Politica
La “Brit Card”: Starmer vuole imporre l’Identità Digitale, ma la protesta sta mondando.
Il governo laburista britannico propone la “Brit Card”, una carta d’identità digitale. Ma dietro la promessa di sicurezza contro l’immigrazione si nasconde il timore di uno stato di sorveglianza di massa, con una petizione da 1,5 milioni di firme che infiamma il dibattito.
Il governo laburista di Keir Starmer lancia una proposta che sa tanto di già visto, ma in una salsa digitale ancora più inquietante: una carta d’identità digitale per tutti i cittadini britannici, la cosiddetta “Brit Card”. Ufficialmente, si tratta di una “enorme opportunità” per rendere il Regno Unito più sicuro, combattere l’immigrazione illegale e semplificare la vita dei cittadini. Una narrazione impeccabile, se non fosse che, sotto la patina della modernità, si nascondono le ombre di un potenziale strumento di controllo di massa.
Il Primo Ministro Starmer la presenta come una soluzione ragionevole alle preoccupazioni degli elettori sull’immigrazione. La carta, accessibile tramite un’app per smartphone, dovrebbe rendere più difficile lavorare illegalmente e permetterebbe ai cittadini di dimostrare la propria identità senza dover “andare a caccia di una vecchia bolletta”. A rassicurare gli animi ci pensa la Segretaria alla Cultura, Lisa Nandy, affermando che il governo non ha “alcuna intenzione di perseguire un pasticcio distopico”. Una rassicurazione che, di solito, precede esattamente l’opposto, perché è evidente che qualcuno ci ha pensato.
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La rivolta silenziosa: una petizione da record
Se il governo si aspettava un plauso unanime, ha decisamente sbagliato i calcoli. La reazione di una parte significativa della popolazione e delle associazioni per i diritti civili è stata immediata e fragorosa. Una petizione online contro l’introduzione obbligatoria di un’identità digitale ha superato la soglia stratosferica di 1,5 milioni di firme. Un numero che il Parlamento non potrà ignorare e che segnala un profondo malessere.
La petizione è chiara: “Riteniamo che questo sarebbe un passo verso la sorveglianza di massa e il controllo digitale, e che nessuno dovrebbe essere costretto a registrarsi con un sistema di identificazione controllato dallo Stato“. Un sentimento condiviso da Silkie Carlo, direttrice di Big Brother Watch, che ha definito il progetto un modo per trasformare il Regno Unito in una “società dei checkpoint, totalmente anti-britannica“.
I veri rischi dietro la comodità digitale
Le preoccupazioni non sono affatto astratte e toccano nervi scoperti della società contemporanea. I critici evidenziano una serie di pericoli concreti:
- Sorveglianza di massa: L’argomento principale è che un’infrastruttura del genere, una volta creata, difficilmente rimarrebbe confinata al solo controllo dell’immigrazione. Il rischio, come sottolinea Big Brother Watch, è che il suo utilizzo si estenda a macchia d’olio: dalla cittadinanza ai sussidi, dalle tasse alla sanità, fino a monitorare l’accesso a internet o persino gli acquisti. Un database centralizzato contenente informazioni così sensibili su ogni cittadino diventerebbe un bersaglio irresistibile per hacker e un potere smisurato nelle mani di chi governa.
- Sicurezza dei dati: L’ex ministro conservatore Sir David Davis, che già si oppose a un simile progetto ai tempi di Tony Blair, solleva un punto cruciale: “Nessun sistema è immune al fallimento”. Se giganti della tecnologia con risorse quasi illimitate faticano a proteggere i nostri dati, che fiducia si può riporre nella burocrazia di Whitehall? I precedenti di falle di sicurezza nel settore pubblico britannico non sono certo incoraggianti.
- Efficacia dubbia: Ma la “Brit Card” servirà almeno a fermare l’immigrazione clandestina? Molti esperti ne dubitano. L’Institute for Government sottolinea che i datori di lavoro sono già tenuti a verificare il diritto al lavoro dei propri dipendenti. Chi sfrutta il lavoro nero oggi, probabilmente, continuerà a farlo domani, con o senza app. L’esempio della Francia, che ha una carta d’identità ma livelli di immigrazione irregolare superiori a quelli del Regno Unito, sembra suggerire che la correlazione sia, nel migliore dei casi, debole.
