Il gruppo Arcelor -Mittal non si è fatto sicuramente benvolere a Taranto. Prima i 1500 lavoratori in cassa integrazione , quindi, proprio di ieri, l’annuncio che, se il sei settembre cesserà lo speciale regime di immunità penale concesso dai precedenti governi e non confermato con il DL Crescita, la fabbrica tarantina chiuderà con il relativo licenziamento per 8600 operai.
Il primo punto è chiaramente di pessime relazioni sindacali: la proprietà ha deciso la CIG in modo completamente autonomo, senza nessuna contrattazione e neppure comunicazione preventiva né al MISE né ai sindacati, che lo hanno appreso dalla stampa. Insomma capisco che siano nordici ed indiani, ma un po’ di educazione non guasta, anche per capire come questo si inserisce nella strategia aziendale: si tratta solo di una temporanea fluttuazione per esigenze di mercato, una riduzione semi permanente o un passo per una riconversione dell’impianto?
Invece, per quanto riguarda il tema dell’immunità penale, la questione si fa spessa e ci riporta ai tempi dei Riva. Chiaramente manager di ArcelorMittal hanno ben chiaro quello che è successo alla famosa famiglia dell’acciaio italiana, ora convertitasi completamente all’elettrosiderurgia, ma precedente proprietaria di Taranto dopo averla acquistata dallo Stato. Nel 2013 la proprietà enne accusata di disastro ambientale, due membri della storica famiglia inquisiti e condannati, l’acciaieria espropriata senza alcun rimborso, il gruppo messo in seria difficoltà. La dirigenza di ArcelorMittal è ben conscia di questo problema, tanto che già nel 2018 il CEO Geert Van Poelvoord affermò:
“Pensate che io sia in grado di convincere il nostro management e i nostri ricercatori a venire qui e a dare una mano all’Ilva quando qualcuno dal primo giorno gli dice “attenti perché appena arrivati in Italia vi mettiamo in galera?” Del resto si tratta di inadempienze che derivano dai tempi della proprietà statale, anche se poi i successivi gestori non si sono rotti la schiena per realizzare dei miglioramenti, ed effettivamente non si può sistemare tutto in un giorno. Nello stesso tempo bisogna anche mettere in evidenza che non si può neanche ignorare la legge per sempre: prima,meglio che poi,l’impianto dovrà essere a norma, completamente regolare e funzionante, anche perché è uno dei responsabili dell’alta mortalità dell’area, insieme alla centrale elettrica ed all’arsenale militare. Una soluzione deve essere trovata e potrebbe essere di buon senso: un prolungamento dell’immunità limitato in cambio di un processo, controllato e verificato, di messa a norma della fabbrica in ogni suo elemento. Un impegno di ArcelorMittal ad eseguire, ma anche del MISE a controllare, perché tutto questo non rimanga soltanto un pezzo di carta., ed il tutto nella speranza che, una volta cessata l’immunità, non ci sia qualche PM in vena di protagonismo. Perché, diciamolo chiaramente, ILVA è una delle cause dell’alta mortalità dell’area tarantina, non l’unica, e non diventi quindi il capro espiatorio delle inadempienze altrui.