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Intervista di AD a Paolo Becchi: le 2 idee di Europa e le sfide per il M5S

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Da l’AntiDiplomatico

Le due idee di Europa e le sfide per il M5S. L’intervista a Paolo Becchi

Le due idee di Europa e le sfide per il M5S. L'intervista a Paolo Becchi

 

  

“L’idea di Europa che non rinuncia alle diversità nazionali è l’unica opzione percorribile per evitare degenerazioni non controllabili in un futuro prossimo”

di Alessandro Bianchi

Paolo Becchi. docente di Filosofia del Diritto all’università di Genova. Autore di Nuovi scritti corsari. Meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine (Adagio) e “Colpo di stato permanente” (Marsilio).

 
– Professore, negli ultimi tempi ha preso una posizione molto forte a sostegno di una futura alleanza in Europa del Movimento 5 Stelle con l’Ukip di Nigel Farage, che però viene descritto dalla stampa italiana più o meno come il nuovo partito nazionalsocialista tedesco. Come spesso anche in passato, i suoi interventi hanno creato reazioni molto virulente da parte del mainstream. Perché secondo lei l’Ukip sarebbe una buona scelta per il Movimento 5 Stelle e cosa vuole rispondere a chi l’attacca?
 
Sul caso Ukip, dopo che ho visto tutti i giornali italiani utilizzare assolute falsità per strumentalizzare l’incontro tra Grillo e Farage a Bruxelles ho voluto dire la mia. Quello che mi è sembrato più incredibile è come i media italiani continuino a disinteressarsi in modo omertoso di quello che l’Unione europea sta facendo in Grecia, il topo da laboratorio della Troika per tutti i paesi del sud, o di come non sembri interessargli affatto il 46% di disoccupazione giovanile in Italia e il 56% in Spagna prodotte dalle insostenibilità economiche di un’unione monetaria fallimentare e fallita, e, ancora, come non mettano mai in discussione un sistema economico-finanziario in cui la deflazione rappresenta solo l’ultimo tassello di una tempesta perfetta studiata a tavolino per costringere intere popolazioni alla povertà di massa, alle privatizzazioni selvagge e alla rinegoziazione dei diritti sociali acquisiti dopo decenni di lotte. Tutto questo per la stampa italiana non esiste, ma si scandalizza poi se Beppe Grillo decide di accettare l’invito del capo di un altro partito ad avere un incontro interlocutorio. E’ incredibile. Proprio perchè io ritengo che il Movimento 5 Stelle, al contrario, debba sfidare apertamente il regime imposto da Berlino, Francoforte e Bruxelles, l’alleanza con Farage, l’unica vera opposizione dell’ultima legislatura Europea, sarebbe, dal mio punto di vista, la migliore soluzione.  
 
– Non vi è dubbio però che l’Ukip abbia un programma interno con differenze sostanziali rispetto a quello del Movimento 5 Stelle. E’ possibile trovare un piano d’azione condiviso in Europa?
 
