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Jim Beam chiude i rubinetti nel 2026: crisi di domanda o fine di un mito? Il crollo del Bourbon americano.
Jim Beam ferma la produzione nel 2026: crollo del 28% nel settore e tensioni commerciali. Fine di un’era o strategia di sopravvivenza?

Fermate i bicchieri, il mito americano si prende una pausa. O forse, più prosaicamente, ha scoperto che non c’è più nessuno disposto a bere quanto prima. Una notizia che farà tremare i polsi agli appassionati di whiskey e agli analisti economici: Jim Beam, uno dei più grandi produttori di bourbon del Kentucky, fermerà la produzione nel suo storico stabilimento principale di Clermont per tutto il 2026.
La versione ufficiale, riportata dal Lexington Herald Leader, parla di una “pausa nella distillazione” a partire dal 1° gennaio per investire in “miglioramenti del sito”. Una bella frase aziendale, lucidata a dovere, che però nasconde una realtà macroeconomica ben più amara di un bourbon invecchiato male: la domanda sta crollando.
I numeri del disastro
Non si tratta solo di ristrutturare un impianto. Se guardiamo i dati freddi, emerge uno scenario preoccupante per l’industria americana degli spiriti, colpita dalla tempesta perfetta di sovrapproduzione e guerre commerciali. Ecco cosa sta succedendo realmente nel Kentucky, lo stato che da solo vale 9 miliardi di dollari di industria del bourbon:
Crollo della produzione: Fino ad agosto, la produzione statale è scesa di oltre 55 milioni di proof-gallons, un calo brutale del 28%, toccando i livelli più bassi dal 2018.
Export azzerato: Le tensioni commerciali si fanno sentire. Le vendite di whiskey verso il Canada sono precipitate di oltre il 60% fino a ottobre, complice un boicottaggio legato alle recenti tensioni sui dazi.
In termini economici, siamo di fronte a un classico eccesso di offerta a fronte di una domanda effettiva che evapora. Hanno riempito i magazzini scommettendo su una sete infinita dei consumatori che, stretti tra inflazione e incertezza, hanno smesso di comprare.
Sindacati in allarme e turisti salvi
La società ha dichiarato: “Stiamo valutando i livelli di produzione per soddisfare al meglio la domanda dei consumatori”. Tradotto dal “corporate-speak”: abbiamo prodotto troppo e ora dobbiamo smaltire le scorte. La Jim Beam continuerà a distillare negli impianti minori (Freddie Booker Noe e Boston, Ky.) e rassicura che il Visitor Center di Clermont rimarrà aperto. I turisti del Kentucky Bourbon Trail potranno ancora farsi i selfie e mangiare al “The Kitchen Table”, ma le caldaie principali resteranno fredde.
E i lavoratori? Qui la nota si fa dolente. Non c’è ancora un avviso ufficiale di licenziamento, ma i 1.500 dipendenti del Kentucky trattengono il fiato. La società è in discussione con il sindacato United Food and Commercial Workers per “valutare come utilizzare al meglio la forza lavoro”. Una frase che, nella storia delle relazioni industriali, raramente prelude a buone notizie.
Una sbornia da smaltire
La mossa di Jim Beam è il canarino nella miniera. Quando un colosso ferma l’impianto principale per un anno intero, non è manutenzione: è riassetto strategico in vista di tempi magri. Tra guerre dei dazi che chiudono i mercati esteri (il Canada non è un cliente piccolo) e consumatori interni col portafoglio sgonfio, l’America scopre che non si può crescere all’infinito, nemmeno bevendo per dimenticare.
Il 2026 sarà un anno sobrio a Clermont. Resta da vedere se sarà solo una pausa rinfrescante o l’inizio di una lunga astinenza economica per il settore. Comunque questo evento è anche un segno di una certa stanchezza dei consumatori USA.
Domande e risposte
Perché Jim Beam ferma la produzione proprio ora? La chiusura è ufficialmente per “miglioramenti al sito”, ma la causa reale è economica. C’è un eccesso di offerta (“oversupply”) accumulato negli anni post-pandemia e una domanda in netto calo. La produzione nel Kentucky è scesa del 28% quest’anno. Fermare l’impianto permette di smaltire le scorte invendute senza continuare a saturare un mercato che non assorbe più il prodotto, risparmiando sui costi operativi in un anno difficile.
Ci sarà carenza di Jim Beam nei negozi nel 2026? Molto improbabile. Il whiskey deve invecchiare anni prima di essere venduto, quindi le bottiglie sugli scaffali oggi sono state prodotte anni fa. Inoltre, Jim Beam continuerà la produzione in altri due stabilimenti (Boston e l’impianto artigianale di Clermont) e ha magazzini pieni. La “pausa” serve proprio a bilanciare l’eccesso di scorte attuali, non a creare una penuria immediata per il consumatore finale.
Che c’entra il Canada con la crisi del Bourbon? C’entra moltissimo. Il Canada è un mercato chiave per l’export di whiskey americano. A causa delle recenti tensioni commerciali e dei dazi (guerre commerciali), c’è stato un boicottaggio dei prodotti USA che ha portato a un crollo dell’export verso il Canada del 60%. Quando perdi uno dei tuoi maggiori acquirenti esteri, la produzione interna deve necessariamente rallentare, altrimenti i magazzini scoppiano e i prezzi crollano.








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