Attualità
Il petrolio: meglio perderlo che trovarlo (di C.A. Mauceri)
Generalmente si pensa che disporre di enormi riserve di petrolio sia un bene, una “ricchezza”. Non è così. A dirlo sono i numeri.
Il “greggio”, ovvero il petrolio non lavorato, viene utilizzato per la produzione di prodotti petroliferi come carburante per autotrazione, come combustibile per produrre energia e per la realizzazine di materie plastiche (il cui mercato, in barba alle promesse fatte, anche all’ultimo incontro dei G20 ad Osaka, è in continua crescita).
Il petrolio greggio si trova solo in alcune aree geologiche, e sono pochi i paesi ad avervi accesso. Ciò che resta da dimostrare è se questo sia per gli abitanti di questi paesi una fortuna oppure no.
Secondo i dati diffusi dal Factbook della CIA, nella graduatoria dei paesi con le maggiori riserve petrolifere mondiali, al decimo posto ci sarebbero gli Stati Uniti d’America con “solo” 36,5 miliardi di barili, Gbbl. Un valore tutto sommato basso specie visti i consumi del paese. Cosa questa che, secondo alcuni, spiegherebbe l’interesse degli USA per “missioni di pace” e guerre in mezzo pianeta (stranamente quasi sempre verso paesi molto più deboli dal punto di vista della forza militare, ma ricchissimi di petrolio – altro motivo è certamente favorire l’industria bellica statunitense che contribuisce sensibilmente al PIL del paese). Con solo 8 milioni di barili al giorno disponibili, trovare mercati dove rifornirsi per gli USA è fondamentale. Anche il ricorso a fonti energetiche alternative non pare essere stato sufficiente: solo parlando di energia eolica, lo Stato che avrebbe mostrato il maggior interesse sarebbe il Texas, ovvero proprio uno dei maggiori estrattori di petrolio (dati American Wind Energy Association).
Al nono posto tra i paesi che possiedono le maggiori riserve petrolifere c’è la Libia (con 48,4 Gbbl): un numero molto elevato e che spiega l’interesse per questo paese (non dimentichiamo che proprio questa caratteristica – secondo molti anche motivo degli aiuti concessi in passato a Gheddafi – sarebbe la causa della guerra fratricida che non sembra trovare fine nel paese.
All’ottavo posto tra i paesi che dispongono le maggiori riserve di petrolio greggio c’è la Russia con 80 Gbbl (non moltissimi se si pensa all’estensione), preceduta dagli Emirati Arabi Uniti con 97,8 Gbbl. Proprio questi ultimi, dopo aver cercato di diversificare le proprie “entrate” (in calo, a causa della necessità di tenere il prezzo per barile basso per dominare il mercato e rendere la domanda di petrolio competitiva con altre fonti energetiche) diventando il punto di contatto tra i mercati medio orientali e i paesi occidentali, hanno deciso di scendere in guerra e hanno attaccato lo Yemen.
Al sesto e al quinto posto della graduatoria dei paesi con le maggiori disponibilità di petrolio grezzo troviamo due paesi per anni scenario di guerre per la “democrazia” e per la “pace”, almeno sulla carta: il Kuwait (con 101,5 Gbbl) e l’Iraq (con 142,5 Gbbl). Tra loro fu il petrolio il vero oggetto del contendere: Baghdad accusò il Kuwait di danneggiare il prezzo sul mercato internazionale con la sua sovrapproduzione di petrolio e affermò di avere “storicamente” diritto ai territori del Kuwait accusandolo anche di rubare petrolio dal suolo iracheno mediante il cosiddetto “slant drilling”. Come sia andata a finire è cosa nota: alla fine del conflitto erano più di 600 pozzi dati alle fiamme e molti di più danneggiati in modo permanente.
Al quarto posto della classifica dei paesi per riserve di petrolio si piazza Iran (con 158,4 Gbbl): l’”interesse” degli USA e le pressioni internazionali su questo paese sono oggi sulle prime pagine dei giornali. Mai, però, nemmeno una sola volta, viene pronunciata la parola “petrolio”. In realtà Iran e USA stanno giocando una partita a scacchi (da un lato l’abbattimento di un drone Usa da parte dei Guardiani della Rivoluzione, dall’altro l’ordine di Trump, tempestivamente ritirato all’ultimo minuto, di scatenare la rappresaglia): messaggi indiretti che hanno come centro il petrolio (si pensi all’attacco alle petroliere di pochi giorni fa, da una parte, e alla pretesa di esportarlo dovunque, dall’altra).
Al terzo posto della classifica c’è il Canada, forse l’unico paese a non essere stato coinvolto direttamente in guerre per il petrolio: il motivo forse potrebbe derivare dal fatto che il petrolio canadese è estremamente costoso da estrarre e, quindi, poco “temuto” dai mercati e poco appetibile.
