Energia
Il “Tallone d’Achille” delle auto elettriche: scoperto il difetto invisibile che uccide le batterie (e il mito del “Low Cost”)
Scienziati USA svelano perché le batterie EV a cristallo singolo si degradano: un difetto nanoscopico ribalta le teorie su Cobalto e Manganese, complicando la strada per l’auto elettrica low-cost.

La narrazione sulla transizione elettrica si scontra spesso con la dura realtà della fisica e della chimica. Mentre i legislatori firmano decreti per mettere al bando i motori termici, nei laboratori di tutto il mondo gli scienziati stanno ancora combattendo con problemi che sembravano risolti, ma che invece si ripresentano sotto nuove forme. L’ultimo “giallo” tecnologico arriva dagli Stati Uniti e riguarda il cuore pulsante dei veicoli elettrici (EV): la batteria agli ioni di litio, e in particolare la sua versione più promettente, quella a singolo cristallo.
Una recente ricerca condotta dall’Argonne National Laboratory e dalla Pritzker School of Molecular Engineering dell’Università di Chicago ha gettato luce su un mistero che affliggeva l’industria: perché le batterie progettate per essere eterne (o quasi) finiscono per degradarsi e creparsi proprio come le loro antenate meno nobili? La risposta risiede in una scala dimensionale invisibile all’occhio umano, ma devastante per il portafoglio dei consumatori ed ha portato alla pubblicazione di un paper su Science .
Il miraggio del “Cristallo Perfetto”
Per anni, l’industria delle batterie ha seguito un dogma preciso. Le batterie tradizionali utilizzano catodi policristallini. Immaginateli come un muro fatto di tanti piccoli mattoni (cristalli) cementati insieme. Durante i cicli di carica e scarica, questi mattoni si gonfiano e si sgonfiano, creando fratture lungo i confini (la malta) tra un cristallo e l’altro. Risultato? La batteria perde capacità, l’autonomia cala e, nei casi peggiori, si rischiano cortocircuiti e incendi. I cristalli policrstallini quindi non apparirebbero, ad un primo studio, una buona soluzione.
La soluzione sembrava ovvia: eliminare la “malta”. L’industria ha virato verso i catodi a singolo cristallo. Se il catodo è un unico blocco monolitico senza confini interni, non dovrebbe esserci nulla che si possa rompere, giusto? Sbagliato.
Nonostante l’assenza dei famigerati “confini di granularità”, punto di partenza abituale per le crepe, queste batterie continuavano a degradarsi, lasciando perplessi ingegneri e chimici. Khalil Amine, Distinguished Fellow all’Argonne, ha riassunto la questione con un pragmatismo che ci piace: “Se le persone non si fidano della sicurezza e della durata delle batterie, non sceglieranno di usarle”. Una verità economica banale, che sfugge però a molti pianificatori centrali.
La scoperta: non è la frontiera, è il disordine interno
Utilizzando tecniche avanzate di raggi X al sincrotrone e microscopia elettronica ad alta risoluzione, il team guidato da Jing Wang ha scoperto che le ipotesi derivate dai materiali policristallini venivano applicate erroneamente ai design a singolo cristallo.
Il problema non è esterno, è interno. Si tratta di eterogeneità della reazione. Per spiegarlo in termini semplici:
- In un catodo a singolo cristallo, diverse regioni all’interno della stessa particella reagiscono a velocità diverse durante la carica.
- Immaginate una spugna che si bagna: se una parte si espande subito e l’altra resta secca e rigida per qualche secondo in più, si creano tensioni interne fortissime.
- Queste tensioni generano fratture che partono dall’interno del cristallo stesso.
Tongchao Liu, chimico dell’Argonne, ha spiegato che “il degrado nei catodi NMC (Nickel-Manganese-Cobalto) a singolo cristallo è governato prevalentemente da una modalità di fallimento meccanico distinta”. In pratica, il materiale si strappa da dentro perché non riesce a gestire la “velocità” chimica differenziata delle sue parti. Non c’è “Elasticità”, per cui il cristallo si frattura.
Il paradosso del Cobalto: l’elemento che non volevamo, ma di cui abbiamo bisogno
Qui la faccenda si fa interessante anche dal punto di vista geopolitico ed economico. La tendenza globale è stata quella di ridurre il Cobalto nelle batterie. Perché?
- Costo: È caro.
- Etica: Viene estratto spesso in condizioni disumane (Congo).
- Tecnica (vecchia scuola): Nei catodi policristallini, il cobalto favoriva le crepe.
