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Politica

UN JOKE CHE FA SORRIDERE, MA NON SOLTANTO

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Bisogna obbligatoriamente cominciare con una barzelletta americana.

<Un giovane texano era cresciuto desiderando di divenire un difensore della legge. Era ormai alto 1,85m, era forte come un toro e veloce come un mustang. Poteva colpire una capsula di bottiglia gettata in aria da quaranta passi. Quando finalmente ebbe l’età richiesta, fece domanda per essere assunto là dove aveva sempre sognato di lavorare: nel Dipartimento degli Sceriffi del Texas Occidentale. Dopo una serie di test e colloqui, il Delegato Capo finalmente lo chiamò nel suo ufficio per l’ultimo colloquio. Il Delegato Capo disse: “Sei un ragazzo grande e forte e sai veramente sparare. Fino a questo punto le tue qualificazioni sembrano buone, ma noi abbiamo ciò che potresti chiamare un “Test di idoneità attitudinale”, che devi superare prima di essere accettato. Non è che noi permettiamo al primo che passa di portare il nostro distintivo”.

Poi, facendo scivolare sulla scrivania una pistola e una scatola di proiettili, il Capo disse: “Prendi questa pistola, esci e uccidi sei immigranti illegali, sei avvocati, sei spacciatori di metadone, sei estremisti musulmani, sei che votano per i democratici e un coniglio”.

“Perché il coniglio?”, chiese il candidato. “Sei promosso”, gli rispose il Delegato Capo. “Quando puoi cominciare?”> (traduzione mia).

  Ho inviato questa storiella a un amico americano, bilingue e psichiatra, che mi ha così risposto: “Rido certo ma per non piangere.  Tanto questa barzelletta coglie nel segno.  Quando in ospedale arrivava un poliziotto o un soggetto antisociale (o psicopatico o sociopatico che dir si voglia) ovvero un criminale, noi ci dicevamo che in fondo la differenza nelle loro vite doveva esser stata determinata da un evento minimo.  Ma che le strutture di personalità erano in fondo le stesse”.

Se un uomo qualunque dice che poliziotti e criminali si somigliano, esprime un concetto un po’ calunnioso e un po’ qualunquista. Se invece quel giudizio lo formula un professionista della psichiatria, la cosa è diversa. E se questo tecnico ride per non piangere, è segno che parla molto seriamente.

Quanto a noi, uomini qualunque, pur non avendo una grande esperienza né di poliziotti né di criminali, possiamo azzardare che la somiglianza potrebbe non essere misteriosa. Partiamo dalle parole “cortesia” e “gentilezza”. Si potrebbe pensare di attribuire a qualunque categoria di esseri umani e invece l’etimologia ci informa che la “cortesia” è il modo di comportarsi a corte, e la “gentilezza” la caratteristica dei nobili (quelli che appartenevano a una “gens”). Non che, geneticamente, i nobili fossero migliori degli altri ma nel loro ambiente non era necessario usare la violenza, ci si poteva permettere la generosità (“Beve qualcosa?”) e infine affettare una continua e ampia disponibilità a favorire gli altri. Le armi da usare, eventualmente, erano molto più sottili. Viceversa, negli ambienti dove imperano la brutalità e la lotta per la sopravvivenza, gli standard cambiano. Basti pensare agli internati nei campi di concentramento. In questi casi la cortesia diviene un concetto inverosimile. E se la fame è molta, si può fare a pugni per una pagnotta, e magari sottrarla con la violenza al legittimo proprietario.

I poliziotti, a causa del loro mestiere, vengono in contatto col peggio dell’umanità. La menzogna, il furto, la brutalità, la calunnia e ogni forma di comportamento negativo sono per loro all’ordine del giorno. E proprio perché questo è il mondo in cui operano, ne assorbono in parte i moduli. Naturalmente hanno fini diversi da quelli dei criminali; operano per la legalità; vivono di stipendio, ma il loro standard di cortesia è scarso, perché scarse sono le occasioni di essere cortesi. Se il loro livello di violenza è più alto della media è perché tante volte sono stati essi stessi aggrediti. Dunque lo psichiatra non aveva torto, quando riscontrava similitudini fra delinquenti e agenti di polizia. Infatti avrebbe al contrario notato un livello di gentilezza anormalmente alto se avesse avuto da fare con maggiordomi di nobili casate inglesi: quei domestici di altissimo livello, frequentando persone “cortesi”, ne assumono i modi.

Il fenomeno è generale. Tutti si meravigliano, a torto, di quanto poco caso i magistrati facciano delle proteste di innocenza degli accusati. Infatti i giudici sono sommersi alle dichiarazioni di non colpevolezza di tutti gli accusati (anche quelle dei più sfacciatamente colpevoli) e le loro parole non fanno minimamente parte degli elementi probatori. Perfino gli avvocati non credono molto all’innocenza dei loro clienti. Nel loro caso lo scetticismo ha un motivo in più: “Ti difendo meglio se mi dichiari che non hai fatto niente, vero o falso che sia”.

Stiamo sfondando una porta aperta: siamo figli della nostra natura fisiologica e del nostro condizionamento.

Gianni Pardo, [email protected]

7 marzo 2015


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