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IL POPOLO ITALIANO E’ REFRATTARIO A CAMBIARE LA COSTITUZIONE….MA CHI L’HA DETTO? (RIFLESSIONI DI UN POPULISTA) (di Marco Minossi)

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IL POPOLO ITALIANO E’ REFRATTARIO A CAMBIARE LA COSTITUZIONE….MA CHI L’HA DETTO? (RIFLESSIONI DI UN POPULISTA)

Dopo il chiarissimo esito del recente referendum, tra i fautori del “sì” (quasi tutta la parte pubblica, istituzionale, imprenditoriale e mediatica del paese) che raccolgono i loro cocci, si è diffuso con molta faciloneria l’argomento secondo il quale vi sarebbe, da parte dello (spregevole) popolo italiano, un rifiuto congenito di cambiare la Costituzione. Passeranno altri trent’anni prima che qualcuno possa provare a rimettervi mano – sostengono ora le “intellighénzie” con tono di rimprovero – e nel frattempo tutti i guai che subiremo saranno colpa di questi oppositori!

Qualcuno senza mezzi termini, come ad esempio Domenico Cacopardo su Italia Oggi, rimpiange il fatto che non sia stata una “èlite responsabile di patrioti” a varare e a cassare direttamente la riforma panacéa di tutti i mali, senza l’ingombrante ricorso all’ interpello democratico.

(Cosa che sarebbe certamente avvenuta, se non fosse stata proprio la Carta a salvare se stessa prevedendo, con il famoso Art.138, l’obbligatorietà finale del referendum popolare).

Tradotto, significa che dalle stanze segrete non di Vittorio Sgarbi (magari!, quelle che stanno per trasmigrare da Osimo a Cortina), ma di ben altri, avrebbe potuto e dovuto benissimo uscire la nuova “Costituzione pret-à-porter”, griffata e pronta da indossare, con buona pace di popolo e populismo.

Premesso che il populismo altro non è che l’atteggiamento della società civile nei confronti di istituzioni ed individui non eletti ( ad esempio verso UE, BCE, ultimi tre governi italiani, dirigenti pubblici insediati non per concorso ma per nomina, ecc.), teniamo a precisare, in quanto appartenenti al popolo e al populismo stesso, che non avremmo nessuna difficoltà a condividere qualche manutenzione di ammodernamento alla nostra pur bellissima Costituzione, purchè vengano rispettate alcune condizioni, sia di merito che di metodo.

Perfettibile sì, umiliabile no.

Riguardo al metodo, noi populisti gradiremmo avere la garanzia della partecipazione attiva, coinvolta e consapevole di tutte le forze dell’arco costituzionale, come viene per l’appunto chiamato il complesso delle rappresentatività politiche democratiche.

Ci tranquillizzerebbe poi che venisse applicato, per estensione, quel principio-cardine della Common Law (diritto anglosassone, ma universalmente accettato come fondamento di ogni democrazia mondiale) che stabilisce “ No taxation without representation”, che significa che nessun governo può imporre tasse se non è di emanazione rappresentativa, cioè democratica, cioè se non è stato eletto. Se un tale cardine si applica all’ imposizione fiscale, non vedremmo perché non dovrebbe essere considerato, a maggior ragione, come “conditio sine qua non “ per poter soltanto sfiorare il dettato costituzionale.

Non avremmo obiezioni, sempre noi populisti, sul fatto che il Presidente del Consiglio assurga a promulgatore e sostenitore della nuova proposta di modifica, ma ci metterebbe in forte imbarazzo se egli invece, sdoppiandosi da capo del governo a segretario del partito di (presunta) maggioranza, cominciasse sempre più insistentemente a diventarne il venditore porta a porta.

Ci farebbe molto piacere, e ci tranquillizzerebbe molto sulla indipendenza e dignità delle nostre istituzioni, una sua presa di posizione immediata ed energica contro chiunque cercasse di subordinare l’insuccesso di questa riforma a possibili scenari di incertezza nel migliore dei casi, di catastrofe economica in tutti gli altri, facendo della paura una leva strumentale agli interessi propri.

Se intimidazioni, ingerenze e pressioni dovessero avvenire ad opera della UE piuttosto che della BCE, di Goldman Sachs piuttosto che di Bankitalia, di un ambasciatore americano fino ad arrivare ad un negoziante come Farinetti, o a un cuoco come Bottura, ci sentiremmo molto rassicurati e tutelati da un monito immediato ad essi a non inteferire, a evitare di intromettersi.

Saremmo inoltre molto contenti del fatto che, all’ interno della coalizione governativa, non ci fosse un partito-fantasma costituito da eletti sotto un simbolo diverso, partito che ha tre ministri dopo che il quarto si è dimesso ma che, se si andasse a votare, prenderebbe quattro voti, forse addirittura meno di Scelta Civica.

