Economia
La strategia del panico: per paura di Israele, l’Iran inonda il mondo di petrolio prima del disastro
In piena tensione con Israele, l’Iran svuota i suoi serbatoi esportando greggio a ritmi record. Una corsa contro il tempo per evitare che diventino un bersaglio. Ma cosa accadrà alla benzina in Italia se lo Stretto di Hormuz venisse chiuso?

La guerra tra Iran e Israele, lungi dall’interrompere le esportazioni di petrolio iraniano, sta paradossalmente spingendo Teheran a svuotare rapidamente le sue cisterne per evitare che il greggio accumulato diventi un bersaglio degli eventi bellici. Dall’attacco israeliano di venerdì scorso, le esportazioni di greggio iraniano sono schizzate a una media di 2,33 milioni di barili al giorno, un aumento del 44% rispetto ai livelli precedenti, secondo i dati di TankerTrackers.com riportati da El Economista.
Questo incremento è guidato da una strategia chiara: massimizzare le spedizioni prima che possibili attacchi futuri colpiscano le infrastrutture energetiche iraniane, in particolare l’isola di Kharg, che gestisce oltre il 90% delle esportazioni di petrolio del paese. Le autorità iraniane, temendo un’escalation, hanno adottato misure precauzionali, come la dispersione delle navi vuote vicino a Kharg, una tattica già utilizzata lo scorso ottobre in un contesto di tensioni simili con Israele. Questo approccio mira a ridurre la vulnerabilità delle petroliere a eventuali bombardamenti, mantenendo al contempo il flusso di esportazioni.
Finora, non ci sono prove che Israele abbia colpito direttamente gli impianti petroliferi iraniani, ma la paura di un attacco a infrastrutture critiche come Kharg Island ha spinto Teheran a dare priorità alla sicurezza e a velocizzare le operazioni di carico e spedizione. Samir Madani, co-fondatore di TankerTrackers, ha dichiarato a Bloomberg: “Stanno cercando di esportare più barili possibile, ma con la sicurezza come priorità assoluta”.
Nonostante le tensioni geopolitiche, il flusso di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz, che veicola circa il 20% del commercio mondiale di greggio, rimane per ora inalterato. I dati del Joint Maritime Information Centre (JMIC) indicano che il numero di navi in transito è addirittura aumentato del 5% nella settimana conclusasi domenica, con 954 vascelli che hanno attraversato il canale senza particolari problemi. Le rotte e le velocità delle petroliere restano regolari, segno che la distribuzione regionale del petrolio continua a funzionare senza intoppi significativi.
Questo scenario contribuisce a spiegare perché i prezzi del petrolio non siano ancora esplosi. Il Brent, benchmark globale, si attesta intorno ai 74 dollari al barile, ben al di sotto dei picchi raggiunti nel 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia, il mercato rimane nervoso: un’eventuale chiusura dello Stretto di Hormuz, anche temporanea, potrebbe spingere i prezzi ben oltre i 100 dollari al barile, secondo le stime di Goldman Sachs e Deutsche Bank.
L’Iran, consapevole che un blocco dello Stretto danneggerebbe anche le sue stesse esportazioni (principalmente dirette alla Cina, che assorbe oltre il **95% del greggio iraniano esportato), sembra restio a intraprendere questa strada. Inoltre, la presenza della Quinta Flotta statunitense nel Golfo Persico rappresenta un deterrente significativo contro azioni drastiche da parte di Teheran.
Implicazioni per l’Italia e l’Europa
Per l’Italia, che dipende fortemente dalle importazioni di energia, la situazione attuale sottolinea l’importanza di mantenere riserve strategiche piene. Un’eventuale escalation, soprattutto se coinvolgesse gli Stati Uniti o altri attori regionali, potrebbe interrompere le forniture attraverso lo Stretto di Hormuz, con ripercussioni immediate sui prezzi di benzina, gasolio e gas naturale. L’Europa, già alle prese con una maggiore dipendenza dalle importazioni di GNL dopo la fine delle forniture russe via gasdotto, sarebbe particolarmente vulnerabile a un’impennata dei costi energetici.
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