Economia
Il “Suicidio Industriale” europeo: Ineos chiude in Germania per costi energetici e “Ipocrisia ecologica”
Europa, il “suicidio industriale” è servito. Colosso chimico fugge dalla Germania per i costi energetici folli e accusa: “Le nostre politiche ci stanno distruggendo mentre la Cina avanza”.
Sembra quasi un bollettino di guerra, ma è la cronaca di una crisi economica annunciata. Un altro pezzo dell’industria europea getta la spugna, e lo fa con parole durissime che suonano come un atto d’accusa contro la stessa politica del Vecchio Continente. Il colosso chimico britannico Ineos ha annunciato la chiusura di due stabilimenti a Rheinberg, nel cuore pulsante della Renania Settentrionale-Vestfalia, una delle aree storicamente più industrializzate della Germania.
La motivazione? Semplice e brutale: costi energetici e per le emissioni di “schiaccianti” e una totale assenza di protezione doganale contro “l’afflusso di prodotti chimici a basso costo provenienti dall’Asia”. A farne le spese saranno, nell’immediato, 175 lavoratori, che si aggiungono ai 279 già coinvolti dalla chiusura di un altro impianto a Gladbeck annunciata in estate. Un salasso occupazionale che è solo la punta dell’iceberg.
La diagnosi: “Follia economica e ipocrisia ecologica”, ma così vuole Bruxelles
Le parole più forti arrivano da Stephen Dossett, responsabile della controllata Ineos Inovyn, che non ha usato mezzi termini per descrivere la situazione: “L’Europa sta commettendo un suicidio industriale“. Una dichiarazione che merita di essere analizzata punto per punto:
- Concorrenza Insostenibile: Mentre i competitor negli Stati Uniti e in Cina godono di energia a basso costo, i produttori europei vengono strangolati.
- Politiche Autolesioniste: Secondo Dossett, sono “le nostre stesse politiche e la mancanza di protezioni tariffarie” a mettere le aziende europee fuori mercato.
- Il Paradosso Cinese: I prodotti chimici cinesi, sottolinea l’azienda, sono così competitivi anche perché spesso prodotti utilizzando petrolio e gas russi a basso costo, aggirando di fatto le sanzioni e le politiche europee.
Il risultato è quello che Dossett definisce senza appello “follia economica” e, soprattutto, “ipocrisia ecologica“. Si costringono alla chiusura impianti europei moderni ed efficienti, con standard ambientali elevati, mentre il mercato viene inondato da importazioni prodotte con emissioni molto più alte. In pratica, delocalizziamo la produzione e importiamo inquinamento, perdendo posti di lavoro e autosufficienza industriale. “Questo non è solo follia economica. È ipocrisia ecologica”, ha tuonato il manager.
Un allarme inascoltato che riguarda tutta la Germania
Quello di Ineos non è un fulmine a ciel sereno. È la conferma di un malessere profondo che attanaglia l’intera industria tedesca, un tempo motore d’Europa e oggi in seria difficoltà. L’Associazione dell’Industria Chimica Tedesca (VCI) ha più volte lanciato l’allarme, parlando di una “Germania nazione industrializzata che sta seriamente vacillando”.
Le richieste al mondo politico sono chiare e urgenti, ma sembrano cadere nel vuoto:
- Riduzione dei costi dell’elettricità.
- Sfoltimento di una “burocrazia mostruosa”.
- Stop a una regolamentazione “folle”.
Wolfgang Große Entrup, direttore generale della VCI, ha avvertito che se la politica non interverrà immediatamente, “non perderemo solo stabilimenti e posti di lavoro”. Ciò che è in gioco è il futuro stesso dell’industria, della nostra capacità di produrre beni essenziali, dalle resine per il settore aerospaziale e della difesa (prodotte proprio a Rheinberg) ai prodotti farmaceutici.
La dipendenza da altre regioni del mondo, come la Cina, per materie prime essenziali è destinata ad aumentare, con tutte le conseguenze geopolitiche che ne derivano. Tutto questo avviene nonostante il teorico impegno del governo Merz nel rafforzamento strategico della Germania, che però non può avvenire senza ripudiare radicalmente le varie ipocrisie green europee. Tutto si convertirà solo in un enorme shopping negli USA.
Domande e Risposte per i Lettori
1) Perché l’industria chimica europea non riesce a competere con quella cinese o americana? La principale ragione risiede nel differenziale dei costi di produzione. Mentre negli Stati Uniti l’energia, grazie a risorse come lo shale gas, ha costi molto contenuti, e in Cina la produzione beneficia di normative ambientali meno stringenti e dell’accesso a materie prime a basso costo (come il gas russo), l’industria europea è gravata da prezzi dell’energia elevatissimi e da costi aggiuntivi legati alle politiche sulle emissioni di . A questo si aggiunge la mancanza di dazi che proteggano il mercato interno da importazioni a basso prezzo.
2) Cosa si intende con “ipocrisia ecologica” in questo contesto? Il termine, usato da un dirigente di Ineos, descrive un paradosso: le politiche ambientali europee, molto severe, costringono alla chiusura impianti locali moderni ed efficienti dal punto di vista energetico. Tuttavia, per soddisfare la domanda interna, l’Europa finisce per importare gli stessi prodotti da paesi (come la Cina) dove vengono realizzati con processi produttivi molto più inquinanti. In questo modo, le emissioni globali di non diminuiscono, anzi aumentano, e l’Europa perde posti di lavoro e capacità industriale, mascherando il problema semplicemente spostandolo altrove.
3) Questa crisi riguarda solo il settore chimico o è un problema più ampio per l’industria tedesca ed europea? Sebbene il settore chimico sia particolarmente energivoro e quindi più esposto, la crisi è molto più ampia. Numerosi settori industriali in Germania e in tutta Europa, dalla siderurgia alla produzione di ceramiche e vetro, stanno soffrendo per le medesime ragioni: alti costi energetici, burocrazia eccessiva e concorrenza internazionale ritenuta sleale. L’allarme lanciato dalle associazioni di categoria è generalizzato e si parla sempre più spesso di un rischio concreto di deindustrializzazione per l’intero continente, con la perdita di know-how e posti di lavoro qualificati.
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