Israele
Il piano di Trump per Gaza: 21 punti per la Pace o una trappola per Netanyahu?
Ecco che, quasi a sorpresa, spunta un piano americano per mettere fine alla guerra a Gaza. Un documento in 21 punti, partorito dall’amministrazione Trump e già condiviso con alcuni Paesi arabi a margine dell’Assemblea Generale dell’ONU. A prima vista, potrebbe sembrare l’ennesimo tentativo diplomatico destinato a scontrarsi con la dura realtà del Medio Oriente. Eppure, a leggere tra le righe, ci sono elementi che rappresentano una netta evoluzione della politica di Washington e che rischiano di mettere in seria difficoltà il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Il piano, rivelato dal The Times of Israel, contiene due novità dirompenti. La prima è un’esplicita rassicurazione: i palestinesi saranno incoraggiati a rimanere nella Striscia. Un’inversione a U notevole, se si pensa che solo a febbraio il Presidente Trump aveva ventilato l’ipotesi di un controllo americano su Gaza con il ricollocamento permanente della sua popolazione. Idea che, per inciso, aveva dato ossigeno ai partner di estrema destra di Netanyahu, fautori della cosiddetta “migrazione volontaria”.
La seconda, e ben più esplosiva, novità è la previsione di un “percorso credibile verso uno stato palestinese”. Una prospettiva che verrebbe presa in considerazione una volta che la ricostruzione di Gaza sarà avanzata e l’Autorità Palestinese (AP) avrà completato un programma di riforme. Questo punto è un macigno sulla politica di Netanyahu, che ha costruito una carriera politica proprio sull’aver impedito la soluzione dei due Stati. Non a caso, solo pochi giorni fa all’ONU, ha tuonato: “Dare ai palestinesi uno stato a un miglio da Gerusalemme dopo il 7 ottobre è come dare ad Al-Qaeda uno stato a un miglio da New York dopo l’11 settembre. È una follia pura”.
I 21 punti del piano americano
Ma in cosa consiste, nel dettaglio, questo piano elaborato in gran parte dall’inviato speciale americano Steve Witkoff? Sebbene la sequenza esatta degli eventi non sia specificata, i punti del piano di pace di Trump sono i segiuenti:
- Gaza sarà una zona deradicalizzata e libera dal terrorismo che non costituirà una minaccia per i suoi vicini.
- Gaza sarà riqualificata a beneficio della sua popolazione. Non è chiaro, ma probabilmente con capitali arabi (Arabia Saudita, Emirati Arabi)
- Se Israele e Hamas accetteranno la proposta, la guerra finirà immediatamente, con l’IDF che interromperà tutte le operazioni e si ritirerà gradualmente dalla Striscia.
- Entro 48 ore dall’accettazione pubblica dell’accordo da parte di Israele, tutti gli ostaggi vivi e deceduti saranno restituiti.
- Una volta restituiti gli ostaggi, Israele libererà diverse centinaia di prigionieri palestinesi che scontano l’ergastolo e oltre 1.000 abitanti di Gaza arrestati dall’inizio della guerra, insieme ai corpi di diverse centinaia di palestinesi.
- Una volta restituiti gli ostaggi, ai membri di Hamas che si impegneranno a coesistere pacificamente sarà concessa l’amnistia, mentre ai membri che desiderano lasciare la Striscia sarà garantito un passaggio sicuro verso i paesi di accoglienza.
- Una volta raggiunto questo accordo, gli aiuti affluiranno nella Striscia a tassi non inferiori ai parametri di riferimento fissati nell’accordo sugli ostaggi del gennaio 2025, che prevedeva 600 camion di aiuti al giorno, insieme alla riabilitazione delle infrastrutture critiche e all’ingresso di attrezzature per la rimozione delle macerie.
- Gli aiuti saranno distribuiti, senza interferenze da entrambe le parti, dalle Nazioni Unite e dalla Mezzaluna Rossa, insieme ad altre organizzazioni internazionali non associate né a Israele né ad Hamas. Il testo di questa clausola appare volutamente vago e sembra lasciare uno spiraglio per il proseguimento delle attività della Gaza Humanitarian Foundation, poiché tecnicamente si tratta di un’organizzazione americana, anche se è stata ideata da israeliani legati al governo e creata per adattarsi alla guerra condotta dal governo israeliano, ma apre la strada anche a interventi di altri Paesi arabi o della UE.
- Gaza sarà amministrata da un governo provvisorio di transizione composto da tecnocrati palestinesi che saranno responsabili di fornire i servizi quotidiani alla popolazione della Striscia. Il comitato sarà supervisionato da un nuovo organismo internazionale istituito dagli Stati Uniti in consultazione con i partner arabi ed europei. Esso stabilirà un quadro di riferimento per il finanziamento della ricostruzione di Gaza fino al completamento del programma di riforme dell’Autorità Palestinese. Questa è la prima volta che il piano degli Stati Uniti menziona l’Autorità Palestinese con sede a Ramallah. Israele ha escluso l’Autorità Palestinese come potenziale governante di Gaza, vanificando così quella che è diventata la chiave per ottenere l’assistenza araba nella gestione postbellica della Striscia, dato che la comunità internazionale considera essenziale per la stabilità e la pace a lungo termine l’unificazione della Cisgiordania e di Gaza sotto un unico organo di governo riformato. Il punto nove sembra ispirarsi in larga misura al piano dell’ex primo ministro britannico Tony Blair per porre fine alla guerra, che è stato rivelato per la prima volta dal Times of Israel all’inizio di questo mese.
- Sarà elaborato un piano economico per ricostruire Gaza attraverso la convocazione di esperti con esperienza nella costruzione di città moderne in Medio Oriente e attraverso l’esame dei piani esistenti volti ad attrarre investimenti e creare posti di lavoro.
