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Il “patto d’onore” e la crisi della democrazia in Italia

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Noi avremmo il diritto di sbattercene dell’economia, come della medicina, o della botanica. In una democrazia normalmente costituita dovrebbero essere i politici a doverla capire, l’economia, per indirizzare il paese secondo il mandato politico ricevuto dagli elettori. Non starebbe agli elettori farsi carico di conoscere tutto lo scibile, la Repubblica dei filosofi non esiste perché non può esistere, la funzione alta della politica dovrebbe proprio essere questa, questo tipo di mediazione culturale.” (Alberto Bagnai)

Questa frase, tratta da un post del blog “Goofynomics” del noto economista, è l’emblema di una questione troppo spesso ignorata, ma che ha un enorme riflesso nella vita politica ed economica del nostro Paese e spiega come e perché siamo arrivati a quello che io considero un sistema pseudo-democratico o, per dirla con un termine caro al presidente Luciano Barra Caracciolo, ad una democrazia “idraulico-sanitaria”. I punti salienti, interconnessi fra di loro, sono due:
1- La democrazia, o meglio la sua prassi, è faticosa.

2- Per funzionare deve comunque esserci una specie di “patto d’onore” fra cittadini, politici ed informazione.

La democrazia è faticosa, perché presuppone una coscienza ed una capacità di comprensione che solo una formazione culturale solida di base dà e obbliga ad interessarsi di quello che accade al di fuori del nostro vissuto quotidiano. Ciò spiega anche perché la democrazia non è esportabile, come fosse un pacco regalo, a Paesi che per il loro percorso storico non hanno ancora una sufficiente alfabetizzazione di massa o comunque le condizioni socio-culturali per svilupparla: la democrazia è una pianta che ha bisogno di trovare il terreno adatto. Ma non basta. La pianta va innaffiata con la partecipazione collettiva, quella che viene chiamata opinione pubblica, che permetta di valutare le scelte politiche ed indirizzare tali scelte con il voto consapevole.

Qui però sorge il problema: se un cittadino ha legittimamente il diritto di non essere un esperto di economia, di diritto, di non essere un filosofo, come dice giustamente il professor Bagnai, perché dovrebbe darsi la pena di essere informato, che già ha il suo lavoro che lo impegna e tanti altri pensieri per la testa? La risposta è: perché la democrazia rappresentativa in un mondo complesso ed interconnesso come quello attuale ha bisogno per funzionale correttamente di un maggiore coinvolgimento personale.

Il discorso che fa Bagnai è teoricamente corretto, ma presuppone che vi sia una categoria di cittadini, i politici, che, delegati appunto dal popolo a curare gli interessi della Nazione, lo facciano con dedizione, altruismo, capacità ed onore (questo riecheggia non a caso il contenuto dell’art. 54 Cost. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore“). In altre parole tali cittadini (primi inter pares) dovrebbero studiare e capire le questioni di cui si occupano, per decidere cosa è meglio per il popolo. Si dirà: ma non devono diventare dei tuttologi, ci sono i tecnici, ovvero gli esperti, i quali dovranno fornire gli strumenti, già elaborati, per poter decidere. Giusto, ma come si può giudicare un parere tecnico, senza avere almeno dei rudimenti della materia, magari per contrastare un certo parere? Vedete, è il problema che hanno nel processo i Giudici con i consulenti tecnici, quando devono decidere: mi affido totalmente e con fiducia alle conclusioni del perito (e quindi decido secondo il SUO parere), o cerco di capire il contenuto della perizia, magari perché ci sono dei punti critici e non condivisibili (e decido secondo il MIO parere)? Un vecchio brocardo definisce il Giudice “peritus peritorum” e questa è/dovrebbe essere la linea prevalente: il magistrato è il “perito dei periti” e sta a lui l’onere e l’onore di decidere se conformarsi o meno al risultato della perizia, naturalmente motivandolo.

Anche il politico quindi e a maggior ragione, dovendo decidere dell’interesse di tutti e non di poche parti, dovrebbe essere un peritus peritorum e voi capite la difficoltà in una realtà estremamente complessa come l’attuale. Questa difficoltà tra l’altro è ciò che ha portato negli anni ’80 ed ancor più oggi al mito del “governo tecnico” caldeggiato, come sempre, dai liberisti: se il politico non ci arriva – è la tesi – e vede solo il suo interesse privato e quello delle clientele ad esso legate, allora che vadano a governare i “tecnici”, scevri da ogni interesse politico-elettorale, che sanno cosa bisogna fare e possono, appunto per la loro neutralità, agire senza condizionamenti. Per la critica a questo pensiero, soprattutto per la dimostrazione della “fallacia dell’ottimo economico” vi rimando al libro di Bagnai “L’Italia può farcela”; qui ci limiteremo a dire che la politica ha una funzione inalienabile di indirizzo che deve essere preservata e che rende impegnativo e faticoso ricoprire un ruolo pubblico. Ma per preservarla occorre che i politici siano preparati e mediamente colti, ovvero che vengano scelti con criteri di merito e capacità. E qui il nostro sistema elettivo mostra i suoi limiti: sono ormai decenni che la classe politica scelta, o, grazie alla legge elettorale da loro voluta, imposta ai cittadini, o non è all’altezza del suo compito o tradisce il mandato popolare, per interessi di una sola parte, di solito di chi paga la campagna elettorale e può garantire una lunga carriera (ed un bel posto alla fine del mandato), quando non sono importanti istituti finanziari esteri.

