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Attualità

Il problema delle iperdiluizioni nel capitali sociali bancari. Un colloquio fra Alfonso Scarano e Giovanni Bottazzi

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Abstract

Imbattendomi nelle questioni di capitale sociale ed assetto societario, che a tanti possono apparire noiosissime ed insignificanti, trovo invece che dovrebbero essere comprese meglio e più diffusamente per la loro importanza quale base democratica aziendale dei diritti degli azionisti tutti, e non solo quei pochi che, meglio informati ed organizzati, potrebbero fare carne da macello degli altri. 

La questione emerge chiaramente nelle dinamiche degli aumenti di capitale “iperdiluitivi” in cui i vecchi soci che non sottoscrivevano i nuovi aumenti di capitale (caso Carige, Creval ed altri), perché già provati dalle gravissime perdite degli ultimi anni, sono rimasti miseramente con un pugno di mosche in mano.

Per rendere meglio appetibile il linguaggio ed i concetti di capitale sociale e dei diritti che ne discendono, ne parlo colloquialmente con il mio mentore sulle questioni finanziarie, il mio caro amico Giovanni Bottazzi, già responsabile ufficio statistica Borsa Italiana, padre dell’indice Mibtel nonché fine ragionatore ed utilizzatore sistematico del “rasoio di Occam” nel ragionamento finanziario.

AS. Caro Giovanni, sono ormai numerose le società quotate in Borsa che hanno optato per la soluzione delle azioni prive del valore nominale. Ora, è mai possibile che si parli di emissioni di azioni con sovrapprezzo? Come può esistere un sovrapprezzo se non c’è la sua base di riferimento, appunto il valore nominale?

GB. Penso che a tutti i nostri potenziali lettori sia utile fare un breve ripasso degli scritti e dei ragionamenti fatti nel recente passato, solo in parte trasferiti ai quotidiani, ossia agli articoli del “Fatto quotidiano”, 2 marzo 2016, “Tutti i dubbi di un aumento di capitale su cui la Banca d’Italia ancora non ha fatto chiarezza – Popolare Vicenza e le nuove azioni vendute dalla finestra”

Che può trovarsi al sito

http://www.vicenzapiu.com/leggi/banca-popolare-vicenza-le-nuove-azioni-vendute-dalla-finestra-sotto-i-63-euro-problemi-di-discriminazione-tra-vecchi-e-nuovi-azionisti#articlecontent

e mercoledì 6 dicembre 2017 “Risparmio tradito – Carige e le altre, sugli aumenti iperdiluitivi serve una norma ad hoc”, che si può trovare al sito

https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/carige-e-le-altre-sugli-aumenti-iperdiluitivi-serve-una-norma-ad-hoc/

La materia del capitale sociale delle imprese, per lo meno per chi non sia proprio della partita, complessa già lo era prima, intendo prima della riforma societaria entrata i vigore con il 2004. Già spiegare come si forma il valore teorico del diritto d’opzione e il significato e l’uso del coefficiente di rettifica è sempre stata una bella impresa. Ma almeno c’erano robusti “caposaldi”, ossia alcuni presìdi posti a rispetto degli interessi delle varie parti coinvolte e, soprattutto, della logica, che è unica a dispetto dei vari campi in cui la applichiamo. Figurarsi adesso, dopoché una agguerrita compagnia guastatori – del diritto, del buon senso, della chiarezza aritmetica ecc. ecc., ossia dopo la riforma societaria, ha distrutto uno di quei caposaldi: il valore nominale unitario dell’azione! Infatti, è ora consentito alle società di avere il capitale rappresentato da azioni “prive del valore nominale”. Ad un esame attento, risulta però che l’espressione impiegata è tutt’altro che felice; anzi, fortunatamente non esprime il vero contenuto di questa riforma. Infatti, visto che sussiste comunque un capitale sociale di bilancio e di statuto, è determinabile ancora un valore unitario per azione, come rapporto tra il capitale sociale complessivo ed il numero di azioni emesse dalla società. Ergo, non si tratta propriamente di “azioni prive del valore nominale”, bensì di azioni “prive dell’indicazione del valore nominale”, che è cosa ben diversa. Che se, al contrario, se davvero l’azione non avesse un valore nominale qualunque non esisterebbe neppure il concetto di capitale sociale… Vero? Resta tuttavia il fatto che l’erronea denominazione impiegata genera il pericolo, reale, di fraintendimenti e conclusioni erronee.

AS: Ma dunque, a tutela delle parti rimane ancora qualcosa di forte della precedente e solida costruzione giuridica?