Al secondo posto della classifica dei paesi con le maggiori riserve di greggio c’è l’Arabia Saudita. tra i maggiori produttori mondiali di petrolio da circa un secolo, concentra su questa risorsa il 90% degli introiti delle esportazioni, il 70% delle entrate statali e il 45% del PIL. Obiettivo dichiarato è dominare il mercato del petrolio e conquistare quote di mercato nei paesi dell’Estremo Oriente (che assorbono il 53% delle esportazioni di prodotto raffinato e il 49% di quello grezzo). Ma per l’Arabia Saudita, il petrolio, oltre che una risorsa energetica essenziale è anche uno strumento geopolitico che serve per esercitare pressioni a livello internazionale in un contesto, come quello mediorientale, caratterizzato da elevata conflittualità. Un posto dove le guerre non vengono fatte solo con le armi (e quelle comprate dall’Arabia Saudita sono tantissime, da tutti i produttori mondiali che le hanno vendute incuranti degli accordi internazionali sottoscritti), ma soprattutto con il petrolio: non è un caso se l’Arabia Saudita ha chiuso alcune delle pipelines petrolifere che attraversavano il territorio di altri paesi (come la “Trans-Arabian Pipeline” o la “Iraq-Saudi Arabia Pipeline”).
Al primo posto tra i paesi del mondo con le maggiori riserve petrolifere c’è il Venezuela, con 300,9 Gbbl. Una quantità largamente superiore a quella dell’Arabia Saudita (“solo” 266,5 Gbbl) e quasi il doppio del terzo paese, il Canada (169,7 Gbbl). Riserve che sono il vero pbiettivo degli interessi geopolitici internazionali e delle pressioni su chi dovrebbe salire al potere. Fino al punto da essere arrivati quasi alla rivolta interna e quasi all’invasione. Partiti politici, diritti umani e situazione economica non sono nulla di fronte alla prospettiva di controllare, grazie ad accordi internazionali ben formulati, la maggiore risorsa di petrolio del pianeta. Una quantità tale da spostare l’ago della bilancia del mercato delle materie prime petrolifere dall’OPEC agli altri paesi.
Un potere immenso che, però, come in altri casi non ha prodotto benefici per la popolazione. Sono lontani i tempi di Hugo Chavez, presidente dal 1999 al 2013, ma soprattutto padre della riforma bolivariana: una presa di posizione importante proprio sul petrolio. Oggi la Repubblica Bolivariana del Venezuela, è oggetto della contesa tra Juan Guaido, leader dell’opposizione e Nicolás Maduro presidente pro tempore. Oggetto del contendere non è la democrazia nè l’economia del paese nè la salute dei cittadini: sono le riserve petrolifere.
Questo è ciò che davvero accomuna tutti (meno uno) i paesi maggiori gestori delle riserve petrolifere mondiali: essere prede e predatori di chi vorrebbe controllare e gestire per il proprio tornaconto questa risorsa, ancora preziosa (nonostante i danni enormi prodotti sull’ambiente).
Ciò che dovrebbe far riflettere è che di tutto questo potere, di questa ricchezza, ai cittadini non arriva nulla. O quasi. Basti pensare che l’ultimo dei dieci paesi per le maggiori riserve di petrolio greggio è anche quello con il reddito pro capite lordo più elevato: gli USA con un RNL di 55200 dollari. Solo sedicesimo il Kuwait (con 49300), ventiduesimi gli Emirati Arabi Uniti (con 44600) e 34esima l’Arabia Saudita (con 25140). Ma in tutti questi paesi sappiamo bene come l’indice di Gini sia altissimo: ciò significa che il dato “medio” non basta a spiegare che in realtà la ricchezza è concentrata nelle mani di poche, pochissime persone, mentre la stragrande maggioranza delle popolazione ha un reddito enormemente minore. In altri paesi invece i cittadini non hanno un reddito basso: muoiono di fame, forse ignari della ricchezza su cui camminano. Sono gli abitanti del Venezuela: nel 2012 (ultimo dato ufficiale), il RNL è di 12500 dollari, ma da allora un’inflazione esplosiva ha causato peggioramenti inenarrabili. Tutto questo senza che l’enorme quantitativo di petrolio a disposizione potesse fare qualcosa per fermarla. Stessa situazione per la Libia, un tempo ago della bilancia dei rapporti tra produttori di petrolio dell’OPEC e extra OPEC: l’ultimo dato risale al 2014 e parla di un RNL di 7800 dollari, ma in calo vertiginoso (quindi da allora è certamente sceso e di molto). Ancora più basso quello di Iran e Iraq: entrambi questi paesi non vanno oltre la metà della classifica dei paesi del mondo per RNL.
Paesi ricchi, ricchissimi di petrolio, di quello che alcuni chiamano l’ “oro nero”, ma che per decine di milioni di persone non significa nulla, non significa “ricchezza”, ma solo guerre, fame, sangue e morti.
C.Alessandro Mauceri
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