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IL VENEZUELA…E NOI (di Fabio Dragoni)

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Cosa sta accadendo in Venezuela? Le cronache di giornali e TV riportano spesso notizie di disordini e violenze per le strade di un Paese che ha visto avvicendarsi alla sua presidenza non certo campioni della democrazia quali Chavez e Maduro a partire dal  1999. L’economista americano Steve Hanke riportava come il tasso di inflazione fosse alcune settimane fa pari al 5.650%. I supermercati sono vuoti. Mancano generi di prima necessità. E gli euroinomani in servizio permanente effettivo non si lasciano sfuggire la ghiotta occasione: “l’Italia farà la fine del Venezuela col suo bolivar svalutato una volta fuori dall’euro”.  Ma cosa sta veramente succedendo in Venezuela? E davvero l’Italia farebbe la fine del Venezuela una volta tornata alla propria moneta? Rispondiamo a queste due domande senza prima fare a meno di ricordare come l’Italia con la sua lira la fine del Venezuela non l’ha mai fatta. Titolava il Corriere della Sera il 16 maggio 1991 in prima pagina a cinque colonne: “L’Italia quarta potenza”. Mentre il ministro degli esteri De Michelis chiosava: “Italiani più ricchi di francesi ed inglesi”.

Nel 1993 -quasi una anno dopo la svalutazione del 1992- sempre il quotidiano di Via Solferino titolava nella pagina interna dell’economia: “Made in Italy mai così bene” così titolando una corposa intervista all’allora ministro del commercio con l’estero Paolo Baratta.

Il 14 febbraio 1996 -sempre sul Corriere- Danilo Taino commentava entusiasta: “Lira magica unica vera colonna dell’Italia. Se non fosse sottovalutata staremmo tutti un po’ peggio”.

E sempre nel 1996 l’Italia aveva un rating AA da parte dell’agenzia di rating Standard and Poors. Un gradino sotto il massimo dei voti. Praticamente il giudizio che oggi viene dato agli Stati Uniti d’America mentre oggi l’Italia ha un rating BBB. Sufficienza risicata ma molto vicina all’area cosiddetta “non investment grade” ovvero il girone dei debitori il cui rischio di insolvenza è molto alto. Abbiamo quindi storicamente confutato che gli eroici sforzi dei mass media di dipingere il nostro Paese come incapace di governarsi da solo siano semplici bufale o “fake news” come va di moda dire oggi. E lo abbiamo fatto utilizzando le loro stesse parole. Rimane però ancora da capire cosa stia veramente succedendo in Venezuela. Cominciamo con il dire che il Venezuela ha circa 29 milioni di abitanti; grosso modo la metà dell’Italia. Ogni mese produce circa 65.000 tonnellate di acciaio al mese mentre l’Italia quasi 2.2 milioni. Vale a dire oltre 30 volte di più. Due tessuti industriali che non sono quindi minimamente paragonabili. Quasi un posto letto ospedaliero ogni 1.000 abitanti contro i nostri 3,5. Che non sono certo un valore invidiabile rispetto agli 8 della Germania. Il Venezuela ha tuttavia una grandissima ricchezza che il nostro Paese non ha e non potrà avere mai: il petrolio le cui riserve sono le più alte al mondo anche rispetto a paesi come Arabia Saudita o Kuwait. Il ritratto di un Paese che deve quindi importare tutto ciò di cui ha bisogno (generi alimentari e beni di consumo di ogni tipo) e per far questo ha bisogno di valuta estera (dollari soprattutto) che tuttavia può agevolmente procurarsi vendendo il suo oro nero. Ed è proprio qui che sono arrivati i problemi per il Venezuela che nel 2008 –anno di scoppio della grande crisi- registrava un surplus delle partite correnti di oltre 31 miliardi di dollari. Questo era cioè l’ammontare di valuta americana che rimaneva in portafoglio al Venezuela dopo aver pagato tutte le importazioni di cui aveva bisogno. E già nel 2010 questo surplus viaggiava ancora a 16 miliardi di dollari nonostante la profonda crisi seguita alla bancarotta di Lehman Brothers. Ma da quel momento qualcosa si è inceppato e niente ha filato più per il verso giusto. Il prezzo del petrolio ha iniziato inesorabilmente a scendere dagli oltre 130 dollari al barile fino addirittura a 30 per poi aumentare sopra i 60. Le conseguenze per il Venezuela, che ricordiamolo dipende dalle importazioni di beni di consumo non avendo un tessuto produttivo su cui contare (al contrario dell’Italia) non si sono fatte attendere. Nel 2015 ha registrato un deficit nella bilancia dei pagamenti pari a circa 16 miliardi di dollari. Caracas ha dato fondo a tutte le sue riserve. Ha dovuto ovviamente smettere di importare con ciò riportando la bilancia dei pagamenti quasi in pareggio (- 4 miliardi di dollari nel 2016) ma pagando un prezzo salatissimo come dicevamo all’inizio: supermercati vuoti e prezzi alle stelle nonostante il PIL stia crollando di quasi il 20%. La storia –come vedete- insegna due cose:

(1) l’Italia non è mai stata e mai sarà come il Venezuela grazie al suo tessuto produttivo che dobbiamo con le unghie e con i denti difendere uscendo quanto prima dall’assurda gabbia dell’eurozona; (2) la sovranità monetaria -ed il caso del Venezuela lo dimostra- è condizione necessaria ancorché non sufficiente per assicurare prosperità al Paese. Ciò che serve è avere anche un tessuto produttivo sano su cui contare. P.S. dimenticavo! Per chi di voi si stracciasse ancora le vesti per il “macigno del nostro debito pubblico sulle spalle delle future generazioni” ricordo che quello del Venezuela è inferiore al 30% del PIL ed ovviamente quasi tutto in dollari che Caracas non è notoriamente in grado di stampare alla bisogna. Fareste a cambio con loro?


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