L’inganno dei sondaggi e l’opposizione trasversale
Qualcuno potrebbe obiettare che recenti sondaggi, come quello di Ipsos, mostrano un 57% di britannici favorevoli a una carta d’identità nazionale. Qui sta il trucco. Un conto è chiedere un’opinione su una generica “carta d’identità”, un altro è parlare di un sistema digitale obbligatorio. Infatti, quando la domanda è diventata più specifica, il supporto è crollato al 38%, con un 32% di contrari. Le preoccupazioni emerse nello stesso sondaggio? Uso non autorizzato dei dati (32%), vendita a società private (31%) e falle di sicurezza (28%).
L’opposizione, inoltre, è politicamente trasversale, unendo figure come Nigel Farage, che la bolla come un “cinico stratagemma per ingannare gli elettori”, e la leader conservatrice Kemi Badenoch, che la liquida come un “espediente che non fermerà le barche”. Perché l’idea di presentare la ID elettronica come lo strumento per fermare gli sbarchi è talmente demenziale da non essere adatta neppure a Starmer.
La verità è che il governo Starmer sta proponendo una soluzione tecnocratica a un problema complesso, senza considerare il costo in termini di libertà. Un costo che, una volta pagato, è quasi impossibile da recuperare. La “Brit Card” non è solo una tessera digitale; è una scelta filosofica sul tipo di rapporto che deve esistere tra Stato e cittadino. E a giudicare dalla reazione popolare, molti britannici non sono disposti a barattare la propria privacy per una promessa di sicurezza tanto vaga quanto inquietante.
Domande e Risposte per il Lettore
1. Ma una carta d’identità digitale non renderebbe davvero la vita più semplice e sicura?
In teoria, sì. La possibilità di accedere a servizi pubblici o privati con un’unica identità digitale sicura è allettante. Tuttavia, il problema risiede nel trade-off. La centralizzazione di dati così sensibili (sanitari, fiscali, lavorativi) in un unico sistema controllato dal governo crea un enorme punto di debolezza. Una falla di sicurezza potrebbe esporre le vite di milioni di persone. Inoltre, c’è il rischio di “scope creep”, ovvero che il sistema, nato per uno scopo, venga progressivamente utilizzato per monitorare e controllare altri aspetti della vita dei cittadini, erodendo la privacy e le libertà individuali.
2. Perché questo progetto è considerato più pericoloso delle carte d’identità che esistono in molti paesi europei, come l’Italia?
La differenza principale risiede nella natura digitale e centralizzata del sistema proposto. Le carte d’identità tradizionali, anche quelle elettroniche, sono principalmente strumenti di identificazione “offline”. Un sistema come la “Brit Card” creerebbe invece un’infrastruttura digitale che può tracciare quando, dove e perché un cittadino usa la sua identità. Questo genera una mole di metadati che può essere analizzata per profilare i comportamenti delle persone. Si passa da uno strumento di identificazione a uno potenziale di sorveglianza attiva, un cambiamento qualitativo e non solo quantitativo.
3. Se la carta non sarà obbligatoria, perché c’è così tanta preoccupazione?
Il governo afferma che l’uso non sarà obbligatorio, ma questa è una mezza verità. Il progetto prevede che chiunque inizi un nuovo lavoro debba presentare la “Brit Card” tramite l’app. Questo la rende, di fatto, obbligatoria per chiunque voglia lavorare, ovvero la stragrande maggioranza della popolazione. Diventerebbe una “libertà” puramente teorica, simile a quella di non avere un conto in banca in una società moderna. È un’obbligatorietà di fatto, non di diritto, che costringerebbe quasi tutti ad aderire al sistema, rendendo le preoccupazioni sulla sorveglianza e la sicurezza dei dati valide per l’intera nazione.
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