrà il 31,21%. China Minmetals Rare Earth e Chinalco sono due delle “Big Six” imprese statali che dominano l’industria delle terre rare in Cina.

C.Alessandro Mauceri


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