GB. Fortunatamente resta ancora, a monte, il baluardo rappresentato del concetto di capitale sociale (nominale), iscritto nel bilancio societario e nello statuto; a cui, come detto, dopo la riforma citata, può non corrispondere più, proporzionalmente per il numero di azioni in circolazione, il valore nominale unitario per azione. In altre parole, con il dichiarato scopo, meglio il pretesto, di “facilitare l’accesso al mercato (finanziario)” e di “semplificare” la vita finanziaria delle società, quelle quotate e quelle che fanno comunque ricorso al mercato, si è preferito concedere alle società di eliminare quel vincolo che era rappresentato dal valore nominale unitario; così facendo si è gettato però lo scompiglio nelle idee, che già per conto proprio facevano fatica a stabilizzarsi diffusamente tra i neuroni degli interessati…

Ma, a ben vedere, anche questo baluardo è stato già intaccato dalla riforma, anche la valenza del capitale sociale è stato menomata, visto quanto prevede l’articolo 2446 del Codice civile riformato. Dopo avere ripetuto quanto già in passato per la società che perda più di un terzo del capitale per perdite di bilancio, ossia la riduzione proporzionale e un aumento di capitale adeguato per riportarlo a norma, se viene a scendere sotto il livello minimo previsto per quel tipo di società, la formulazione riformata dell’articolo aggiunge la seguente disposizione:

<<Nel caso in cui le azioni emesse dalla società siano senza valore nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di amministrazione. Si applica in tal caso l’articolo 2436. >> (la sottolineatura è mia, non del Legislatore…)

Vedi http://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaAlDiritto/codici/codiceCivile/articolo/2956/art-2446-riduzione-del-capitale-per-perdite.html

Dunque, anche qui si è consentito un “annacquamento” degli obblighi; in attesa, forse, che con la prossima riforma si cancelli completamente anche l’ultimo residuo punto fermo a cui agganciare tutele, ogica e calcoli…

AS. Anch’io vedo questa china… Il mio sconcerto deriva da fatto che non vedo più la costruzione giuridica coerente e sperimentata esistente prima della riforma di questa parte del codice civile: l’edificio del capitale sociale risultava sostanzialmente ben organizzato e meglio comprensibile. Ora che le modifiche successive hanno tarlato l’edificio ligneo della struttura del capitale aziendale, si assiste all’aberrazione degli aumenti di capitale “iperdiluitivi”. Un inciso a beneficio dei lettori: è una soluzione presa sotto l’incudine della frettolosa necessità di nuovo capitale di rischio, per le banche indotta “spintaneamente” dalla BCE in occasione della liquidazione per un tozzo di pane dei crediti deteriorati da parte delle banche stesse. Meglio sarebbe stato consentire loro una gestione interna meglio organizzata, paziente e conservativa del rapporto con il cliente, invece che lasciarlo spolpare dai fondi locusta che puntano a monetizzare velocemente la loro speculazione.

GB. Non è un caso se, con tali aumenti di capitale, i vecchi soci hanno perso quasi tutto proprio per la tecnica della iperdiluizione, ovvero l’emissione di un immenso numero di nuove azioni ad un prezzo piccolissimo. Ad esempio, il CdA viene delegato dall’assemblea per un aumento di capitale di 700 milioni, senza specificare il prezzo della nuova azione e il conseguente numero di nuove azioni.

Quindi possono essere scelte, a discrezione del CdA, diverse ricette che danno come identico risultato 700 milioni di €. Ad esempio, 700 milioni di nuove azioni a 1 € (1€ x 700 milioni azioni = 700 milioni €), oppure 7 miliardi di nuove azioni a 10 centesimi di euro (0,1€ x 7 miliardi azioni = 700 milioni €), oppure 70 miliardi di nuove azioni a 1 centesimo (0,01€ x 70 miliardi azioni = 700 milioni €).

Una scelta del CdA di quest’ultimo tipo ha un effetto potenzialmente catastrofico per il vecchio azionista quando il prezzo delle azioni, dopo l’emissione di quelle nuove, precipita a valori miserrimi per via dell’altissimo numero di nuove azioni emesse ad un prezzo irrisorio. I casi Carige e Creval mostrano che i vecchi azionisti hanno perso oltre il 90% rispetto alle quotazioni (pur basse) del mese precedente l’aumento di capitale. Vien detto che altrimenti l’aumento di capitale non sarebbe andato a buon fine; ma la risposta è che l’opportunità speculativa dell’iperdiluizione è stata massicciamente sfruttata dagli investitori entranti perché lasciata libera dal regolatore. Ci fosse stata una norma che stabilisse un prezzo minimo di emissione – almeno per le società quotate – se non più il valore nominale ora eliminato almeno, ad esempio, la media dei prezzi del mese precedente, è chiaro che comunque l’aumento si sarebbe fatto a condizioni più equilibrate e rispettose dei vecchi azionisti.

