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Analisi e studi

Il popolo è dal 1993 che vuole il maggioritario. La Consulta ne tenga conto (di P. Becchi e G. Palma)

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In queste ore la Corte costituzionale è riunita in camera di consiglio per decidere sull’ammissibilità del quesito referendario presentato dai Consigli regionali di Abruzzo, Basilicata, Friuli-Venezia-Giulia, Sardegna e Veneto circa l’abrogazione della parte proporzionale della legge elettorale n. 165/2017, il cosiddetto Rosatellum. La questione è molto complessa e la Corte è spaccata, non a caso la decisione – che era attesa in serata – probabilmente slitterà a domani mattina.

La querelle giuridica riguarda la questione sulla immediata applicabilità della legge nel caso l’eventuale esito referendario risultasse quello dell’abrogazione delle norme di cui al quesito. Per come il quesito è stato formulato, in effetti, la legge che resterebbe a seguito di eventuale abrogazione popolare è immediatamente applicabile, resta tuttavia da discutere la questione delle deleghe del Parlamento al Governo per ridisegnare i collegi. Una nuova legge-delega non sarebbe possibile proprio per il principio di “immediata applicabilità”, ma come avevamo già evidenziato in un nostro precedente articolo una delega utilizzabile esiste ed è quella prevista dalla Legge 27 maggio 2019 n. 51 recante disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari. Calderoli lo sapeva ed ha formulato il quesito proprio perché possa applicarsi tale delega.

C’è però un altro dato di cui la Corte costituzionale non può non tenere conto: come potrebbe la Consulta non ammettere il quesito referendario scritto da Calderoli (in presenza della delega prevista dalla Legge n. 51/2019) se il popolo nel referendum abrogativo del 18 e 19 aprile 1993 votò per abrogare il proporzionale?

Nel 1993 i radicali, unitamente a Mariotto Segni, proposero una serie di referendum abrogativi che videro un’ampia partecipazione popolare. Tra questi, quello abrogativo della parte proporzionale della Legge elettorale di allora (per il Senato) che mirava ad introdurre il sistema maggioritario dei collegi uninominali all’inglese. L’esito fu plebiscitario: sul 77,01 per cento dei votanti (partecipazione altissima), l’82,74% votò per l’abrogazione del proporzionale, aprendo la strada al maggioritario.

Di conseguenza il Parlamento approvò il Mattarellum, una legge elettorale per ¾ maggioritaria (collegi uninominali a turno unico) ed ¼ proporzionale. Relatore fu l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nel 1999 si tenne un altro referendum abrogativo in materia elettorale (sostenuto soprattutto dal Partito Democratico della Sinistra e da Alleanza Nazionale) che mirava all’abrogazione della seppur minima parte proporzionale del Mattarellum. Il quorum non fu raggiunto per un pelo (49,58% di votanti), ma l’esito fu altrettanto plebiscitario, infatti votarono a favore dell’abrogazione il 91,5% dei votanti.

Insomma, c’è un referendum popolare molto chiaro risalente al 1993: il popolo italiano vuole il sistema elettorale maggioritario. Non pare che, negli ultimi anni, voglia qualcosa di diverso. Anche di questo la Corte dovrebbe tenere conto.

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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(Ladri di democrazia. La crisi di governo più pazza del mondo. L’ultimo libro di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, Giubilei Regnani editore, 2019: https://scenarieconomici.it/ladri-di-democrazia-la-crisi-di-governo-piu-pazza-del-mondo-lultimo-libro-di-p-becchi-e-g-palma-giubilei-regnani-editore/)

 


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