EnergiaUSA
Il petrolio da Permiano americano sta affogando nelle sue acque reflue: i limiti fisici (ed economici) del Fracking
Il fracking presenta il conto: troppa acqua di scarto, terremoti e costi di smaltimento mettono a rischio la redditività del più grande bacino petrolifero americano proprio mentre il WTI scende.

Il Bacino del Permiano è il gioiello della corona energetica statunitense, responsabile di quasi la metà della produzione totale di petrolio USA prevista per il 2024 e il 2025. Eppure, come spesso accade in economia e fisica, non esistono pasti gratis. Il successo dell’indipendenza energetica americana ha un prezzo, e in questo caso è liquido, salato e tossico: il Permiano sta letteralmente affogando nelle acque reflue, e l’industria sta finendo i posti dove nasconderle.
Un problema di volumi (e di pressione)
La fratturazione idraulica (fracking), la tecnica che ha permesso agli USA di diventare un gigante dell’export, è un processo intrinsecamente “idrovoro”. Per estrarre greggio, si iniettano enormi quantità di acqua, sabbia e additivi chimici nella roccia. Il problema sorge quando questa miscela torna in superficie. Secondo il Wall Street Journal, nel bacino del Delaware, i trivellatori pompano tra i 5 e i 6 barili di fluido per ogni singolo barile di petrolio recuperato.
Finora, la soluzione “facile” è stata reimmettere quest’acqua sporca in pozzi di smaltimento profondi. Tuttavia, la Texas Railroad Commission (RRC) ha dovuto tirare il freno a mano. L’iniezione continua ha aumentato la pressione nei serbatoi sotterranei a livelli pericolosi, scatenando una serie di reazioni a catena che sembrano uscite da un film catastrofico, ma che sono pura realtà geologica:
- Attività sismica: Terremoti indotti dalla pressione dei fluidi.
- Deformazione del suolo: Il terreno si muove e si gonfia.
- Geyser tossici: L’acqua, non trovando più spazio, migra verso vecchi pozzi abbandonati, esplodendo in superficie sotto forma di geyser di acqua salmastra (costo per tapparne uno: circa 2,5 milioni di dollari).
- Contaminazione: Rischio concreto per le falde acquifere potabili.
La pressione in alcuni serbatoi ha raggiunto 0,7 psi per piede, ben oltre la soglia di sicurezza di 0,5 psi che dovrebbe impedire ai fluidi di risalire incontrollati.
Soluzioni costose in un mercato ribassista
L’industria si trova tra l’incudine della geologia e il martello del mercato. Con il West Texas Intermediate (WTI) sceso sotto i 60 dollari al barile, i margini sono compressi. Le soluzioni tecniche esistono, ma costano, e nessuno vuole spendere quando i prezzi sono bassi.
Le opzioni sul tavolo sono poche e complesse:
- Spostarsi su pozzi meno profondi: Ha ridotto i terremoti, ma ha aumentato i geyser e le perdite superficiali.
- Trattamento e rilascio nei fiumi: Si sta valutando di depurare l’acqua per sversarla nel fiume Pecos. Aziende come Texas Pacific Land Corp. e NGL Energy Partners sono in lizza per i permessi, ma la Texas Commission on Environmental Quality non intende distribuire autorizzazioni con leggerezza, visti i rischi ambientali non ancora del tutto mappati.
Come ha ammesso un dirigente di Chevron, ogni contromisura aggiunge “costi, complessità e sfide meccaniche”. L’acqua di scarto sta persino iniziando a infiltrarsi nei giacimenti di petrolio vergine, costringendo le compagnie a spendere ancora di più per separarla dal greggio.
La fine del “tutto facile”?
La situazione nel Permiano ci ricorda una lezione fondamentale: l’estrazione tramite fracking, per quanto rivoluzionaria, non è un sistema che possa garantire una produzione “eterna”, specialmente se condotta con l’intensità vista in Nord America.
Stiamo assistendo ai rendimenti decrescenti di una tecnologia matura. I costi ambientali e di gestione stanno erodendo la convenienza economica. Se gli Stati Uniti vogliono mantenere il loro primato energetico, non potranno affidarsi per sempre alla forza bruta dell’iniezione idraulica. Il rischio è che sia presto necessario un nuovo, vero salto tecnologico, perché la spugna del Permiano è ormai zuppa.
Domande e risposte
Perché si produce così tanta acqua di scarto nel Permiano? Il metodo del fracking richiede l’iniezione di grandi volumi di acqua e sabbia per fratturare la roccia. Quando il petrolio risale, porta con sé sia l’acqua iniettata sia l’acqua di formazione (naturalmente presente nel sottosuolo). Nel bacino del Delaware, il rapporto è critico: per ogni barile di petrolio estratto, risalgono in superficie dai 5 ai 6 barili di acqua contaminata che deve essere smaltita.
Non è possibile depurare l’acqua e riutilizzarla o scaricarla nei fiumi? Tecnicamente sì, ma è costoso e burocraticamente complesso. Il trattamento per rendere l’acqua sicura per il rilascio in fiumi come il Pecos richiede tecnologie avanzate che aggiungono costi significativi alla produzione. Inoltre, le autorità (come la RRC e la TCEQ) sono caute nel rilasciare permessi a causa dei rischi ambientali non ancora pienamente compresi per l’ecosistema fluviale.
Questo problema fermerà la produzione di petrolio USA? Non la fermerà, ma la renderà più costosa e difficile. L’aumento della pressione nel sottosuolo e la necessità di gestire l’acqua riducono i margini di profitto, specialmente con il petrolio sotto i 60 dollari. Inoltre, la saturazione dei siti di smaltimento potrebbe costringere a rallentare i ritmi di estrazione per evitare disastri ambientali come sismi o geyser incontrollati.








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