di Stefan Kawalec, 1 aprile 2015
Varsavia – Il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), attualmente in corso di negoziazione tra Unione Europea e Stati Uniti, potrebbe, secondo alcuni studi, migliorare lo stato sociale e ridurre la disoccupazione in entrambe le economie coinvolte, così come in altri paesi. Allo stesso tempo, il TTIP potrebbe ripristinare la fiducia nell’Europa e nella comunità transatlantica. Ma esiste un grande ostacolo perché questi benefici si concretizzino: l’euro. (NdVdE: in ogni caso, nutriamo seri e fondati dubbi sui potenziali benefici del TTIP, ma il problema illustrato da Kawalec ha comunque un suo peso a prescindere).
Il problema deriva dalla manipolazione della valuta. Negli ultimi tre decenni, gli Stati Uniti hanno di fatto tollerato la manipolazione di valuta da parte dei loro principali partner commerciali asiatici, che hanno accumulato grandi avanzi commerciali e di partite correnti comprimendo il valore delle loro valute.
Ma è improbabile che gli USA accettino un comportamento del genere all’interno di una zona di libero scambio. Infatti, esiste una maggioranza mista democraticao-repubblicana nel congresso USA che sta già chiedendo che il Trans-Pacific Partnership (TPP) – un mega-trattato regionale di libero scambio che coinvolge 12 paesi che si affacciano sul Pacifico – dovrebbe includere clausole che impediscano la manipolazione della valuta.
Le discussioni sulle manipolazioni di valuta si sono a lungo concentrate sulla Cina, che non fa parte del TPP, ma potrebbe entrarci, o far parte di un simile accordo, in futuro. Ma l’economia con il più grande avanzo di partite correnti oggi non è la Cina; è l’eurozona. Infatti, con una cifra superiore ai 300 miliardi di dollari, il surplus di partite correnti dell’eurozona nel 2014 è stato di circa il 50% superiore a quello della Cina.
Il motivo di questa situazione è semplice: l’espansione monetaria, che porta ad un deprezzamento della valuta, è il solo strumento macroeconomico disponibile della Banca Centrale Europea per aumentare la competitività delle economie in difficoltà come Grecia, Spagna, Italia, Portogallo e Francia. Di conseguenza, i deficit di partite correnti nei paesi del sud sono diminuiti o scomparsi, mentre le eccedenze in paesi come la Germania sono aumentate, causando un ulteriore aumento dell’avanzo complessivo dell’Eurozona.
Un problema irrisolvibile per la BCE è che l’euro è troppo forte per i paesi depressi del sud e troppo debole per la Germania. Anche se la BCE potrebbe ridurre l’avanzo commerciale lasciando che l’euro si apprezzi, ciò aggraverebbe le difficoltà economiche nei paesi depressi del sud. Questo, a sua volta, rafforzerebbe ulteriormente i movimenti politici populisti e anti-europei che guadagnano consensi a causa del disagio sociale.
Alcuni osservatori ritengono che gli squilibri interni dell’eurozona potrebbero ridursi se la Germania aumentasse la spesa in infrastrutture e permettesse ai salari di salire più velocemente. Ma per molti tedeschi, che hanno affrontato difficili riforme previdenziali e del mercato del lavoro nel 2003-2005, unosforzo deliberato per diminuire i guadagni di competitività conquistati non è un’opzione. Il fatto che il 63% delle esportazioni tedesche vanno in paesi al di fuori dell’eurozona – il che significa che le aziende tedesche deve essere in grado di competere con le loro controparti in tutto il mondo, non solo nell’unione monetaria – rende la questione ancora più sensibile.
Altri osservatori sostengono che un’ulteriore integrazione, soprattutto il progresso verso l’unione politica e fiscale, fornirebbe all’Eurozona strumenti alternativi – vale a dire, trasferimenti di ricchezza – per migliorare la competitività dei paesi depressi. Ma, come Italia e Germania hanno imparato nei loro sforzi in gran parte falliti (e costosissimi) di stimolare le regioni non competitive, tali aspettative sono ingiustificate. Infatti, nonostante siano state spese enormi quantità di denaro dei contribuenti –pari al 16% del PIL regionale annuale nel sud Italia e al 25% del PIL regionale in Germania orientale – le economie italiane e tedesche hanno ottenuto poco.
Dato che probabilmente l’Eurozona non sarebbe in grado di fornire ai suoi membri non competitivi tali enormi trasferimenti annuali, questa strategia avrebbe ancor meno probabilità di successo. Allo stesso modo, le politiche strutturali volte a migliorare la competitività delle regioni sottosviluppate di una zona a moneta unica si sono ripetutamente dimostrate inefficaci e costose.
In breve, gli squilibri interni dell’eurozona probabilmente continueranno – e, con loro, rimarrà la sua valuta sottovalutata e il suo enorme avanzo di partite correnti. Certo, si potrebbe sostenere che fintanto che la BCE non interviene direttamente con l’acquisto di asset in valuta estera, l’eurozona non si qualifica come un manipolatore di valuta. Ma data la natura intenzionale dell’ azione della BCE – per non parlare della posizione di leader dell’eurozona nell’economia globale – questo argomento probabilmente non reggerà a lungo.
In sostanza, la manipolazione della valuta è un qualsiasi intervento intenzionale che si traduca in una valuta sottovalutata e in un notevole avanzo di partite correnti – esattamente quello che sta facendo la BCE. Se la BCE sostiene questa politica per un periodo prolungato, le tensioni con gli Stati Uniti sono pressoché inevitabili – tensioni che possono ostacolare l’approvazione del TTIP da parte del Congresso o l’effettivo funzionamento del trattato, con un suo conseguente deterioramento o accantonamento.
Questo contrasta con la credenza popolare, che ha guidato la creazione dell’eurozona, che l’Europa ha bisogno di una moneta unica per competere con le grandi economie come USA, Cina e India. Infatti, se i membri della zona euro avessero mantenuto (o reintrodotto) le loro valute nazionali, legate da accordi di cambio manovrabili, avrebbero potuto risolvere i loro squilibri abbastanza facilmente, senza generare un grande avanzo complessivo delle partite correnti. Invece, rischiano di innescare una guerra valutaria con i più importanti attori economici globali – perdendo nel frattempo indispensabili partner commerciali e alleati.