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JOBS ACTS : IL GIOCO VALE LA CANDELA (E LA SPESA)?

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Questo post è costituito dal mio intervento al convegno promosso dal Consiglio Regionale “Più Europa o più Italia?”

 

a) Jobs act ha rivoluzionato il mercato del lavoro. Punti essenziali :

Economicamente: sgravi triennali dei contributi pensionistici sino a 8060 euro annui dei nuovi contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, sia derivanti da nuove assunzioni sia da trasformazioni di altri contratti a tempo indeterminato, dal 7 marzo 2015 al 31/12 2015. La norma è stata parzialmente confermata per il 2016 – 2017 con uno sgravio ridotta pari al 40% dei contributi.

Dal punto di vista normativo, con modifiche permanenti che prevedono:

  1. ASSUNZIONI E LICENZIAMENTI A TUTELE CRESCENTI con possibilità di licenziamento sia economico sia disciplinare nei primi 3 anni con risarcimento crescente.

  2. CESSAZIONE OBBLIGO DI REINTEGRO PER I NUOVI ASSUNTI. Subentra l’obbligo di risarcimento, tranne che per limitati casi di discriminazione. L’obbligo di reintegro resta per le aziende sopra i 15 dipendenti per gli assunti anti 7/3/2015.

  1. POSSIBILITA’ DI PATTEGGIAMENTO CON DIPENDENTE: 1 mese di retribuzione per anno lavorativo che rimane come risarcimento non sottoposto a tassazione

  2. RIORDINO DEI CONTRATTI CON ABOLIZIONE CO.CO.PRO

  3. PART TIME ORIZZONTALE O VERTICALE . Libero, ma limiti al lavoro extra part time (15% e 25%) con premio del 15%.

  4. DEMANSIONAMENTO (a parità di paga).

  5. CONCILIAZIONE VITA LAVORO e MATERNITA e PATERNITA’

  6. NASPI – ASDI e DISC-COLL

  7. ASSEGNO DI RICOLLOCAZIONE – formazione attiva

  8. CONTROLLO A DISTANZA.

Noi ci occupiamo soprattutto degli aspetti economici derivanti dal Jobs Act

b) Distorsioni possibili con il Jobs act

Secondo simulazioni UIL che vengono qui presentate un’azienda che assumesse e quindi licenziasse, pagando il risarcimento previsto dalla legge, entro i tre anni potrebbe avere dei vantaggi economici estremamente significativi.

Questo potrebbe condurre ad una forte distorsione con aziende che assumono e quindi licenziano il dipendente solo per avvantaggiarsi economicamente dall’applicazione del jobs act, trasformando successivamente il contratto a tempo determinato o proprio non sostituendo il lavoratore.

A maggio 2016 , con i dati sul primo trimestre definitivi, avremo un quadro certo e sicuro sul verificarsi di questa eventualità.

ELEMENTI DISTORSIVI JOBS ACT

c) Efficacia e costo del Jobs Act

Su 764 mila contratti a tempo indeterminato in più nel 2015 abbiamo avuto che questi erano composti da

  • 578 mila trasformazioni;

  • 186 mila effettivi nuovi posti di lavoro.

Le trasformazioni sono state molto più che nel 2013 e 2014, ma , ad esempio, sono state inferiori , come numero al 2012 (governo Monti).

Ci si è chiesto se questa crescita sia stata dovuta all’eliminazione, o attenuazione, delle tutele ex art 18 oppure al regime premiale della decontribuzione. In realtà se analizziamo l’andamento temporale della distribuzione delle assunzioni e delle trasformazioni a tempo indeterminato vediamo come

Elaborazione Marta Fana su dati INPS

L’andamento particolarmente elevato dei contratti nel mese di dicembre 2015 fa supporre e rendere probabile un utilizzo speculativo della norma , non correlato ad una reale necessità di forza lavoro, ma esclusivamente mirato allo sfruttamento, per quanto possibile , delle defiscalizzazioni.

Il timore di un utilizzo improprio del jobs act, purtroppo, viene anche dai primi dati del mese di gennaio 2016, con soli 106 mila assunzioni a tempo indeterminato contro le 176 mila del gennaio 2015. Notiamo che il Jobs act è entrato in vigore a marzo 2015, per cui questi dati indicano un forte rallentamento rispetto ad una dinamica diciamo così normale, senza incentivazione, il che è ancora più grave perchè sgravi parziali sono ancora attivi. Anche le trasformazioni sono rallentate, da 43 a 41 mila.

Passiamo ora a vedere un’analisi costi – benefici.

Basandoci su elaborazioni della Dott. Marta Fana su dati INPS cerchiamo di dare una valutazione precisa di quanto sia costato ogni singolo posto di lavoro creato attraverso la decontribuzione del Jobs Act.

Sappiamo che il governo ha stanziato 11,8 miliardi per il triennio 2015-2017, così suddivisi :

  • 1,886 miliardi per il 2015

  • 4,885 miliardi per il 2016

  • 5,030 miliardi per il 2017

A questi andrebbero sommati gli stanziamento 2018 e 2019 che si riferiscono alla fase finale del jobs act, quella ridotta, che attualmente non consideriamo in quanto è ancora troppo presto per valutarne l’efficacia.

