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Intervista di Paolo Savona al Deutsche Wirtschafts Nachrichten

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Pubblichiamo la traduzione in italiano dell’intervista concessa dal Prof. Paolo Savona al Deutsche Wirtschafts Nachrichten 

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  1. Quando l’euro fu introdotto come moneta unica l’Italia – sembra – lo voleva a tutti i costi. Perché?

La caduta del comunismo sovietico e l’azione della magistratura nota come “mani pulite” condusse alla crisi dei partiti che avevano guidato con successo l’Italia postbellica. Il Paese ne uscì frastornato. La firma del Trattato di Maastrich, euro incluso, venne presentata come l’ancoraggio dell’Italia a un sistema civile migliore del nostro e a un’economia sociale di mercato che avrebbe trainato anche la nostra crescita e occupazione (il documento Delors ne è chiara testimonianza). I gruppi dirigenti del Paese (della politica e dell’economia), pur divisi tra quelli che era mossi da ideali europeisti (stile documento di Ventotene) e quelli che, avendo perso la fiducia di un’Italia migliore, spinsero non solo a firmare il Trattato ma anche, anni dopo, all’ingresso nell’euro “a ogni costo”. Solo poche voci si alzarono contro, affermando che l’architettura europea era imperfetta e chiedendo una più meditata valutazione dei costi-benefici, ma furono emarginati dalla vita politica, bollati di incapacità a capire l’importanza del mercato unico con moneta unica.

  1. L’Euro-zona è colpita da tante crisi. Crisi dei debiti pubblici, crisi delle banche, “salvataggi” continui, continui interventi della Banca Centrale Europea. Possiamo ancora parlare di crisi o questo è diventato uno stato delle cose al quale ci dobbiamo abituare?

Se c’è una cosa alla quale gruppi i dirigenti di un Paese degni di questo nome non si devono abituare sono le crisi, anche perché l’economia e la politica non sono statiche e prima o dopo le crisi diventano crollo del sistema istituzionale od occasione di ripresa.

  1. Se potesse scegliere tre possibilità: a) L’euro continua a essere tale e quale è al momento. b) L’Italia esce dall’euro. c) La Germania esce dall’euro, quale preferirebbe? Ci può dare i pro e i contro di ognuna di queste tre possibilità?

Nessuna delle tre possibilità mi sembra percorribile perché la prima è contro ogni logica economica, la seconda sarebbe disastrosa per l’Italia e la terza traumatica per l’UE. L’unica possibilità che vedo è che i paesi deboli, come l’Italia, accettino il degrado e l’Europa riformi la sua architettura monetaria e fiscale. Allo stato attuale delle cose, la prima soluzione mi sembra quella che si delinea. L’esempio della Grecia è significativo.

  1. Il Movimento 5 Stelle vorrebbe un referendum sull’euro in Italia. Crede che sia una richiesta legittima oppure sarebbe una materia troppo complessa da fare decidere alla gente?

La nostra Costituzione vieta il referendum sui trattati internazionali e la Corte Costituzionale, il cui parere è obbligatorio, non lo potrebbe approvare. In democrazia nessuna materia, per complessa che sia, può essere sottratta alla volontà popolare. Chi la pensa così non è un democratico e oggi ce ne sono molti in giro.

  1. Nel caso che l’Italia decidesse di uscire dall’euro, che succederebbe con il debito sovrano italiano e le pretese della Bundesbank risultanti dal sistema Target 2?

Il debito perderebbe una buona parte del valore di mercato, salvo che lo Stato italiano non offrisse a garanzia i suoi beni pubblici, ivi inclusi quelli artistici. Il nostro patrimonio è immenso, ma prevedere come reagirebbero i possessori del debito è impossibile. La storia economica insegna che in caso di default parziale o totale nascono lunghe negoziazioni tra Stati dominati da condizioni, anche contingenti, di geopolitica in questo momento assai confuse. La Germania Ovest ebbe concessioni enormi sul suo debito nel dopoguerra per mantenerla nell’area occidentale. I crediti vantati dalla Germania sul Target 2 possono invece non essere onorati, al di là della quota dell’Italia nel capitale dell’Eurosistema. In origine i saldi dovevano essere saldati entro 24 ore. Fu un errore modificare questo vincolo per consentire alla Germania un surplus ingente sulla bilancia corrente estera. Qualunque sia lo sbocco della crisi, occorrerebbe fin d’ora scrivere un Piano B, di uscita, che ho insistentemente richiesto e che, almeno con il silenzio, viene respinto. Il caso dell’applicazione dell’art. 50 per la Brexit indica l’impreparazione grave dell’Europa su ogni suo aspetto del funzionamento. Non si agisce, ma solo si regisce. Male.

