Attualità
IL SUICIDIO DELLA DEMOCRAZIA (di Matteo Mariotti)
Domenica 29 marzo saremo chiamati ad esprimerci in merito al referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. La riforma costituzionale prevede la diminuzione del 36,5% dei componenti in entrambi i rami del Parlamento: da 630 a 400 seggi alla Camera, da 315 a 200 seggi elettivi al Senato. Votando SI, si confermerebbe il taglio, votando NO il numero dei parlamentari rimarrebbe immutato.
Se vincesse il SI, sarebbe il suicidio della democrazia, spacciato per “trionfo del popolo contro la casta”.
Riflettiamoci bene un attimo: diminuendo il numero di un gruppo di persone, lo si indebolisce o lo si rafforza? La risposta è lapalissiana: la “casta” ne uscirebbe rafforzata. La riforma infatti avvantaggia i grandi partiti (come ammesso dall’On. Borghi), quelli che hanno a disposizione più risorse economiche, rendendo così impossibile l’emergere di nuove forze politiche popolari, blindando in Parlamento una classe dirigente mediocre, e lontana dagli interessi dei cittadini comuni.
La riforma lascerebbe senza rappresentanza molti territori che oggi hanno la possibilità di eleggere un parlamentare. Sarebbero infatti favoriti i centri abitati più grandi, a discapito dei territori meno urbanizzati. Intere province con poca popolazione, anche se di grandi dimensioni, potrebbero non riuscire ad eleggere un senatore. Emblematico è il caso di Rieti, o della regione Umbria, con 3 deputati e 4 senatori in meno. Nella provincia di Frosinone, che rischia di non avere più né un deputato né un senatore, si è dichiarato a favore del NO anche la sezione locale M5S di Cassino. Vorrei inoltre ricordare che nel referendum del 2016 in merito all’abolizione del CNEL e del Senato, il M5S aveva invitato a votare NO, perché, leggiamo al punto 7 del manifesto, “la riduzione dei costi è ridicola rispetto ai costi per la democrazia”. Mi chiedo quindi perché questo principio oggi non debba essere ancora valido…
La riduzione del numero dei parlamentari era anche inserita nel “Piano di Rinascita democratica” della P2 di Licio Gelli. Riducendo il numero dei parlamentari sarebbe infatti stato più facile per le mafie, le lobby, le multinazionali e i “poteri forti”, corrompere i parlamentari ed indirizzarli a promuovere leggi a favore degli interessi di pochi.
“Eh si però abbiamo troppi parlamentari” tuona l’uomo di strada. La rappresentatività non si misura con il numero assoluto di parlamentari, ma con il rapporto parlamentari per cittadini rappresentati. Se guardiamo alla rappresentatività siamo al 22° posto nell’Unione Europea, con 1,6 parlamentari per 100 mila abitanti. Se passasse la riforma finiremmo all’ultimo posto. I padri costituenti, nel 1948, avevano parametrato il numero dei parlamentari alla popolazione (1 deputato ogni 80.000 abitanti; 1 senatore ogni 200.000). La revisione costituzionale del 1963 ha fissato poi il numero totale a 945 (345 senatori, 600 deputati), corrispondenti oggi a 1 deputato ogni 96.006 abitanti e 1 senatore elettivo ogni 188.424). Siamo dunque un po’ al di sotto della previsione del 1948 per i deputati ed un po’ sopra per i senatori, ma nell’insieme vicini a quel modello. Dopo la riforma spariranno 115 senatori e 230 deputati, portando il numero dei parlamentari da 945 a 600. Per eleggere un deputato non ci vorranno più 96.006 elettori, ma 151.210. Per eleggere un senatore non ci vorranno più 188.424 elettori, bensì 302.420. Il solo costo del referendum supera i 300 milioni di euro, circa sei volte la somma annualmente risparmiata. Si risparmierà sul bilancio statale la somma di 57 milioni di euro annui, lo 0,007% della spesa pubblica italiana, ovvero un caffè all’anno per cittadino (fonte OCPI). A subire i danni, in termini di rappresentanza, saranno soprattutto le minoranze. Il 18 settembre del 1946, con queste parole il Presidente dell’Assemblea Costituente, Umberto Terracini liquidava la questione dei costi della democrazia: “Quanto alle spese, ancora oggi non v’è giornale conservatore o reazionario che non tratti questo argomento così debole e facilone. Anche se i rappresentanti eletti nelle varie Camere dovessero costare qualche centinaio di milioni di più, si tenga conto che di fronte ad un bilancio statale che è di centinaia di miliardi, l’inconveniente non sarebbe tale da rinunziare ai vantaggi della rappresentanza.” Dalle parole dei Costituenti emerge chiaramente come le argomentazioni (oggi abusate) sui costi della politica fossero già superate negli anni ’40. Tagliare quindi drasticamente il numero dei parlamentari significa tagliare la rappresentanza del Popolo italiano in Parlamento e rendere sempre più agevole per i potentati economici controllare le istituzioni e compromettere il processo democratico.
Ne vale la pena…?
Emilio Gentile, docente di storia contemporanea, ci ricorda che anche il Fascismo nel 1929 voleva ridurre il numero dei parlamentari, con l’intento poi di instaurare una dittatura: “la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa” (K. Marx).
Concludo citando, dai verbali dell’Assemblea Costituente, le parole del Presidente stesso, Umberto Terracini: “Quando si vuole limitare l’importanza di un organo rappresentativo, si comincia sempre con il diminuirne il numero dei componenti”. Riflettiamoci.
Il 29 marzo, evita il suicidio della democrazia, difendi la Costituzione, VOTA NO!
Matteo Mariotti
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