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KRUGMAN, STARK E LE PERPLESSITA’ DELL’UOMO DELLA STRADA

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Premesse 1. Questo articolo non sostiene una tesi: si pone in forma di interrogativo per i lettori di “Scenarieconomici”. 2. Per risolvere la crisi dell’eurozona, le tesi di Krugman – nel corso dei mesi o forse degli anni – sono apparse molto più adeguate di quelle sostenute, e applicate, dalle autorità comunitarie. Dunque, se un pregiudizio si può avere, è a favore di Krugman e contro Jürgen Stark. E tuttavia se si hanno delle perplessità non sarebbe onesto non manifestarle.

Stark sostiene che viviamo in un periodo di stabilità dei prezzi e che questa è una cosa buona. “Ciò favorisce il reddito reale disponibile e di conseguenza sostiene i consumi dei privati. L’inflazione attesa è stabile, e non c’è alcuna evidenza (in italiano, recte: prova) che famiglie e imprese stiano ritardando gli acquisti a causa di aspettative di inflazione negativa”. Risponde Krugman: non soltanto “la bassa inflazione rende maggiori gli aumenti di reddito a fronte di un dato aumento del reddito nominale, ma la bassa inflazione riduce anche i tassi di crescita dei redditi nominali nella stessa misura”. E qui non seguiamo né Stark né Krugman. Non si può dire che la stabilità dei prezzi “favorisca” il reddito reale, perché lo lascia invariato. Se no che stabilità sarebbe?

Altrettanto falso sembra che essa “renda maggiori gli aumenti di reddito a fronte di un dato aumento del reddito nominale”. Krugman sembra dire che se un reddito di 100 passa a 110 (ma, a proposito, non si parlava di stabilità?), mentre l’aumento nominale è del 10%, l’aumento del reddito è maggiore del 10% (“maggiori gli aumenti di reddito a fronte di un dato aumento del reddito nominale”). E francamente non si capisce perché. Se alla stabilità dei prezzi corrisponde la stabilità di produzione di beni e servizi, ci sarà esatta corrispondenza tra aumento del reddito reale di un singolo ed aumento del suo reddito nominale. Magari mentre qualcuno, che prima guadagnava 100, ora guadagna 90. Ché se poi invece la quantità di beni e servizi fosse aumentata (o fosse diminuita la domanda) l’avere mantenuto la stessa quantità di denaro nel sistema corrisponderebbe alla deflazione, di cui qui non si è ancora parlato: qui ci si occupa di stabilità.

Dice ancora Krugman che “la bassa inflazione riduce anche i tassi di crescita dei redditi nominali nella stessa misura”. Innanzi tutto bisogna controllare che si sia capito bene. Si abbia un’inflazione (bassa) del 2%. Se i redditi nominali rimanessero al livello 100, di fatto avrebbero una diminuzione del potere d’acquisto. Se invece crescessero al 102%, tutto rimarrebbe come prima. Che poi è ciò che sembra dire lo stesso Krugman quando scrive: “nella stessa misura”. E a questo punto non si capisce che cosa ci sia da segnalare. Il sistema era in equilibrio e rimane in equilibrio. Se tutto è stabile, perché le cose dovrebbero andare diversamente?

Inoltre, se “la bassa inflazione riduce anche i tassi di crescita dei redditi nominali”, se ne deduce che un’alta inflazione aumenta i redditi nominali nella stessa misura”: e ancora una volta, che ci si è guadagnato? Chi prima guadagnava 100 e ora, nominalmente guadagna 130, comprerà con 130 ciò che prima comprava con 100. Con l’alta inflazione si ottiene soltanto che mentre i primi prenditori della nuova moneta ne beneficiano per intero, gli ultimi prenditori (di soliti percettori di redditi fissi e i più poveri) sono depredati.

“Ora – prosegue Krugman – non è vero che la bassa inflazione non abbia effetti. Essa incrementa il valore reale dei debiti”. Ancora una volta, se è vero che l’inflazione diminuisce il valore reale dei debiti, e una bassa inflazione li diminuisce di poco, la stabilità lascia quel valore invariato. Non è che lo faccia aumentare.

Ma in realtà un’inflazione, per quanto bassa, non solo non incrementa, ma diminuisce il valore reale dei debiti: esattamente nella propria stessa misura. Se l’inflazione è del 2%, i debiti, altro che aumentare di valore, si svalutano del 2%. E tuttavia ciò è proprio il contrario di ciò che sostiene il Premio Nobel americano, di cui forse non comprendiamo il procedimento logico. Comunque non è affatto scritto nelle tavole di Mosé che i debiti si debbano svalutare.

Scrive infine Krugman: ”Una bassa inflazione complessiva a livello europeo peggiora ulteriormente il problema del riaggiustamento degli squilibri per i paesi debitori, cosa che Stark nemmeno menziona”. Giusto. Ma alla Germania quel riaggiustamento, a spese delle sue banche che detengono titoli dei Paesi indebitati, non conviene. E ognuno ha il diritto di fare i propri interessi.

Ma si attendono lumi. No perditempo.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

19 aprile 2014

 

 

 


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