Attualità
Iran: cambierà qualcosa con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica
L’Iran ha una struttura istituzionale molto particolare che lo rende allergico ai cambiamenti, che non siano approvati da uno stretto nucleo di potere
La morte del Presidente iraniano Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero domenica 19 maggio ha riacceso la speranza che la posizione dell’Iran nei confronti dell’Occidente possa ammorbidirsi di nuovo nell’approccio pragmatico del suo predecessore riformatore, il Presidente Hassan Rouhani. Sarà veramente così?
Per il momento, il potere presidenziale è stato trasferito al Vicepresidente Mohammad Mokhber, ma il 28 giugno si terranno le elezioni lampo per determinare il Presidente per il prossimo mandato quadriennale. Quindi, si aprirà una nuova alba di relazioni migliori tra l’Iran e l’Occidente, come quelle che hanno visto la creazione del Piano d’Azione Congiunto Comprensivo (JCPOA, o colloquialmente ‘l’accordo nucleare’) il 14 luglio 2015?
È vero che quando è stato eletto Presidente il 3 agosto 2013, l’ex Presidente Rouhani è stato determinante nel consentire alle aziende occidentali un maggiore accesso alle attività chiave dell’Iran – compresi i settori del petrolio e del gas – in cambio di un accordo che prevedeva un maggior controllo del settore nucleare.
Da parte iraniana, ciò comporterebbe un enorme afflusso di investimenti dall’Occidente, che andrebbe a gonfiare le casse di un’economia colpita da decenni di sanzioni internazionali. Questo, a sua volta, allevierebbe il crescente malcontento sociale di gran parte della popolazione iraniana giovane, istruita e non fondamentalista islamica. Inoltre, per quanto riguarda il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) del Paese, avrebbe fornito finanziamenti per un avanzamento segreto degli elementi chiave del suo programma nucleare e per colmare le lacune tecnologiche in altri settori della sua economia.
Dopo la firma del JCPOA, sono arrivati impegni per investimenti massicci da parte di decine di aziende occidentali e Rouhani ha ottenuto un secondo mandato come Presidente. A questo punto, però, il gruppo di Paesi P5+1 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina più la Germania), che aveva firmato l’accordo JCPOA, ha rivelato la propria sorpresa: voleva essenzialmente smantellare il potere dell’IRGC in tutti i settori chiave della vita politica ed economica dell’Iran. È stato a quel punto che il JCPOA ha iniziato a crollare, anche prima che gli Stati Uniti si ritirassero unilateralmente dall’accordo l’8 maggio 2018.
Più di ogni altro fattore, il fallimento dell’accordo ha sottolineato che in realtà non esiste un politico iraniano ‘moderato’ nel vero senso della parola. Rouhani era desideroso di riallacciare i rapporti con l’Occidente basandosi esclusivamente su considerazioni economiche vantaggiose per l’Iran e non su una base ideologica più profonda che potesse includere l’abbraccio di qualcosa di diverso dalla nozione di Iran come Stato islamico fondamentalista. In particolare, è stato in grado di farlo solo con la piena benedizione della Guida Suprema iraniana, Ali Khamenei, e dei ‘Guardiani della Rivoluzione Islamica’, l’IRGC, durante il suo primo mandato presidenziale.
Quando i poteri di entrambi sono stati minacciati dal JCPOA nel corso della sua evoluzione dopo i primi quattro anni di Rouhani, l’accordo era effettivamente morto da parte iraniana. In questo senso, quindi, non c’è alcuna differenza significativa tra coloro che vengono comunemente dipinti in Occidente come ‘moderati’ o ‘integralisti’ della politica iraniana; l’unica differenza tra i politici è il grado di libertà concesso loro dalla Guida Suprema e dall’IRGC in un determinato momento. Inoltre la rappresentazione dei politici iraniani come moderati o integralisti è stata incoraggiata dall’IRGC come stratagemma per far leva sull’Occidente per ottenere determinate posizioni negoziali e determinati accordi, facendo leva sui suoi timori di ‘rafforzare ulteriormente gli integralisti’ o di ‘minare i moderati’.
Al centro dei principi guida di tutta la politica iraniana di alto livello c’è il concetto di Velayat-e-Faqih, il che significa che tutta l’autorità politica e religiosa seria è affidata al clero sciit, che prende tutte le decisioni chiave per l’Iran, a condizione che siano state approvate dalla Guida Suprema, e questo viene poi applicato dai Guardiani della Rivoluzione del 1979, l’IRGC. Anche chi appare moderato in realtà proviene dalla stessa struttura e ne viene approvato. Non esiste una vera rottura ideologica all’interno del governo iraniano e le rotture sono solo superficiali e perfino costruite.
Il Majlis – il Parlamento iraniano composto da 290 membri – è una camera eletta, ma i suoi poteri reali sono limitati alla determinazione di questioni non essenziali, sebbene anche queste decisioni possano essere annullate dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione, che approva tutta la legislazione. A sua volta, questo organo di 12 membri agisce come un supervisore costituzionale generale, con la metà dei suoi membri che sono sempre teologi sciiti scelti direttamente dalla Guida Suprema stessa. Gli altri sei membri sono avvocati selezionati dal capo della magistratura, che a sua volta è nominato direttamente dalla Guida Suprema. Questo fa comprendere che l’idea di democrazia rappresentativa iraniana non è esattamente quella Occidentale, ma neppure quella di molti paesi in via di sviluppo.
L’ultimo elemento di predeterminazione nelle prossime elezioni presidenziali iraniane è il processo di preselezione dei ‘candidati idonei’ per la posizione da parte di un organismo sul quale nessuno, eccetto la Guida Suprema, ha alcuna autorità: il Consiglio di discernimento di opportunità del Sistema. Il Consiglio di Presidenza vaglierà tutti i candidati e poi trasmetterà l’elenco al Consiglio dei Guardiani, che pubblicherà la rosa ufficiale poco prima della data delle elezioni.
Il defunto Presidente Raisi era quello che l’Occidente definisce un integralista, ma non sono sue le decisioni di sviluppo delle armi o di politica estera, come gli aiuti agli houthi o a hezbollah. Queste decisioni chiave continueranno ad essere prese dalla Guida Suprema in conferenza con l’IRGC.
Detto questo, una nomina molto più importante per il futuro dell’Iran potrebbe arrivare dalla sostituzione di Raisi nell’Assemblea degli Esperti, che è il gruppo che sceglierà la nuova Guida Suprema quando l’anziano Khamenei, 85 anni, verrà a mancare. Khamenei guarda a suo figlio, Mojtaba, per sostituirlo come Guida Suprema, e potrebbe essere nominato nell’Assemblea degli Esperti nell’occasione dell’elezione presidenziale. Questo non faebbe alto che però accentuare la concentrazione dei poteri nelle mani di un numero ristretto di clerici e di membri della IRGC.
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