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Kim e Vladimir: scacco matto agli USA (soprattutto Bolton e Pompeo)

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North Korean leader Kim Jong Un walks upon arrival at the railway station in the far-eastern Russian port of Vladivostok on April 24, 2019. (Photo by Kirill KUDRYAVTSEV / AFP)

Bolton e Pompeo sono stati attivi nel sabotare l’ultimo vertice Trump – Kim Jong-un in Vietnam, conclusosi con un nulla di fatto.  Forse i due membri del governo a stelle e strisce pensavano di aver messo nell’angolo il dittatore Nord Coreano, ma hanno dimenticato il famoso detto che chiusa una porta si apre un portone.  Kim trattava su invito di Russia e Cina che, quando hanno visto l’impossibilità di un accordo con gli USA, hanno organizzato degli incontri iniziati proprio il 25 aprile con il meeting Putin – Kim e che proseguiranno con un meeting Putin – Xi.

L’approccio americano con Kim Jong – un è stato “Tutto o niente”, Kim avrebbe dovuto prima disarmare completamente e poi gli USA avrebbero concesso il disarmo delle sanzioni. Questa posizione è inaccettabile per Kim che voleva l’esatto opposto, cioè che prima finissero le sanzioni e poi iniziasse il disarmo, o che almeno si discutesse sulle modalità di completamento del processo. Ora a Vladivostock  da un lato Putin si è fatto latore verso Washington della posizione di Kim, dall’altro lato ha messo bene in chiaro che il disarmo sarà possibile solo quando la sicurezza della Corea del Nord sarà garantita, e questo apre alla possibilità che la garanzia sia fornita  da Mosca e Pechino.

La soluzione al problema della Corea del Nord era importante perchè collegato a quello dell’Iran: se la strategia in Estremo Oriente avesse funzionato, allora voleva dire che anche quella in Medio Oriente, creata a tutela di Israele, sarebbe stata efficace. Invece si sta creando un grande boomerang: le nucleari di Kim diventano perfettamente secondarie se la garanzia è fornita da una delle altre superpotenze. Allo stesso modo per Mosca e Pechino è facile fornire prospettive economiche alla Corea del Sud affinchè si distacchi da Washington e tratti con PyongYang. Il fallimento della durezza eccessiva in Estremo Oriente trova un parallelo in Medio Oriente, dove in Siria la politica USA è stata un insuccesso e l’Iran è ancora, militarmente e politicamente, solido.

Insomma la rigidità non funziona in un mondo multipolare. Trump ha avuto successo sino a quando era il negoziatore che voleva cambiare le regole della politica internazionale. Quando si è messo al rimorchio dell’ala dura non ha più ottenuto nessun risultato. Forse è tempo di ripensare la strategia almeno in vista delle prossime elezioni del 2020.

 

 

 

 


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