Sulle trattative con l’Ukip due sono i punti che l’opinione pubblica deve comprendere bene: da un lato, a differenza di quello che è accaduto in Italia, un’alleanza per la formazione di un gruppo parlamentare in Europa per il Movimento 5 Stelle in Europa è necessaria. Il regolamento interno del Parlamento Europeo impedisce agli eurodeputati non facenti parte di un gruppo di svolgere quasi tutte le funzioni. In questo quadro, tra tutte le alternative che il Movimento 5 Stelle può percorrere, l’Europe of Freedom and Democracy (EFD) presieduto da Farage permette alle delegazioni nazionali, a differenza di altri gruppi del Parlamento Europeo, di votare come ritengono opportuno secondo la propria ideologia e le proprie preferenze politiche e di interesse nazionale. In altre parole, il Movimento 5 Stelle potrà sempre su decisioni non in linea con il suo programma interno, ad esempio la politica energetica, esprimere un voto contrario.  Ma il punto che troppo spesso sfugge è che abbracciare un progetto comune, soprattutto di lotta, in Europa non significa condividere posizioni di politica interna e proprio per questo il regolamento dell’EFD sarebbe perfetto. Certo che ci sono differenze sostanziali nei programmi che il Movimento 5 Stelle e l’Ukip applicherebbero nei loro paesi se dovessero arrivare al potere. Ma affinchè i governi nazionali possano tornare a incidere positivamente sulla vita dei propri cittadini devono prima riappropriarsi del potere, che oggi non hanno, di farlo. E’ una lotta di sovranità e nessuno come l’Ukip l’ha portata avanti in questi anni. 
Aldilà di tutto, tuttavia, bisogna ancora vedere se l’Ukip riuscirà a costituire un gruppo parlamentare autonomo, poiché è necessaria la partecipazione di partiti di almeno sette paesi diversi. E, da questo punto di vista, è da seguire con molta attenzione quello che deciderà di fare il partito euroscettico tedesco Alternative für Deutschland (AFD) – la sola opposizione in Germania alle politiche di Angela Merkel – che sta cercando un accordo tutt’altro che scontato con l’ECR (European conservative and Reformist Group). Il Movimento Cinque Stelle dovrebbe preparare un piano B, che, escludendo ovviamente alleanze con PPE e PSE, responsabili dello sfacelo europeo, miri a un accordo con un gruppo che garantisca la stessa libertà di azione offerta da Farage e non lo faccia finire in gruppi che sono caratterizzati in forte maniera ideologica. Non sono molto informato in materia, ma credo che il gruppo ECR offra le stesse garanzie dell’Ukip e non sia caratterizzato ideologicamente.
Beninteso, la decisione ultima spetterà agli iscritti del Movimento 5 Stelle ai quali dovranno essere presentate le diverse opzioni sul tappeto. Una cosa dovrebbe però essere chiara: il restare fuori da tutti i gruppi fa perdere qualsiasi possibilità di incidere sui lavori parlamentari. E alla falsa accusa dei media rivolta ai “grillini” in Italia “non fanno niente” se ne aggiungerebbe un’altra: “non fanno niente neppure in Europa”. Non entrare in nessun gruppo condanna all’impotenza e tanto varrebbe fare le valigie e tornarsene subito a casa.
 
– Secondo i media sarebbe però il gruppo dei Verdi che dovrebbe rappresentare la prima opzione per il Movimento Cinque Stelle. È davvero un’alternativa credibile?
 
Un’apertura forte nei confronti dei Verdi europei è stata fatta da parte del Movimento Cinque Stelle in questi giorni. E questo anche se in più occasioni i principali esponenti di quel gruppo avevano escluso, prima delle elezioni del 25 maggio, un’alleanza futura, utilizzando anche espressioni di insulto diretto. I Verdi hanno però chiuso la porta in faccia al Movimento, giudicando non tollerabile l’incontro con il “mostro” Farage, ma in realtà il motivo del rifiuto è un altro ed è palese: con 17 eurodeputati il Movimento 5 Stelle sarebbe la forza dominante nel gruppo e sarebbe in grado di mettere in discussione l’egemonia dei Verdi tedeschi. 
Ai Verdi italiani, che mi accusano di falsità, vorrei ricordare che hanno fatto tabula rasa dell’ambientalismo italiano negli anni in cui sono stati al potere e in cui hanno anche gestito il Ministero dell’Ambiente con Alfonso Pecoraro Scanio. Sono per questo giustamente scomparsi per la loro inconsistenza e non rappresentano più nulla della società civile italiana, con tutte le tematiche ambientali e della sostenibilità ecologiche che sono ora identificate con il Movimento 5 Stelle. Per quel che riguarda i Verdi tedeschi, l’unica forza consistente del gruppo europeo, vorrei ricordare come le origini siano state assolutamente nobili e per molti versi simili a quelle del Movimento 5 Stelle. Ma con l’alleanza con i socialdemocratici di Schroeder, in due diversi governi dal 1998 al 2005, il partito ha subito una metarmofosi che ha liquefatto l’effetto dirompente che si prefiggeva alle origini. I Verdi al governo in Germania hanno avallato, tra le altre cose, la guerra in Kosovo nel 1999 e le famigerate riforme del lavoro Hartz, che rendono un’assoluta dilettante in materia perfino la Thatcher.  Inoltre, Cohn Bendit, dal 2002 co-presidente del Movimento Verdi Europeo, è passato dall’estremismo come rimedio alla malattia senile del comunismo delle sue lotte giovanili alla difesa di tutte le guerre imperialistiche della Nato in Bosnia, Afghanistan, Iraq, Libia. E se fosse stato per lui si sarebbe dovuto intervenire anche in Siria. 
Ma, infine, quello che mi lascia più perplesso sul gruppo dei Verdi è l’apologia che si fa nel loro programma del progetto europeo e della moneta unica. L’obiettivo sarebbe quello degli Stati Uniti d’Europa, per il quale devono impegnarsi tutti gli aderenti a questo gruppo. L’economista francese Jacques Sapir ha stimato, e sono calcoli ottimistici rispetto ad altri studi, che un bilancio federale costerebbe alla Germania circa il 10% del suo Pil, oltre 200 miliardi di euro l’anno. Si tratta di una follia pensare che Berlino possa arrivare a un sacrificio del genere e continuare a ritenere credibile l’opzione di federalizzazione del continente nella devastazione economica e sociale dell’Europa rende i Verdi un semplice puntello del regime imposto a Bruxelles da PPE a PSE. Da originaria forza antisistema sono diventati oggi parte integrante del sistema o, nella migliore delle ipotesi, l’unica forma di opposizione tollerata e voluta dal regime.
 
