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Energia

Iraq: L’export del Kurdistan supera i 200mila barili, accordo con Baghdad verso il rinnovo. Ma gli stipendi restano un miraggio

L’Iraq rinnova l’accordo petrolifero con il Kurdistan: export record oltre i 200mila barili, ma esplode il caso degli stipendi non pagati.

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Sembra che il pragmatismo economico stia, almeno per ora, prevalendo sulle eterne dispute politiche tra Erbil e Baghdad. Hamdi Shingali, vicedirettore della SOMO (l’ente di stato iracheno per la commercializzazione del petrolio), ha confermato che l’accordo petrolifero tra il Governo Regionale del Kurdistan (KRG) e il governo federale sarà rinnovato.

Nessun ostacolo in vista, assicura Shingali. Tutto procede secondo i piani previsti dalla Legge di Bilancio irachena – in scadenza a fine anno – e le discussioni per l’estensione sono già sul tavolo. Una notizia che porta un po’ di ossigeno sui mercati e nelle casse statali, dato che l’export dalla regione autonoma ha ormai superato la soglia psicologica e tecnica dei 200.000 barili al giorno, con prospettive di crescita nel breve termine.

Il ritorno del greggio curdo sui mercati

Per chi segue le vicende energetiche mediorientali, questo è un “ritorno alla normalità” dopo un biennio di caos. Le esportazioni erano riprese il 27 settembre 2025, chiudendo una parentesi dolorosa iniziata nel marzo 2023 a seguito dell’arbitrato internazionale che aveva dato torto alla Turchia, bloccando di colpo 230.000 barili giornalieri.

Il meccanismo attuale, che sembra soddisfare (quasi) tutti, prevede una filiera ben precisa:

  • Il greggio estratto in Kurdistan (al netto dei consumi locali) viene consegnato alla SOMO presso il nodo di Peshkhabour.
  • Da lì, viaggia attraverso l’oleodotto Iraq-Turchia verso il porto di Ceyhan.

Oleodotto Iraq Turchia

  • I proventi finiscono nel tesoro federale iracheno.
  • Baghdad, in teoria, gira la quota spettante a Erbil per coprire stipendi e spese pubbliche.

Interessante la tecnicalità sul recupero costi (cost recovery): è stato fissato a 16 dollari al barile per produzione e trasporto. Le compagnie petrolifere operanti in loco non vedono contanti, ma vengono compensate direttamente in greggio, mentre la SOMO copre le tariffe di transito.

Record di produzione e paradosso salariale

Se guardiamo ai numeri aggregati, l’Iraq sta mostrando i muscoli. Nell’ottobre 2025, la produzione nazionale complessiva ha toccato il record impressionante di 4,46 milioni di barili al giorno, con un export che viaggia sui 3,57 milioni. Cifre da gigante dell’OPEC.

Tuttavia, come spesso accade in economia, i flussi macro non sempre si traducono in benessere micro immediato. Nonostante il premier iracheno Al-Sudani parli di un “risultato atteso da 18 anni” e il suo omologo curdo Barzani di “passo storico”, c’è un intoppo non da poco: la liquidità per le famiglie.

I trasferimenti da Baghdad per gli stipendi pubblici tardano ad arrivare. Le retribuzioni di ottobre non sono state ancora distribuite, lasciando in attesa oltre 1,2 milioni di dipendenti pubblici nel Kurdistan. Un paradosso che crea un problema sociale: la produzione c’è, la ricchezza teorica anche, ma localmente non c’è nessun vantaggio pratico perché i soldi del petrolio venduto non arrivano.

Ecco una sintesi dei dati salienti:

IndicatoreDati RilevatiNote
Export Kurdistan> 200.000 bpdIn crescita, ripreso il 27/09/2025
Produzione Totale Iraq4,46 Milioni bpdRecord registrato a Ottobre 2025
Costo Produzione (KRG)$16 / barileCompensazione alle compagnie in natura (greggio)
Stipendi Pubblici KRGIn ritardoMese di ottobre non ancora pagato a 1,2mln di dipendenti

In conclusione, l’oro nero scorre di nuovo verso Ceyhan e i numeri dell’export sono solidi, ma finché la burocrazia di Baghdad non sbloccherà i flussi finanziari verso i lavoratori di Erbil, la “stabilità” celebrata dai politici rimarrà un concetto più statistico che reale. Nessuno ne avrà un vatntaggio reale.


Domande e risposte

Perché questo accordo è importante per il mercato globale del petrolio?

L’accordo è cruciale perché reimmette sul mercato una quantità significativa di greggio (oltre 200.000 barili al giorno, con potenziale per tornare ai 230.000 pre-blocco) in un momento in cui l’Iraq sta segnando record produttivi. La stabilità delle forniture dal nord dell’Iraq attraverso la Turchia riduce la volatilità dei prezzi e garantisce una fonte di approvvigionamento costante verso il Mediterraneo, diversificando parzialmente i rischi geopolitici dell’area del Golfo Persico.

Se l’Iraq incassa i soldi del petrolio, perché gli stipendi nel Kurdistan non arrivano?

È il classico problema di frizione tra centralismo e federalismo fiscale, aggravato da procedure burocratiche e tensioni politiche latenti. Sebbene i proventi finiscano nel tesoro federale come pattuito, il meccanismo di ridistribuzione verso Erbil subisce ritardi. Baghdad usa spesso la leva finanziaria per mantenere il controllo politico sulla regione autonoma.1 Finché i trasferimenti non diventano automatici e puntuali, i dipendenti pubblici curdi rimangono ostaggio delle negoziazioni tra i due governi.

Come vengono pagate le compagnie petrolifere straniere che operano in Kurdistan?

Le compagnie internazionali non ricevono pagamenti in contanti (cash), una modalità che spesso creerebbe problemi di liquidità immediata per il governo regionale. Vengono invece compensate in natura, ovvero ricevono direttamente barili di greggio. L’accordo fissa un valore di recupero costi pari a 16 dollari per barile prodotto ed esportato. Questo permette alle operazioni di continuare anche in assenza di trasferimenti monetari diretti da Baghdad, scaricando il rischio del “cash flow” sul mercato fisico del petrolio.

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