- Sarà istituita una zona economica, con tariffe ridotte e tassi di accesso da negoziare tra i paesi partecipanti.
- Nessuno sarà costretto a lasciare Gaza, ma coloro che sceglieranno di andarsene potranno tornare. Inoltre, i gazawi saranno incoraggiati a rimanere nella Striscia e verrà loro offerta l’opportunità di costruirsi un futuro migliore.
- Hamas non avrà alcun ruolo nella governance di Gaza. Ci sarà l’impegno a distruggere e a smettere di costruire qualsiasi infrastruttura militare offensiva, compresi i tunnel. I nuovi leader di Gaza si impegneranno a coesistere pacificamente con i loro vicini.
- Una garanzia di sicurezza sarà fornita dai partner regionali per assicurare che Hamas e le altre fazioni di Gaza rispettino i loro obblighi e che Gaza cessi di rappresentare una minaccia per Israele o per il proprio popolo.
- Gli Stati Uniti collaboreranno con i partner arabi e altri partner internazionali per sviluppare una forza internazionale di stabilizzazione temporanea che sarà immediatamente dispiegata a Gaza per sorvegliare la sicurezza nella Striscia. La forza svilupperà e addestrerà una forza di polizia palestinese, che fungerà da organo di sicurezza interna a lungo termine.
- Israele non occuperà né annetterà Gaza, e l’IDF cederà gradualmente il territorio che attualmente occupa, man mano che le forze di sicurezza sostitutive stabiliranno il controllo e la stabilità nella Striscia.
- Se Hamas ritarderà o rifiuterà questa proposta, i punti sopra indicati saranno attuati nelle aree libere dal terrorismo, che l’IDF cederà gradualmente alla forza di stabilizzazione internazionale. Questo piano quindi comunque è implementabile, con o senza Hamas, che non è quindi più indispensabile.
- Israele accetta di non effettuare futuri attacchi in Qatar. Gli Stati Uniti e la comunità internazionale riconoscono l’importante ruolo di mediazione di Doha nel conflitto di Gaza.
- Sarà istituito un processo per deradicalizzare la popolazione. Ciò includerà un dialogo interreligioso volto a cambiare la mentalità e la narrativa in Israele e Gaza.
- Quando la ricostruzione di Gaza sarà avanzata e il programma di riforme dell’Autorità Palestinese sarà stato attuato, potrebbero esserci le condizioni per un percorso credibile verso la creazione di uno Stato palestinese, riconosciuto come aspirazione del popolo palestinese.
- Gli Stati Uniti avvieranno un dialogo tra Israele e i palestinesi per concordare un orizzonte politico per la coesistenza pacifica.
Il piano contiene anche un punto interessante che sembra un contentino per Doha: Israele si impegna a non effettuare più attacchi in Qatar, riconoscendone il “ruolo di mediazione”.
Nonostante l’ottimismo ostentato da Trump, che sui social ha parlato di “intense negoziazioni”, la strada è tutta in salita. Il piano, infatti, non è stato ancora presentato formalmente ad Hamas. Ed è difficile immaginare che il movimento accetti di deporre le armi e cedere il potere. Allo stesso modo, per Netanyahu, accettare un percorso che porti a uno stato palestinese equivale a un suicidio politico.
Il piano americano, per quanto vago su molti aspetti, ha il merito di rimettere sul tavolo opzioni considerate tabù, costringendo tutti gli attori, a partire da Israele, a fare i conti con una realtà che non può più essere ignorata. La pace ha un prezzo, e Washington sembra aver presentato il conto a tutti.
Domande e Risposte per i Lettori
1) Perché questo piano è considerato un problema per il governo di Netanyahu? Il piano è un problema enorme per Netanyahu perché include esplicitamente un “percorso verso uno stato palestinese”. Per decenni, la carriera politica del premier israeliano si è basata sulla ferma opposizione alla soluzione dei due Stati. Accettare anche solo di discuterne minerebbe la sua credibilità presso la sua base elettorale e, soprattutto, provocherebbe una crisi immediata con i suoi partner di coalizione di estrema destra, che considerano l’idea un anatema. Di fatto, il piano lo mette con le spalle al muro: rifiutarlo significa sfidare l’alleato americano, accettarlo significa far cadere il proprio governo.
2) Quali sono le probabilità che Hamas accetti un accordo simile? Le probabilità sono estremamente basse, quasi nulle, nelle condizioni attuali. I punti 6 e 13 del piano richiedono che Hamas ceda completamente il potere, deponga le armi e smantelli la sua infrastruttura militare. Per un’organizzazione come Hamas, questo equivale a un’autodissoluzione. L’accordo offre un’amnistia e una via d’uscita per alcuni membri, ma chiede in cambio la fine della sua esistenza come forza politica e militare a Gaza. È altamente improbabile che la leadership di Hamas accetti di rinunciare a tutto ciò per cui ha combattuto, a meno di una pressione militare e politica insostenibile.
3) Qual è il ruolo dell’Autorità Palestinese in questo piano e perché è marginale? Nel piano, l’Autorità Palestinese (AP) è relegata a un ruolo futuro e condizionato. Non è prevista per governare Gaza nell’immediato, compito affidato a un governo di tecnocrati e a una forza internazionale. Il suo coinvolgimento è posticipato a dopo l’implementazione di un “programma di riforme” non specificato. Questa scelta è probabilmente un compromesso strategico degli USA: da un lato, accontenta Israele, che considera l’AP attuale corrotta e inaffidabile; dall’altro, mantiene aperta la porta a una futura leadership palestinese unificata, richiesta dalla comunità internazionale e dai Paesi arabi per garantire stabilità a lungo termine.
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