Ora però per calcolare la reale efficacia non dovremmo fermarci agli stanziamenti , ma fare previsioni relative al REALE costo nel triennio dei contratti attivati, calcolando i contributi che effettivamente i lavoratori verranno a risparmiare. Questo conto è stato effettuato partendo da una serie di ipotesi ad integrazione dei dati non completi forniti dall’INPS, soprattutto, in relazione alla distribuzione dei nuovi assunti in classi di reddito: infatti la decontribuzione derivante dal Jobs act ha un tetto a 8060 euro defiscalizzabili annui, corrispondenti ad una paga lorda pari a 26.000 euro, ma fino a quella cifra viene a pesare per un valore pari al 31% della paga lorda.

Ipotizzando che i nuovi assunti si dispongano nelle classi di reddito nello stesso modo degli assunti precedenti. Ipotizziamo inizialmente che i contratti durino per tutto il 2015 e quindi anche per tutto il triennio in oggetto. Avremo quindi i seguenti costi complessivi.

Elaborazione Marta Fana 

Chiaramente il costo viene a variare a seconda del numero di contratti attivati nel mese e dal numero di mesi di decontribuzione lungo il 2015. Utilizzando questa ipotesi avremmo un costo complessivo della decontribuzione derivante dal Jobs Act pari a 3,42 miliardi nel 2015 e 22,6 miliardi nel trienno. Bisogna depurare però l’effetto IRES, legato al fatto che senza i contributi aumenta il reddito tassato, per cui, corretto questo effetto, avremo :

  • 2,5 miliardi spesa per decontribuzioni 2015

  • 16,95 miliardi spesa decontribuzione per il triennio.

Con la necessità di trovare copertura per le defiscalizzazioni pari a 5,7 miliardi.

Se tutti i contratti in oggetto avessero quindi una durata di 36 mesi avremmo un costo complessivo per nuovo posto di lavoro , complessivo ed annuale, pari a :

Costo Complessivo : 91 mila euro circa per nuovo posto di lavoro

Costo Annuale : 30,3 mila euro circa per nuovo posto di lavoro

Ora consideriamo che , in realtà , non tutti i posti di lavoro a tempo indeterminato avranno una durata triennale. Una ipotesi utilizzata dalla dott.sa Fana prevede il 13% dei contratti di assunzioni/trasformazione cessi il primo anno, il 17,7 entro il secondo ed il 10,3 entro il terzo.Queste cifre sono coerenti con le rilevazioni sui contratti trasformati nel periodo precedente al jobs act.

In questo caso avremmo un costi complessivo netto dell’effetto IRES della defiscalizzazione pari a

13,833 miliardi , con un disavanzo da coprire di circa 2 miliardi in tre anni.

In questo caso il costo per ogni nuova assunzione sarebbe:

  • 74.370 euro complessivi nel triennio

  • 24.790 euro annui.

Un costo molto inferiore, ma questo dovrebbe esserci di scarsa consolazione in quanto ,comunque, un terzo dei nuovi posti di lavoro viene a cessare nel triennio successivo.

Quindi il Jobs act, così come è stato predisposto, è riuscito a:

  • sostituire parzialmente un tipo di precarietà (contratti a termine) con un altro (alterazione art. 18).

  • avere un costo estremamente elevato per ogni posto di lavoro prodotto.

Cosa si sarebbe potuto fare di diverso ?

a) Politiche di formazione attive: politiche di formazione e riqualificazione dei lavoratori avrebbero potuto aggiornare qualitativamente le competenze dei lavoratori stessi, rendendole più adatte alle necessità del mondo del lavoro moderno. L’unica parte del Jobs Act ancora non applicata è proprio quella , comunque residuale, relativa alla formazione attiva dei lavoratori.

b) Politiche di rilancio dei consumi e, quindi, della produzione industriale. Appare chiaro che non vi è aumento della domanda di lavoro senza aumento della produzione industriale, la quale dipende ancora, nonostante l’internazionalizzazione (al 75%) dai consumi interni. Qui le vendite al dettaglio , che esemplificano l’andamento asfittico dei consumi.

Questo non può che portare ad un andamento altrettanto anemico della produzione industriale.

Per capire quanto sia ancora fragile la nostra ripresa si valuta che la combinazione dei fattori esogeni svalutazione euro/dollaro, basso prezzo materie prime e politica monetaria espansiva abbia pesato per l’1% sul PIL nel 2015 che, nonostante questo, è cresciuto solo del 0,7 – 0,8 %. Senza cifre più consistenti , e non parlo del 1,2 % , l’aumento dell’occupazione è un miraggio.

C) Politiche del sostegno del lavoro autonomo. La disoccupazione nasce anche dalla forte riduzione del lavoro autonomo Ogni lavoratore autonomo in più è un disoccupato in meno ed una potenziale assunzione futura. Questo aspetto è stato quasi completamente ignorato. Consideriamo che, ad esempio , nel Molise le partite IVA son passate da 1200 nel 2000 a 700 nel 2015. Nelle Marche nel 2015 il saldo aperture/chiusure è stato negativo per 1200 unità, con 3500 posti di lavoro persi. In totale la CGIA calcolava che sono ben 260 mila i lavoratori autonomi scomparsi dal 2008 al 30 giugno 2015, con una pesantissima ricaduta sull’occupazione anche ignorando eventuali lavoratori loro dipendenti coinvolti.


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