La nuova ricerca ribalta completamente questo scenario per le batterie di nuova generazione. I ricercatori hanno testato separatamente batterie nichel-cobalto e nichel-manganese, scoprendo una realtà scomoda:
- Il Manganese, spesso visto come l’alternativa economica, causava maggiori danni meccanici nel singolo cristallo.
- Il Cobalto, al contrario, migliorava la durata, mitigando le tensioni interne e stabilizzando la struttura.
Questo ci porta a una tabella riassuntiva che evidenzia come la scienza dei materiali non sia mai lineare:
Le implicazioni economiche: la “Greenflation” è servita
La scoperta, pubblicata su Nature Nanotechnology, è tecnicamente affascinante, ma economicamente preoccupante per chi sperava in un crollo verticale dei prezzi delle auto elettriche a breve termine.
Shirley Meng, direttrice dell’Energy Storage Research Alliance, ha affermato che “saranno necessari materiali diversi“. Jing Wang ha rincarato la dose: la sfida ora è trovare materiali a basso costo che possano replicare l’effetto stabilizzante del cobalto senza far schizzare i prezzi alle stelle.
Ecco il punto dolente. Se per far durare a lungo una batteria moderna (e renderla sicura) abbiamo bisogno di reintrodurre o mantenere il cobalto — o trovare un sostituto sinteticamente complesso — il costo al kWh potrebbe non scendere con la rapidità prevista dai grafici ottimistici delle banche d’investimento. Il cobalto è costoso. Se la fisica ci dice che il manganese (economico) spacca i cristalli, allora la strada per l’auto elettrica popolare si fa più ripida.
Un bagno di realtà
La ricerca dell’Argonne National Laboratory è un promemoria salutare: l’innovazione non è una linea retta tracciata su un foglio Excel da un burocrate a Bruxelles. È un ciclo di problemi e soluzioni, come ricorda Amine: “Risolvi un problema, poi passi al successivo”.
Tuttavia, questo ciclo richiede tempo e capitali. La scoperta che le batterie a singolo cristallo — su cui molti costruttori hanno puntato per aumentare la densità energetica e la sicurezza — soffrono di questa “eterogeneità di reazione” significa che c’è ancora molto lavoro di ingegneria da fare prima di avere un accumulatore che sia davvero “instancabile”.
Le implicazioni sono chiare:
- Per l’industria: Necessità di rivedere la chimica dei catodi, potenzialmente rallentando la roadmap di rilascio di nuove tecnologie.
- Per i consumatori: La prudenza nell’acquisto di tecnologie di prima generazione è d’obbligo. La svalutazione dell’usato elettrico è legata proprio all’incertezza sulla durata della batteria, e questo studio conferma che i dubbi non erano infondati.
- Per la politica: Forzare la mano su tecnologie non ancora mature porta a inefficienze. Finanziare la ricerca di base (come quella dell’Argonne) è molto più utile che sussidiare l’acquisto di prodotti che potrebbero rivelarsi obsoleti o difettosi prima del tempo.
In conclusione, la fisica ha presentato il conto. Il sogno di una batteria senza cobalto, economica, eterna e sicura non è svanito, ma si è allontanato di qualche passo. Servirà ancora l’ingegno umano, e probabilmente qualche dollaro in più per i metalli rari, per rimetterlo a fuoco.
Domande e risposte
Perché le batterie a singolo cristallo dovevano essere migliori di quelle tradizionali? L’idea di base era meccanica: le batterie tradizionali (policristalline) sono fatte di tanti piccoli grani che, gonfiandosi e sgonfiandosi durante l’uso, si spaccano lungo i bordi. Si pensava che usando un singolo cristallo, privo di questi “confini”, si eliminasse il punto debole strutturale, garantendo una durata molto superiore e una maggiore sicurezza contro i cortocircuiti interni.
Cosa causa la rottura delle nuove batterie a singolo cristallo secondo lo studio? Il problema è la “eterogeneità della reazione”. Anche se il cristallo è unico, al suo interno diverse zone reagiscono chimicamente a velocità differenti durante la carica. Questo crea uno squilibrio: una parte spinge mentre l’altra tira, generando tensioni interne (strain) che lacerano il materiale dall’interno, non dai bordi. È un’autodistruzione causata dalla cinetica chimica irregolare.
Quale impatto ha questa scoperta sul costo delle batterie future? La scoperta suggerisce che il Cobalto, che si cercava di eliminare per ridurre i costi, è in realtà fondamentale per stabilizzare i cristalli singoli, mentre il Manganese (più economico) peggiora le cose. Questo potrebbe frenare la riduzione dei prezzi, costringendo i produttori a usare materiali costosi o a investire pesantemente in R&S per trovare nuovi stabilizzanti sintetici che imitino il cobalto.








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