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l ruolo del Capo dello Stato nella nomina dei ministri. Facciamo chiarezza (di G. PALMA e P. BECCHI).

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Articolo a firma di Giuseppe PALMA e Paolo BECCHI sul SecoloXIX di oggi, 12 maggio 2018 (dalla prima pagina):

Gli ultimi sviluppi sulla formazione del governo vedono ormai in pole-position un esecutivo M5S-Lega, vale a dire dei due partiti che – al netto di smussature e levigate tattiche – hanno nel loro Dna un impianto “sovranista”. Cosa succederà, in caso di accordo politico, con la richiesta di affidamento dell’incarico di premier a un nome condiviso? E quale sarà il ruolo del Capo dello Stato quando gli sarà sottoposta un’eventuale lista dei ministri?

Il secondo comma dell’art. 92 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”. Ciò significa che il Presidente del Consiglio incaricato presenta al Capo dello Stato la lista dei ministri, proponendone i nomi, e il Presidente della Repubblica procede con l’atto formale di nomina. Può rifiutarsi il Capo dello Stato di nominare ministri a lui sgraditi? È vero che l’atto di nomina spetta al Capo dello Stato, ma non può esercitare su di esso un potere discrezionale, infatti la nomina dei ministri da parte del Presidente della Repubblica rientra nella cornice dei cosiddetti “atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi” sui quali il Presidente della Repubblica svolge solo una funzione di garanzia e di legittimità costituzionale, ponendo in essere un atto formale e non sostanziale. La decisione sui nomi dei ministri spetta esclusivamente al Presidente del Consiglio che ne assume la responsabilità politica davanti al Parlamento al quale chiede di esprimere il voto di fiducia (art. 94). L’inquadramento costituzionalmente corretto è pertanto solo quello fiduciario tra Governo e Parlamento, nel quale la figura dei ministri segue quella del Presidente del Consiglio, tant’è che – in caso di dimissioni dell’inquilino di Palazzo Chigi – con lui cade l’intero governo, quindi anche i ministri nei confronti dei quali si estende l’effetto giuridico delle dimissioni. Medesimo discorso nel caso in cui sia una delle due Camere a revocare la fiducia al governo, infatti le dimissioni obbligate del Presidente del Consiglio si estendono all’intero pacchetto, ministri compresi.

Vediamo la prassi. Se durante la lunga Prima Repubblica il Capo dello Stato ha sempre esercitato il potere di nomina dei ministri come se fosse una specie di notaio, nel corso della Seconda Repubblica già Oscar Luigi Scalfaro si rifiutò di nominare Cesare Previti (avvocato di Berlusconi) ministro della giustizia del primo governo del Cavaliere (nominandolo peraltro alla difesa), così come telefonò a Di Pietro per convincerlo a non accettare eventuali proposte di Berlusconi. Napolitano ha fatto lo stesso con Mario Monti (facendogli il nome di Corrado Passera), con Enrico Letta (suggerendogli Annamaria Cancellieri e Fabrizio Saccomanni) e infine con Matteo Renzi (consigliandogli Pier Carlo Padoan). Cosa succederà prossimamente con Mattarella? Sulla stampa, in questi giorni, alcuni retroscena hanno ipotizzato che il Capo dello Stato potrebbe porre dei veti sui nomi del premier e di alcuni ministri proposti da Lega e M5S: una sorta di controllo “europeista” per evitare la nascita di un governo “sovranista”. Ma a nostro avviso sarebbe bene che la Terza Repubblica che sta nascendo riprendesse la prassi che si era consolidata nella Prima. Tornare indietro è meglio che proseguire su una strada sbagliata.

di Giuseppe PALMA e Paolo BECCHI sul SecoloXIX di oggi, 12 maggio 2018.


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