AS. Insomma, distrutto il concetto di valore nominale unitario dell’azione, il capitale sociale resta ancora la base strutturale economica per la tutela dei diritti dei soci in una società di capitali, che la riforma non ha ancora distrutto del tutto.

GB. Proprio così. Gli aumenti di capitale iperdiluitivi sono un sintomo grave della malattia che attraversa la struttura del capitale societario e delle proporzioni e forma di rappresentanza delle società di capitale.

Ora succede questo: dato un certo capitale sociale, quello che ancora resiste nei concetti che regolano le scritture contabili, quando la società abbia deciso di non più indicare nello statuto il valore nominale unitario dell’azione, valore nominale (unitario) e numero di azioni sono due numeri legati da un vincolo di reciprocità ma, a parte questo legame, soggetti al legame con il capitale sociale solamente per il loro prodotto aritmetico. Sostanzialmente numeri molto liberi di muoversi tra incredibili estremi, grande numero di azioni, piccolissimo valore unitario… Lo abbiamo visto nelle emissioni di azioni per aumento di capitale, CARIGE e CREVAL. Ora i CdA, che governano e sgovernano, con le deleghe ricevute dalle Assemblee societarie, sono arbitri delle nuove emissioni azionarie. Queste hanno sì, ancora, lo scopo di fare affluire capitale di rischio alla società, ma hanno soprattutto lo scopo di mettere fuori gioco l’azionariato costituito e di sostituirlo con il minimo impiego di capitale. Il trasferimento di ricchezza dall’azione ai diritti d’opzione e lo svilimento del prezzo dei diritti nei giorni di trattazione in Borsa completano il gioco, a favore dei nuovi arrivati e in danno dell’azionariato preesistente. 

Questo significa facilitare l’accesso al mercato? 

Non significa invece, purtroppo, la distruzione della residua fiducia negli istituti che regolano il mercato finanziario?

AS. Propendo per la seconda ipotesi. Voglio poi vedere gli (ex)azionisti (che quasi sempre sono anche correntisti) delle banche oggetto delle recenti iperdiluizioni come si rapportano ora con la banca che li ha infiocinati con la tecnica della iperdiluizione. Ora, quali semplici clienti di una banca, resa banca qualunque e non più posseduta tramite le azioni, sarà per loro certamente più facile o indifferente anche cambiare banca. 

La fiducia riposta un tempo diventa solo un ricordo forsanche reso rancoroso per la ferita da fiocina (l’aumento di capitale iperdiluitivo).

Nel dettaglio delle introdotte variazioni sarà bello proseguire il dialogo con un notaio o un commercialista per far emergere dal loro versante qualche elemento di giudizio della situazione corrente, di critica ma anche di ipotesi di soluzioni. Che ne dici?

GB. Buona idea, bello continuare il dialogo; soprattutto se avremo la fortuna di un confronto con le altre figure direttamente interessate a queste trasformazioni del diritto, che sembrano passate un po’ in sordina, ma sono invece snodi importanti, perché possano guardare al futuro e non siano canalizzate, in modo distorto verso precisi interessi particolari del momento. A proposito di possibili fraintendimenti, Mi preoccupa, quanto credo di capire dalla lettura della Massima del Consiglio notarile di Milano del 18/6/ 2018 dal titolo “Le potenzialità delle azioni senza valore nominale: l’emissione di azioni senza aumento di capitale”. Qui la conclusione che ora si possano emettere azioni a pagamento senza aumento di capitale chiaramente è fatta derivare da una interpretazione – chiaramente da me non condivisa – dell’espressione usata dalla riforma “azioni senza valore nominale”. A parte tutto, questa circostanza era possibile anche in precedenza: si pensi alle azioni di godimento. Devo ancor ben comprendere il significato dell’affermazione “In particolare, all’emissione di nuove azioni a pagamento senza aumento di capitale sociale si applica l’intera disciplina prevista per l’aumento di capitale a pagamento”. Mah, sarebbe meglio saperne di più su questo argomento, direttamente dai Notai.

http://www.consumerismo.it/bankitalia-spende-750mila-euro-per-un-sito-che-dovrebbe-educare-i-consumatori-al-risparmio-19430.html


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