 – Che cosa accadrà secondo Lei nel nuovo Parlamento europeo dove siederanno un numero consistente di forze ostili al progetto di integrazione europeo così come è stato imposto fino ad oggi alle popolazioni?
 
Nel nuovo Parlamento europeo si scontreranno due idee di Europa. Quella degli Stati Uniti d’Europa, che oggi significa la prussianizzazione della periferia della zona euro ed è questo che dichiarano di volere i Verdi; oppure la rinegoziazione di tutto questo processo iniziato con l’imposizione del trattato di Maastricht e dell’euro alle popolazioni, con l’obiettivo di un ritorno di un’idea di Europa che valorizzi le diverse nazionalità.
Negli anni ’90  in Germania si era aperto il dibattito filosofico-giuridico tra Habermas e Grimm sulla Costituzione europea. Gli euroscettici che consideravano un danno per la democrazia la trasformazione dell’Unione Europea in un’unità politico-costituzionale – poiché la democrazia ha schmittianamente bisogno di omogeneità, di identità – si scontrarono con una nuova forma di “patriottismo costituzionale”: quella sostenuta da Habermas con la sua idea della “costellazione postnazionale”. Che ne pensino i filosofi, il progetto è naufragato miseramente. E questo semplicemente perché non è realizzabile. Vorrei ricordare al riguardo ancora una volta la lungimiranza di Rawls, le cui parole devono essere impresse nella memoria di chi ha a cuore il futuro del progetto europeo: «Un punto sul quale gli europei dovrebbero interrogarsi riguarda […] quanto lontano vogliono che si proceda con la loro unificazione. Mi sembra che molto andrebbe perduto se l’Unione europea diventasse un’unione federale come quella degli Stati Uniti. In quest’ultimo caso, infatti, esiste un linguaggio condiviso del discorso politico e una completa disponibilità a passare da una all’altra forma di Stato. Inoltre, non sussiste un conflitto tra un ampio e libero mercato comprendente tutta l’Europa, da una parte, e dall’altra i singoli Stati-Nazione, ciascuno con le proprie istituzioni, memorie storiche, e forme e tradizioni di politica sociale. Sicuramente questi elementi sono di grande valore per i cittadini di tali paesi, poiché danno senso alle loro vite. Un ampio mercato aperto che includa tutta Europa rappresenta l’obiettivo delle grandi banche e della classe capitalista, il cui principale obiettivo è semplicemente quello di realizzare il più alto profitto. […] Non posso credere che ciò è quanto desiderate».
L’idea di Europa che non rinuncia alle diversità nazionali è l’unica opzione percorribile per evitare degenerazioni non controllabili in un futuro non lontano. I governi nazionali devono riappropriarsi della sovranità fiscale, monetaria e valutaria per tornare a incidere positivamente sul benessere delle loro comunità e non essere, come avviene oggi, semplici passacarte o viceré di decisioni criminali prese a Berlino, Bruxelles e Francoforte.

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