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Il referendum abrogativo è debole in logica? (di Giovanni Bottazzi)

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La consultazione referendaria del 17 aprile, denominata volgarmente NO TRIV, pur non raggiungendo lo scopo dei proponenti è valsa a mettere in luce ancora una volta i limiti del metodo adottato nel sistema italiano per il voto nel referendum popolare abrogativo. La successione negli anni delle consultazioni popolari ha evidenziato una tendenza alla disaffezione per l’istituto. Dopo una serie di insuccessi per mancato raggiungimento del “quorum”, a vari livelli della società si manifesta una certa insoddisfazione, si discute dando interpretazioni diverse e prende corpo la proposta di riformare questo metodo di consultazione, in vista anche di prossimi importanti appuntamenti. Tutto questo merita qualche riflessione analitica.

Come previsto dall’art. 75 della Costituzione, secondo il metodo del “quorum” pari al 50% dei voti +1, la proposta soggetta a referendum è approvata solo se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

A ben vedere, la singolarità del metodo sta nel fatto di comportare una disparità di opzioni per chi vota pro e per chi vota contro. Il primo ha una sola modalità a disposizione: votare, e votare Sì; il secondo invece ha a disposizione, oltre al voto No, un’altra opzione: astenersi e cercare di rendere nulla la consultazione per mancato raggiungimento del quorum. Anzi, a guardar bene è quest’ultima l’opzione più forte, come dimostra il seguente paradosso.

Poniamo in ipotesi per semplicità che gli aventi diritti al voto siano 100, cosicché il quorum sia 50+1 = 51. Se i Sì risultano 50, e nessuno si è presentato a votare No, il quorum non è raggiunto, il referendum non passa e vince il No. Se invece un elettore contrario, ignaro della situazione che sta verificandosi, va al voto e vota No, il suo voto finisce per far vincere il Sì. Infatti in tal caso il quorum è raggiunto. La percentuale di Sì sul totale dei voti espressi è allora di 50 su 51, ossia di oltre il 98%, peraltro per nulla significativa: infatti non è noto il vero numero dei contrari, non è noto se tutti gli astenuti corrispondano a voto contrario o a semplici disinteressati.

Sembra dunque paradossale che un solo voto, e per giunta contrario, possa rovesciare il risultato del referendum. Si noti inoltre che un solo soggetto contrario avrebbe rispettato il “dovere civico” di esprimere il suo voto, come esprime la Costituzione all’art. 48; un dovere civico che il metodo del quorum fa cozzare contro il risultato pratico del suo voto… Evidentemente, un dovere civico che dev’essere riferito correttamente alle sole alle votazioni politiche normali, non a quelle referendarie.

La debolezza della logica espressa nel metodo referendario del quorum, o forse addirittura la sua incoerenza, presenta anche altri aspetti anomali. Per esempio, contraddice la regola del silenzio assenso, secondo cui chi tace acconsente, ossia dice sì. Nel caso del referendum, infatti, il silenzio dell’astenuto dal voto ha invece il significato di dissenso, No. Inoltre, nel numero degli astenuti il metodo non distingue e non fa emergere chi è davvero contrario e si è voluto esprimere con l’astensione da chi invece si è astenuto solo per disinteresse e pigrizia.

La soglia minima del 50%, stabilita dal Costituente per gli interessati all’abrogazione di una norma di legge ordinaria che si siano espressi comunque, in un senso o nell’altro, ha funzionato bene per un certo numero di anni in cui l’entusiasmo per il voto popolare aveva sostenuto il sistema e nascosto il problema, che ora invece si presenta: perché ricomprendere nel conteggio anche i voti contrari? Anzi, il punto è: perché prevedere anche il voto contrario, se si contano i favorevoli alla proposta referendaria?

A mio avviso uscire dalla situazione paradossale ipotizzata prima esigerebbe di decidere in uno dei due modi seguenti, entrambi di difficile attuazione:

  • si vota espressamente solo per il Sì, oppure ci si astiene;
  • se si consente il voto anche al No, come attualmente, si deve eliminare la soglia del quorum, ritornando alle regole della normale competizione politica.

Nel primo caso la soglia del 50% degli aventi diritto al voto può magari giudicarsi troppo alta, e si può pensare di abbassarla. Se invece si lascia il voto anche al No, l’attuale situazione paradossale persiste qualunque sia la soglia stabilita per il quorum, anche se si decide di abbassarla rispetto a quella attuale. Anzi, in tal caso il problema si aggrava.

Vita sempre difficile per i referendum popolari…


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