Analisi e studi
Il processo on-line è la morte della giustizia (di P. Becchi e G. Palma su Libero del 6 maggio)
Articolo a firma di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero del 6 maggio 2020:
Le dichiarazioni di Nino Di Matteo sulla sua mancata nomina al Dap hanno messo in seria difficoltà il ministro della giustizia Bonafede, che si sarebbe rimangiato la parola con Di Matteo preferendo al suo posto Basentini. In questo passaggio, stando ad alcune ricostruzioni, ci sarebbero forse alcuni veti posti da parte dei boss stragisti, che non vedevano di buon occhio l’intransigente Di Matteo in un posto chiave come l’amministrazione penitenziaria. Tutto da verificare, ma certo inquietante. Reale è invece la devastazione della giustizia, operata dal Ministro.
Fino al 30 giugno 2020, me non è escluso che il governo provi gusto a prorogare ulteriormente il termine, la giustizia è diventata esclusivamente online. Il decreto-legge “Cura Italia” (DL n. 18/2020), convertito in legge dal Parlamento poche settimane fa (Legge n. 27/2020), prevede una rivoluzione tanto nel processo civile che in quello penale.
Nel processo civile tutti gli atti (compreso quello introduttivo del giudizio) dovranno essere obbligatoriamente depositati in via telematica, con pagamento telematico del contributo unificato e dei diritti (un regalo alle banche ad ogni transazione), mentre il giudice dovrà svolgere le udienze da remoto, in videoconferenza. A parte le difficoltà tecniche, talvolta allucinanti, sarà complicato far valere da una telecamera le ragioni del proprio assistito, mancando il rapporto e il dialogo umano sia tra avvocati che tra avvocati e giudici, elemento imprescindibile per una giustizia che non voglia essere macchina. Le cause civili, in buona parte, si risolvono nei corridoi del tribunale con accordi tra avvocati, per la felicità dei giudici e delle parti. Soprattutto delle parti, che risparmiano i costi del prosieguo del giudizio. L’Italia è, sin dal 2014, uno tra i Paesi più avanzati in Europa nella digitalizzazione del processo civile. Sono già sei anni infatti che esiste l’obbligo per gli avvocati di deposito telematico di tutti gli atti endoprocessuali (interni al processo), quindi del tutto irragionevoli sono state sia l’estensione dell’obbligo telematico ai depositi degli atti introduttivi del processo, sia lo svolgimento delle udienze da remoto, giusto per complicare la vita alla difesa.
La legge di conversione del “Cura Italia” ha previsto le udienze da remoto – in videoconferenza – anche per i procedimenti penali, violando espressamente alcuni principi del codice di procedura penale, su tutti la formazione della prova in aula (cioè nel corso del dibattimento), l’oralità del processo e la sua immediatezza. Ma non solo. Ad essere violato, più in generale, è il diritto di difesa, non potendo l’avvocato godere della fisicità e dell’oratoria necessaria per far valere i diritti inviolabili dell’imputato. Non si può mica pretendere l’oratoria o la gestualità tipica dei difensori in videoconferenza? Sarebbe una barzelletta. Il governo sembra proprio aver dimenticato l’inviolabilità della difesa sancita dall’art. 24 della Costituzione. L’ultimo decreto-legge del governo, quello sull’App Immuni (DL n. 28 del 30 aprile 2020), ha messo una pezza escludendo dal processo penale in videoconferenza la fase della discussione (requisitoria e arringa) e le udienze in cui è prevista la presenza di periti e testimoni. Ben poco a dire il vero, anche perché in questo modo viene comunque negato all’imputato il principio dell’immediatezza, cioè prendere decisioni fondamentali per la linea difensiva all’ultimo momento e davanti al giudice. Capita spesso infatti che gli imputati mutino scelta del rito processuale direttamente in aula, all’ultimo momento, così come conferiscono procura speciale al difensore poco prima dell’apertura del dibattimento. Sono diritti inviolabili. Col processo da remoto, invece, l’imputato che si recasse in tribunale col foglio della convocazione, non troverà nessuno e sarà dichiarato assente.
Queste nuove disposizioni, in buona sostanza, sottraggono al processo – sia civile che penale – il requisito fondamentale della dimensione umana della giustizia.
C’è un altro problema, il rinvio delle udienze. La sospensione dei termini processuali e di prescrizione dal 9 marzo all’11 maggio 2020 ha fatto sì che le udienze (civili e penali) di questi due mesi siano state in gran parte rinviate a luglio, in parecchi casi dopo l’estate. Ci sono addirittura udienze rinviate a dicembre, se non addirittura al 2021, anche udienze particolarmente sensibili come ad esempio in materia di ricorsi giudiziali avverso licenziamenti. Il cittadino può aspettare, senza stipendio e senza lavoro. Tanto i giudici a fine mese percepiscono in ogni caso un lauto stipendio, anche se non lavorano, mentre gli avvocati – se non ci sono udienze – non mangiano, così come cittadini e imprese che da anni attendono una giustizia che non arriva.
Eppure la soluzione sarebbe stata semplicissima: dopo l’11 maggio, senza alcuna nuova regola sul processo telematico rispetto al passato, i tribunali avrebbero potuto organizzare udienze civili e penali tutti i giorni – dal lunedì al venerdì – alla presenza, nel ruolo giornaliero, di non più di dieci procedimenti distanziati di almeno mezz’ora l’uno dall’altro, adottando in ogni caso le misure di sicurezza come il distanziamento sociale nei corridoi e in aula, mascherina e guanti. Al supermercato, in fin dei conti, ci va molta più gente. E invece si è preferito complicare la vita a cittadini e avvocati col processo telematico. Le dimissioni di Bonafede quando arrivano?
di Paolo Becchi e Giuseppe Palma
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Consigli letterari:
di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, “DEMOCRAZIA IN QUARANTENA. Come un virus ha travolto il Paese“, Historica edizioni.
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