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LA BALLA MILIARDIARIA DI GENTILONI SULLO SPREAD pubblicato su LA VERITA’ del 1 agosto 2018 (di Fabio Dragoni)

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Il Partito Democratico perde la fiducia degli elettori -per l’esattezza due milioni e mezzo di voti in meno in cinque anni- ma si vanta pur sempre di avere quella dei mercati. Il concetto è semplice, quasi banale. La teoria dei deirigenti dem è semplice. Anzi semplicistica. Il programma del nuovo Governo, unito al suo supposto dilettantismo, non convince e non convincerà gli investitori che vendono e venderanno i nostri titoli di stato. Il loro prezzo scenderà ed il rendimento -dato dal rapporto fra cedola e prezzo- salirà. Esploderà quindi il costo del debito cui dovremo far fronte aumentando le imposte o diminuendo la spesa per i servizi. Saranno i mercati a punire gli elettori che così impareranno a punire la forza tranquilla del Nazzareno. E’ il mercato bellezza.

Gli anni passano ma il copione resta bene o male lo stesso. Ieri la magistratura oggi i mercati. La sinistra che perde sul campo trova sempre la sua rivincita negli spogliatoi. Un modo di ragionare molto poco democratico. Un Paese dovrebbe infatti essere sempre libero di adottare le politiche economiche dei partiti scelti dagli elettori. Nel nostro caso dalla maggioranza assoluta degli elettori; cosa che non accadeva dal 1987. Proposte che potranno pure non piacere. Ed al Nazzareno senz’altro non sono gradite. Ma questa è la democrazia. Saranno pur sempre gli elettori a giudicare i risultati ottenuti confermando o meno il governo in carica alle prossime consultazioni. Ma stabilire in anticipo che una data politica economica non possa essere attuata perché non piace a un qualcuno che potrebbe a sua volta punirci con lo spauracchio dello spread, se permettete, anche no!

Anche perché la legge dei mercati non è fenomeno di natura come l’eruzione di un vulcano o un terremoto contro cui nulla possiamo. Ma è la semplice e deliberata conseguenza di una stortura tipica solo dell’eurozona.

Prendiamo ad esempio il Giappone con un rapporto debito/PIL pari al 250%. Quanto paga sui propri titoli di stato a 10 anni? Praticamente lo 0%. Oppure il Regno Unito reduce da un combattutissimo referendum sulla sua permanenza UE cui sono seguiti negoziati internazionali e scontri politici interni altrettanto aspri. Quanto paga Londra sui propri GILT a a 10 anni? La metà esatta dei nostri BTP. Il debito enorme da una parte e le tensioni politiche dall’altra –incubi persistenti agitati dal pensiero politico dominante di casa nostra- non sembrano scalfire la preoccupazione dei creditori di Tokyo e Londra. La spiegazione è elementare. Giappone e Regno Unito possiedono una “loro” Banca Centrale che emette e quindi controlla una “loro” moneta e che più o meno di concerto con i rispettivi esecutivi decide quanta parte del “loro” debito acquistare ed a quale tasso. L’emissione di titoli di stato, nei Paesi monetariamente sovrani, non serve tanto a reperire le risorse necessarie a finanziare la spesa o rifinanziare il debito in scadenza, ma a determinare soprattutto il livello dei tassi di interesse cui si adatteranno gli altri segmenti del mercato dei capitali. Un’operazione di politica monetaria più che fiscale diversamente da quanto invece accade in Eurozona dove i governi sono monetariamente castrati e quindi costretti a racimolare sui mercati ogni singolo centesimo loro necessario al pari ed anzi in concorrenza con imprese, banche e famiglie.

Sarebbe sufficiente che la BCE dichiarasse (notate bene non ho scritto “facesse” ma “dichiarasse”) che, per un efficace funzionamento dei canali di trasmissione della propria politica monetaria, non è più disposta a tollerare differenziali di rendimento superiori allo 0,5% fra i vari debiti dell’eurozona che immediatamente quegli investitori che oggi puniscono l’Italia correrebbero ad acquistare a mani basse anche i nostri BTP facendo salire i prezzi ed abbassando il costo del nostro debito così facendo un ottimo affare e portando il differenziale dei rendimenti a quanto prefissato da Francoforte; nella consapevolezza che una banca centrale, se solo lo volesse, avrebbe mezzi illimitati per arrivare a quel risultato potendo essa stessa emettere tutta la moneta che desidera. Ed invece no così non è; dobbiamo sorbirci l’ex premier Gentiloni che a distanza di poco più di venti giorni -dalle colonne prima de LA STAMPA e poi de LA REPUBBLICA- ci rampogna con la stessa identica profezia: “In due mesi lo spread è salito di oltre 100 punti. Solo questo ci costa oltre 5 miliardi”. Ma sarà vero? E’ sufficiente consultare il bollettino trimestrale del ministero di Via XX settembre per scoprire, ad esempio, che nei due mesi appena trascorsi sono stati emessi qualcosa come 34 miliardi di BTP. Un aggravio dei rendimenti pari all’1% si traduce in un costo aggiuntivo per le nostre tasche  di 341 milioni. Mentre nei prossimi 12 mesi il Governo emetterà circa 140 miliardi di BTP ed in caso di aumento del costo di finanziamento pari all’1% (ricordiamolo ancora per una scelta deliberata della BCE) i maggiori interessi ammonterebbero ad 1,4 miliardi e non 5. Circa il 70% in meno della fosca previsione del nostro ex Premier. Insomma se proprio volete appendervi allo spread almeno fatelo coi numeri giusti.


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