Da ultimo, vorremmo che ogni esponente politico in appoggio a questa riforma avesse una faccia raccomandabile ed un cursus politico, e magari anche bancario se cointeressato in questo settore, limpido ed onorevole; e già che ci siamo, se proprio deve essere che una persona connota questa riforma con il suo cognome, che almeno sia un giurista di comprovato prestigio…ci può stare bene Cirinnà come nome della legge sulle coppie gay, nessuno cerca un nuovo Calamandrei perché non c’è più, ma il nome che si sarebbe intestato questa revisione costituzionale avrebbe avuto dell’ incredibile, dell’inaccettabile.

Questo, per quanto riguarda il metodo; ed ora, veniamo al merito.

Prima che la Costituzione venga riformata, pretenderemmo la certezza che tutti i suoi princìpi in vigore siano stati sino a quel momento pienamente rispettati.

Ad esempio, quello per cui “la sovranità appartiene al popolo” (Art.1), non al Presidente della Repubblica ( altrimenti si dovrebbe chiamare Monarchia, oppure Repubblica Presidenziale), non alla segreteria di un partito.

Di governi che non ci sono piaciuti ce ne sono stati tanti, ma quando erano il risultato di una vittoria elettorale ce ne siamo sempre fatti una ragione, contestando come veniva costruito l’edificio, ma mai le fondamenta.

Poi, una cosa che sta molto a cuore a noi populisti è il principio costituzionale sulla tutela della famiglia (Art.29); apparteniamo ancora ad una generazione che la prevede formata da un uomo, una donna e dei figli. Non abbiamo nulla contro unioni di tipo diverso nella loro intimità, ma crediamo che anche la Costituzione la pensi come noi quando parla di famiglia come “società naturale”, e che alcune leggi fatte da questi aspiranti, e per fortuna mancati, “padri ri-costituenti”non la rispettino.

Inoltre, noi delle famiglie tradizionali, i figli che facciamo li mandiamo a scuola, fiduciosi che, come recita il Testo di cui stiamo parlando ( Artt. 33 e 34), ricevano un’istruzione che formi il loro spirito e la loro cultura; siamo anche disponibili ad accettare, di fatto, quella che è l’ampia deroga al principio costituzionale della gratuità totale della scuola stessa, ma rigettiamo con forza una presa in giro di nome “Buona Scuola”, che impoverisce gli istituti scolastici pubblici a tutti i livelli, tranne quelli dirigenziali. Gli insegnanti impiegatizzati, umiliati professionalmente ed economicamente non ci piacciono, perché li vorremmo sempre motivati e sereni, in condizione di svolgere al meglio il loro mestiere, che è la cosa che ci interessa veramente, invece che l’ “aziendalizzazione” di quel mondo.

Della tutela del risparmio (Art.47), non parliamo neanche. Il combinato disposto della legge sul bail-in, e della norma costituzionale che ci vieta di sottoporre a referndum i trattati sovra-nazionali (quelli che l’hanno imposto), ha provocato la vergogna e la rabbia di essere italiani per tante persone che a questo paese del G7 avevano affidato i loro risparmi di una vita.

Quanto sopra riguarda il rispetto reale che pretendiamo di quella parte della Costituzione che non richiede di essere cambiata, cioè i princìpi fondamentali. Secondo noi, invece, è da tanto tempo che essi vengono disattesi.

E veniamo alle novità.

Ci sta benissimo che venga abolito il Senato, nell’accezione che il termine “abolire” ha nella lingua italiana: eliminare, cancellare, esautorare dalle funzioni. Ne saremmo lieti soprattutto per la conseguente soppressione di quel gruppetto ingiustificato ed anacronistico ( quello sì, un’ “accozzaglia”) che prende il nome di “senatori a vita” (sarà per il trauma post-Monti, per il quale alla nomina a senatore a vita fece seguito quella a presidente del consiglio nel 2011, procedura quantomeno irrituale ed arbitraria).

Non ci piacciono invece i pastrocchi in cui abolire significa “rendere un mostriciattolo”, come è successo ad esempio con le Camere di Commercio, enti impoveriti e pesantemente esautorati da molte funzioni. Il Senato stava per fare la stessa fine, diventando anch’esso niente più che una fabbrica a basso costo di nomine, di compensi e di compensazioni.

Riguardo al CNEL, la tentata riforma ce ne ha soltanto risvegliato il ricordo, dato che lo consideravamo già morto da un pezzo; benissimo anche il riaccentrare funzioni dalle Regioni allo Stato, alla luce dei disastri etici ed economici che le prime producono da anni.

Tutto questo per dire, al prossimo uomo-leader di buona volontà, e magari dal comunicare più imparziale e dai modi meno arroganti, che il dialogo con noi populisti potrebbe dare ottima collaborazione, e ottimi frutti, perfino su questo tema di maneggiare – con delicatezza e prudenza – la Carta Costituzionale.

Marco Minossi


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