Si è quindi creata una classe di “ottimati” tanto radicata, quanto incapace o collusa, che di fatto ha reso un concetto vuoto la rappresentanza delegata, quella forma di democrazia indiretta per cui si scelgono via, via le persone più capaci e ci si affida al loro governo, buttando solo un occhio su quello che fanno, pronti a punirli con il (mancato) voto alle prossime elezioni. Forse non è mai stato così, questa è evidentemente una favoletta, ma per lo meno si tendeva a questo ideale. Oggi tranquillamente si danno posti di responsabilità a personaggi senza alcuna preparazione o spessore, per semplice appartenenza, con il solo compito di essere degli esecutori fedeli degli ordini.

Quindi ricapitolando una democrazia rappresentativa che funzioni presuppone una doppia fatica: quella dei politici ad essere pronti e preparati a gestire la Res Publica, con un’attenzione all’interesse collettivo e quella dei cittadini di controllare che ciò venga fatto bene e appunto nel loro interesse. E’ ancora possibile attualmente? Sì, ma a una precisa condizione: se e solo se i mezzi di informazione ci raccontano le cose come stanno realmente, ovvero ci permettono di farci un’idea corretta, senza dover diventare noi stessi dei segugi della notizia e degli esperti dello scibile umano. E qui ci vorrebbe un saggio solo sul problema dell’informazione, per il quale, oltre alla lettura e visione di questo post di Marcello Foa, posso solo rimandarvi ad un altro aspetto interessante da me trattato, ovvero il paradosso della troppa informazione.

Ecco dove la democrazia rappresentativa mostra il suo limite: essa presuppone una specie di “patto d’onore” duplice, da una parte che i politici delegati non tradiscano il popolo che li ha eletti e non li conducano alla distruzione per interessi altri e magari stranieri (fischiano le orecchie, senatore Monti?), dall’altra, visto che i politici sono uomini e non angeli, che i mezzi di informazione facciano realmente il loro lavoro indipendenti dalla politica, e quindi diano notizie, possibilmente vere, e non opinioni e veline di spin doctors, così da permettere alla gente, senza troppo impegno e studio, di farsi una corretta opinione ed esercitare il diritto di giudizio e scelta, tramite il voto (ed infatti si dovrebbe poter votare, vero Renzi?). Un patto questo che evidentemente non sussiste più e forse non ha più le condizioni per sussistere.

La soluzione? Tranne che auspicare un maggior impegno personale nell’informarsi e capire, per far fronte a questo deriva della politica e dei media, non ce l’ho, ma i liberisti al governo in compenso ne hanno una ottima per loro: cavalcare l’onda ed abolire del tutto la democrazia, prima informalmente, tramite continue scelte “emergenziali” e “necessitate” (che, purtroppo, impongono tempi rapidi e decisioni che non possono aspettare il compimento di iter democratici, lunghi e laboriosi…), poi, quando la rana-popolo è abbastanza bollita da considerare l’emergenza vera o presunta la normalità (notato quanti bei decreti leggi rapidi e spediti fanno gli ultimi governi, senza uno straccio di reale urgenza e necessità, nel silenzio imbambolato o peggio complice dell’opinione pubblica “colta”?), anche formalmente, per esempio abolendo una Camera. Ed ecco la riforma del Senato…

Una vera democrazia presuppone una serie di check and balance (controllo e bilanciamento fra poteri) il più importante dei quali è il voto consapevole e libero del popolo. Ma un popolo consapevole magari non si fa spolpare per ripagare debiti esteri neanche propri e magari si fa due conti su come viveva prima e dopo l’avvento salvifico dell’euro e, sempre magari, si fa una sonora risata in faccia al Plateroti di turno che evoca il costo della benzina come quello dell’uranio se si esce dall’Eurozona. Poiché tutto questo da un po’ fastidio a chi vuole manovrare liberamente, dentro e fuori l’Italia e siccome la formazione e soprattutto la voglia di sapere ed approfondire si impara a scuola, ecco che curiosamente si lascia andare a picco l’istruzione, specie quella avanzata, vedi il livello della spesa pro-capite per l’università in Italia, che è questo:

Spesa per univ

Come dice quello colto, tout se tient

No, decisamente per alcuni la democrazia è un cancro da estirpare ed il modo per farlo è rendere il popolo inconsapevole attraverso la propaganda, che prende il posto dell’informazione, togliere la capacità critica attraverso la demolizione della scuola ed agire sotto la costante spinta della (autoindotta) necessità economica per eliminare ogni possibilità di discussione democratica e poter così smantellare diritti in nome del salvifico “cambiamento”.
Per caso in questa metodologia avete riconosciuto qualche riforma e qualche prassi dell’attuale governo?

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