  1. La Cancelliera tedesca Merkel ha detto che nel caso che fallisca l’euro fallisce l’Europa. Crede che abbia ragione? O potrebbe essere vero anche il rovescio? Se ci aggrappiamo all’euro a tutti i costi fallisce l’Europa?

Credo abbia pienamente ragione. Non esiste alternativa a una riforma profonda dell’architettura europea; questa richiede innanzitutto una BCE con lo Statuto della FED americana e una politica fiscale volta a rimuovere i divari di produttività tra paesi. Sono queste le due condizioni di sopravvivenza dell’euro che mancano.

  1. Osserviamo che ci sono forze centrifughe che non sono disposte ad accettare una maggiore integrazione politica europea. Ultimamente abbiamo avuti il BREXIT. In Francia il Front National sta diventando sempre più forte. Altri politici come Jean-Claude Juncker vogliono invece usare la crisi per trasferire più potere a Bruxelles. Che ne pensa?

L’assenza di una volontà di riunificazione politica è il vizio che mina la costruzione europea, in particolare l’euro; il vecchio mercato unico europeo aveva ben funzionato senza la moneta unica. Questo vizio intrinseco era chiaro fin dal Trattato di Maastricht. Il Regno Unito fu il firmatario più corretto e lo disse subito chiedendo e attivando la clausola dell’opting out. La Francia, sempre contraria, ha taciuto, ma ha rivelato la sua volontà contraria respingendo la Costituzione preparata dal duo Amato-Giscard d’Estaing. La Germania Ovest ha taciuto la sua assenza di volontà in direzione dell’unione politca, per portare a casa la riunificazione con la Germania Est, per giunta ottenendo vantaggi prima, con l’euro istituzionalmente “zoppo” (come lo definisce uno dei Padri, l’ex Presidente Ciampi), e anche dopo, violando i parametri di Maastricht. Il trasferimento di sovranità fiscale senza unificazione politica aggiungerebbe un nuovo fardello che dividerebbe l’UE tra paesi sovrani e colonie. Non farebbe che alimentare la crescita dei partiti anti europei.

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  1. Parlando di geopolitica: non sarebbe importante per l’Unione Europea avere una valuta di una importanza mondiale, un contrappeso al dollaro?

Sarebbe importante se avesse una politica nei confronti del dollaro, cosa che non ha, né intende avere, poiché i poteri sul cambio non spettano alla BCE, un’altra delle sue limitazioni, ma al combinato disposto della Commissione e del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo che non sono in condizioni di gestirli con il consenso e la dinamica necessari. L’Eurozona potrebbe solo spingere per una diffusione dei Diritti Speciali di Prelievo, anch’essi riformati; ma non lo fa, perché la rappresentanza presso il FMI è ancora dei singoli paesi-membri dell’UE, che non la pensano allo stesso modo. Questa è una vera ridicolaggine dell’architettura monetaria europea: unita all’interno e divisa all’estero.

  1. Come ex-ministro dell’industria come vede le sanzioni contro la Russia? Quali sarebbero le ragioni geopolitiche per queste sanzioni?

Una miopia geopolitica che l’UE ha accettato con danni per tutti. La politica estera degli Stati Uniti sta causando danni gravi ai paesi che commerciano con la Russia e rilanciando Putin come protagonista geopolitico. E’ un ennesimo esempio di una cooperazione internazionale che viene meno, quando maggiore è il bisogno.

     10. D’altra parte la Commissione Europea ed alcuni politici – tra loro la Merkel –            vorrebbero implementare il TTIP il più presto possibile. Solo una questione di            economia o anche di geopolitica?

Finché il dollaro è uno standard monetario  free rider che si muove in un mercato dove operano paesi con regime di cambi fissi, dirty e floating , una vera confusione, le parità monetarie riflettono le politiche monetarie dei paesi leader e degli speculatori internazionali, non i terms of trade, la capacità di competere dei diversi paesi. Un TTIP senza una politica del dollaro perpetuerebbe le attuali condizioni di unfair competition tra paesi.

        11. Secondo lei tutte queste pretese della grande industria e della finanza sono                 compatibili con un sistema democratico?

Non sono compatibili con un sistema democratico, ma ancor prima con un sistema di libertà individuali che convivano con le libertà sociali. L’equilibrio tra libertà individuali e sociali raggiunto nell’area occidentale poggiava su una democrazia, uno Stato e un mercato funzionanti. Ora, con la globalizzazione e la finanziarizzazione delle economie e delle politiche, la triade istituzionale è affetta da inconciliabilità. Alcuni sostengono che gli Stati westfaliani sono morti, altri che è defunto il mercato competitivo e altri ancora che debba essere sacrificata la democrazia. Sembra prevalere questa terza soluzione. Lo considero un dramma per il livello di civiltà raggiunto dall’uomo con grandi sacrifici.

 

 

 

 

 

 

 

 


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